



Il calcio fa strani giri, ma conserva un minimo di umanità ed un'ombra di appartenenza. Ecco perchè Mazzarri, prima vincente e fuggitivo, poi deriso e dimenticato, torna come medico di famiglia, una figura che dice molto sulla devastazione prodotta da una gestione improvvida, ma soprattutto sulla dimensione in cui è ancora costretto il Napoli, pochi mesi dopo uno scudetto. Dopo la vittoria a Bergamo, la tentazione di cogliere chiari indizi di ripresa è grande, come il rischio di cadere vittime di facili suggestioni. Perchè la guida tecnica resta un fattore centrale, ma le fondamenta su cui si è poggiata la nuova stagione restano lì, colpevolmente deboli e vacillanti. Mazzarri richiama a valori simbolici ed essenziali - sacrificio, spirito di squadra, carattere- nel giorno in cui una vittoria della storicamente ostile Bergamo aumenta il peso specifico del successo. E' una somma di premesse concrete che rianima una fiducia ormai spenta già a novembre.
Colto un grande errore del suo predecessore (ignorare meriti e perchè di uno scudetto storico), Mazzarri si è presentato in maniera opposta: grande attenzione al lavoro di Spalletti, padronanza delle sue dinamiche
di gioco, intenzione di riproporle, proseguendo su una strada fatta di umanità e messaggi profondi. Un atto di umiltà che sposa il sentimento popolare nel momento in cui la gente ha capito che il Napoli non è più lo stesso ed ha bisogno di nuove certezze. La partenza di Kim -compensata in maniera approssimativa- ed un mercato poco determinante restano, soprattutto oggi, i peccati originali con cui fare i conti, ogni giorno. Le perplessità su una chiacchierata preparazione atletica e le grane sui rinnovi completano una eredità scomoda che Mazzarri finge di ignorare, poichè questa è la sua vocazione. Per rispetto dell'occasione avuta e per cultura di lavoro. Bastano sette mesi per lasciare il segno.
Insomma: compensare le carenze con il carattere è la speranza in cui tutti si sono rifugiati. Se vogliamo, è un ritorno a quel passato di lacrime e sangue che vide un Napoli povero ma determinato affacciarsi all'Europa che conta. Ecco perchè Mazzarri non merita, almeno nei primi giorni, giudizi tecnici. Il suo linguaggio è un altro, e Napoli lo sa.
(Fa. Cas.)








Nell’eterno paragone con il recente passato, Garcia era atteso da un confronto preciso: fermare Leao e riuscire nell’impresa il cui fallimento ha segnato l’unico insuccesso di Spalletti. Stagioni differenti, momenti psicologici diversi, inerzie di stagione agli antipodi. Ma la delusione è identica. Perchè se Leao è sceso dal palcoscenico, è il Napoli non esserci salito, per un tempo intero. In scena, l'ennesima rappresentazione del nulla: una squadra alla merce' dell'avversario, in ginocchio dopo venti minuti e sommersa dai fischi di un pubblico troppo competente per non riconoscere il fallimento di un progetto nuovo, dopo la scomparsa prematura del vecchio. Negare la delusione, compensando il disastro del primo tempo con la reazione della ripresa è concettualmente sbagliato. Il Napoli ha raddrizzato la partita grazie a due spunti personali, nel momento in cui l'orgoglio di una squadra campione ha potuto molto più degli improbabili disegni di chi la guida.
Insomma, un pareggio che protrae il purgatorio azzurro, poiché come era facile prevedere, i successi contro Verona e Union Berlino non hanno
rimosso le perplessità su lavoro di Garcia. Che i risultati debbano avere un riscontro nella qualità del gioco è una realtà che i napoletani hanno assimilato nei periodi più felici negli ultimi anni. Eppure, per come si sono messe le cose, è facile prevedere il prolungamento di una agonia senza logica, che lascerà lo scrupolo di aver inutilmente perso tempo alla ricerca di una svolta al momento assai improbabile. Il Napoli campione, a fine ottobre è solo quarto a sette punti dalla vetta. Il fallimento è nei fatti.
E mentre il processo resta nell’eterna attesa di un verdetto, i tifosi stanno vivono la passione per Osimhen con un senso di rassegnazione, forse eccessivo, che allontana Victor molto più di quanto lui stesso (eventualmente) desideri. Alla fine, quello che dispiace davvero, è che una città umorale come Napoli abbia smarrito troppo facilmente il carico di entusiasmo ereditato da una stagione trionfale. Uno scudetto vissuto come l’eccezione ad una regola con poche deroghe, o -peggio ancora- come una anomalia da pagare ad un sistema ineluttabile ed atavicamente ostile. Quanto lo scoramento sia favorito da una gestione improvvida lo stabilirà il tempo. Di certo, c'è una deriva mentale che oggi ha bisogno di un segnale positivo e forte: mollare senza combattere non si può.
(Fa.Cas)

Può il Napoli battere il Verona per sola superiorità di organico? E' proprio questa la domanda da porsi -lecita ed aderente ai fatti- che potrebbe sottrarre significato ad una vittoria che, in apparenza, risolleva gli azzurri dalle loro disgrazie. Perchè il tre a uno fra due squadre di caratura diversa protrae il tempo dei dubbi e non cancella nulla, tranne che il timore di una deriva irreversibile e senza riparo. Se vogliamo cercare l'unica verità oggettiva emersa sabato, è che la squadra, in sé, ha forza e qualità per reagire in autonomia di idee e di gioco. Il fatidico valore aggiunto trasferito da un allenatore vincente - leva determinante per una economia come quella azzurra- resta (e resterà) ancora un quid irrisolto, sospeso tra le contraddizioni di De Laurentiis che prima sfiducia pubblicamente il tecnico salvo poi garantirgli una fiducia a tempo (per mancanza di alternative) e quelle di Garcia, preoccupato di mostrare i denti ma non la coscienza di chi sente il dovere di fare qualche pubblica ammissione.
Il risultato è il perpetuarsi di una situazione instabile per sua stessa natura, nei confronti della quale in troppi hanno espresso giudizi trancianti e definitivi per arrendersi velocemente a verità opposte, anche se il Milan
venisse affondato tra le mura amiche di Fuorigrotta. Il Napoli ha affrontato questo periodo di crisi accentuando le perplessità che hanno accompagnato il precampionato: l'uomo che nei fatti incarna ogni profilo manageriale, De Laurentiis, si è proposto (o imposto?) anche come il taumaturgo di sè stesso: il presenzialismo di un presidente come soluzione di una crisi tecnica è una stravaganza che non ha stimolato opinioni che vadano oltre i risvolti macchiettistici. E' l'esatto opposto di una provvedimento lucido e coerente con la gravità del momento.
Come una barca spinta da una corrente favorevole, il Napoli ha ripreso il suo viaggio. Kvara si conferma nella sua affidabilità, Cajuste si propone (siamo quasi a novembre, ma con i last minute i tempi di inserimento sono questi) come una concreta alternativa di centrocampo. E mentre Meret indovina un sabato memorabile (col Verona!), qualcuno nota che la tenuta difensiva non è esattamente quella dello scorso anno, visto che centrali sono validi, ma non fanno la differenza. Ma qui c'è ormai poco da fare; tra taumaturghi onnipotenti e mister in croce, in difesa ci vorrebbe una mano sola. Quella di San Gennaro.
(Fa.Cas.)




Ecco la svolta, finalmente. Dopo l'Udinese, arriva la controprova: il Napoli ritrova la sua identità smarrita e le prospettive che competono ad una squadra campione. Nella vigilia di una nuova notte di Champions, gli azzurri coccolano di nuovo le loro sicurezze, sfrondate da incomprensioni, equivoci e malcelate intenzioni di protagonismo. Un miracolo avvenuto perchè la narrazione della stagione in corso si è arricchita di un capitolo determinante: il chiarimento tecnico tra Garcia e la squadra. Uno di quei passaggi che riscrivono la storia del campionato, modificano l'ottica della realtà, stravolgono il senso della vittoria distribuendo meriti opposti, poiché l'apparente rivincita del tecnico è, nei fatti, il certificato della sua disfatta. Che quello di oggi possa essere il Napoli di Garcia o una reincarnazione di quello spallettiano è una questione futile, a fronte di due realtà primarie: la necessità -avvertita dalla stessa squadra- di influire sulla guida tecnica e la gravissima crisi di gioco e risultati di inizio stagione.
Oggi è possibile capire che le angosce di settembre sono il prodotto obbligato un agosto molle e festaiolo, scientemente affrontato con una calma eccessiva, quotidianamente scandito dagli infortuni e penalizzato da un mercato attendista per sua precisa vocazione, che ha finito per
fornire alla squadra elementi ad oggi (e siamo ad ottobre) non ancora integrati nel progetto. Questa miscela di ostacoli è intervenuta nei risultati e nel giudizio su Garcia ben oltre i suoi riconosciuti demeriti. Perchè ogni disamina sull'inizio della stagione deve nascere da una evidenza indiscutibile: non è possibile concedere all'avversaria più quotata un vantaggio di sette punti a cinque turni dal via. Se ciò è accaduto, esistono colpe gravi e responsabilità precise su cui non è possibile sorvolare per semplice amor di maglia, visto che l'handicap resta una zavorra che rientrerà pesantemente nei conti di fine anno.
In questa trama, si sono inserite incomprensioni ed equivoci mal gestiti. Resterà ai posteri il capolavoro suicida apparso sul canale social più infantile (ma pur sempre ufficiale), che ha coinvolto l'unico giocatore da conservare isolato da speculazioni gratuite o pretestuose. Arriva in queste ore la misura dell'assurdità della vicenda: Osimhen solleva l'intero popolo napoletano da tendenze razziste mai appartenute ad una tifoseria storicamente estranea a certe dinamiche. Comunque finisca la polemica, viene da chiedersi se vale la davvero pena curare una fascia di utenza sensibile ad un umorismo puerile e ben poco educativo. Una questione di immagine, se vogliamo dirla tutta.
(Fa.Cas)




Quando esiste la soggettività di mille opinioni, sono i numeri a fotografare i momenti cruciali: a fine settembre, il Napoli con lo scudetto sulle maglie è a sette punti dalla testa. Un dato impietoso che giustifica la delusione e continua ad autorizzare molte domande scomode. De Laurentiis si affretta a salutare la ripartenza azzurra, ma è solo un banale tentativo di ricondurre la piazza ad atteggiamenti più comprensivi, poichè a fronte di una timida ripresa, il Napoli stringe tra le mani un punto inadeguato agli obiettivi minimi di una squadra campione.
Garcia si lamenta solo del risultato, ma diventa improbabile affermarlo se nel secondo tempo non si è mai tirato in porta. La minoranza urlante -come lui definisce chi lo contesta- avrà senz'altro notato uno scatto nel rendimento di Anguissa e Lobotka e nella qualità del palleggio del centrocampo, ma il suo prodotto resta un gioco asfittico che non produce finalizzazioni. Anche la prestazione della linea di difesa incoraggia qualche
speranza, ma occorrerebbe ricordare che il Bologna ha il terzo peggior attacco ed in avanti è totalmente privo di elementi di spicco. Questa miscela di segnali contrastanti trascinerà ancora gli umori incerti di una piazza in ansia, ma di certo qualcosa non torna. La gente non capisce perchè Raspadori venga inutilmente impiegato sulla fascia destra, cosi come resta un mistero -spiegabile solo con le dinamiche del turnover- il continuo sacrificio di Kvaratskhelia, quando poi i subentranti rendono zero. Infine, il tifoso non può accettare la sostituzione di Osimhen (giustificata col bisogno di risparmiarlo) se gli si evitano soltanto sei minuti più recupero proprio nella fase in cui occorre strappare il successo. Le rimostranze di Victor sono un pessimo spot per lo spogliatoio azzurro, ma nascondono una verità inoppugnabile: se vuoi vincere, forse è il caso di schierare una punta in più.
Ma la distribuzione delle responsabilità -è naturale- non può coinvolgere solo Garcia. Diversi elementi non sono nelle migliori condizioni, altri restano penalizzati da una preparazione fisica che ha mietuto fin troppe vittime. E' stato il primo, incredibile suicidio di questo infinito pasticcio di fine estate.
(Fa.Cas.)

Da outsiders a Campioni e ritorno, in meno di un anno. Un viaggio assurdo, possibile solo a Napoli. La squadra esce a pezzi da Marassi: due punti in meno e poche prospettive. Sono rimaste ferme allo "state tranquilli" di De Laurentiis, un atto di fede estivo poggiato su un progetto finalmente chiaro: il nulla. Poiché niente di apprezzabile è successo, nessun valore aggiunto ha migliorato l'organico o rimpiazzato chi è sceso dal carro. Poiché pescare jolly di mercato non è un'evenienza regolare, anzi. Poiché perdere il timoniere ed il miglior difensore del campionato sposta equilibri vitali anche agli occhi di chi è travolto da un successo improvviso ma conserva un minimo contatto con la realtà.
Quel nulla poteva avere anche un senso logico, se confermare la quasi totalità dei titolari bastasse per rinnovare i miracoli. Ma il calcio non funziona così. Quando non sono le motivazioni a tradire, deve essere la ricerca della perfettibilità a rinnovare gli stimoli, c'è poco da fare. Il Napoli
ha cercato la sua perfezione non investendo per un nuovo difensore il ricavato dalla cessione del vecchio (sarebbe stato il minimo, vivaddio!), dando fiducia ai suoi punti deboli (Østigard e Juan Jesus), ingaggiando improbabili carneadi pronti praticamente a nulla (Natan e Cajuste), naufragando in estenuanti contrattazioni (Veiga) dimenticando l'urgenza del momento ed il costoso bisogno della concretezza, affidando -in grave ritardo- le chiavi dello spogliatoio ad una quinta scelta dai fasti assai lontani (Garcia) la cui migliore referenza - e qui sfioriamo il paranormale- è solo il fiuto infallibile di chi la ha scelta. Sembra il progetto di un suicidio. Eppure è quello che resterà di un agosto speso tra suggestioni ridicole e celebrazioni troppo ridondanti. Per alcuni il Napoli è un atto di fede assoluto. Cecità compresa.
Oggi l'emergenza moltiplica le angosce perchè i punti persi resteranno pesanti come quelli di fine stagione, mentre la barca naviga senza rotta. Il timoniere non coglie il senso di urgenza, coltiva il suo ego stravolgendo equilibri rodati, non sembra coinvolto dal senso di sciagura imminente che attanaglia una città. Le scelte incomprensibili di Garcia mortificano valori affermati e tracciano un solco profondo con il consenso di un popolo che lo vede in confusione assoluta. Oggi i campioni si smarriscono, domani finiranno col perdere valore di mercato. Magari sarà solo quella la sveglia giusta per la proprietà. Sperando che suoni in tempo.
(Fa.Cas.)

La sveglia suona presto. All'alba del campionato, ecco il tonfo. Inatteso, inquietante ed improvviso, ma non per questo meno colpevole. I punti di settembre pesano quanto quelli di maggio, sdoganare la sconfitta come un passaggio della preparazione è possibile, ma non cancella le responsabilità. Poiché le scadenze agonistiche sono compresse, ma la pianificazione resta una fase determinante, soprattutto quando campionato e mercato sono sovrapposti. Pagare dazio è la regola: se sostituisci il miglior difensore del campionato con la sua riserva nella lunga attesa che il nuovo titolare si ambienti, ti esponi al rischio tecnico ed alla gogna mediatica, poiché l'errore è marchiano e, soprattutto, prevedibile anche agli occhi di un bambino. Ma è solo uno dei tanti, in questo incubo di fine estate.
Il labile confine tra sicurezza e presunzione non fa paura a Garcia. Nonostante i cauti approcci alla nuova stagione e la supponente intenzione di perfezionare molto modificando il minimo, oggi il tecnico si assume la paternità di nuove idee: Lobotka non è più il baricentro dell’universo azzurro, il gioco è frutto di un collettivo senza esclusioni.
Nessuno può attaccarlo, ma è certo che l’assunzione di responsabilità è netta. C’è molto carattere nelle decisioni che possono rivelarsi capi di accusa. E' vero: se l’appagamento è il nemico da battere, rimescolare le carte serve. Ma ci vogliono gli assi, evidentemente.
Per cui, farlo con gli stessi giocatori diventa quasi una impresa. Il Napoli rifiuta il concetto di perfettibilità, non assesta colpi di grazia ad una concorrenza malridotta, piuttosto acquista in colpevole ritardo elementi di ripiego. E così, contro la Lazio i titolari (come col Sassuolo) non cambiano rispetto all’anno scorso. Il promettente Lindstrøm è in panca e dopo l’accorato addio di Lozano, col quale il Napoli risparmia quattro milioni e mezzo di ingaggio. Si ripropone l’accorta politica che segnò l’allontanamento di Mertens ed Insigne. Molto si è ricamato sui conti virtuosi del Napoli scudettato, soprattutto da chi intese la perdita di questi giocatori come un sacrificio tecnico enorme. La realtà, confermata quest’anno dalla cessione del Chuky e dagli attriti con Zielinski, era ed è ben altra: il Napoli, semplicemente, si libera appena può di elementi che non valgono la spesa, a meno di rimodularla al ribasso. Poiché se l’ingaggio ha un ritorno concreto (vedi il dorato rinnovo di Osimhen e le esose prospettive sul contratto di Kvara) la decantata virtù va allegramente a farsi benedire.
Nel cinismo dei conti, ciò che colpisce è l’impossibilità di dare un giudizio concreto sul mercato azzurro: per un motivo o per l’altro, chi arriva è ancora in rodaggio. Una emergenza di cui sbarazzarsi presto, prestissimo. Contro il Real, una difesa con l’onesto Juan Jesus renderebbe tutto ancora più emozionante, per dirla come l’Avvocato nei giorni bui.
(Fa.Cas.)

E’ la vecchia faccia delle medaglia, il Napoli che esordisce al Maradona. La nuova, quella che la gente avrebbe atteso, non esiste, ma alla prova del campo non c’è attenzione da dedicare al mercato ed ai suoi dolorosi aborti. La squadra che esordisce in casa è oggettivamente più’ debole: manca quel coreano che ha ricordato alla gente che i miracoli esistono. Da carneade al titolo di miglior difensore della A il passo può’ essere breve e l’investimento trascurabile. Lo scouting non è solo lo strumento dorato che ha lanciato il Napoli verso dimensioni finora proibite. E' anche la culla delle nuove suggestioni. Ma in campo c’è il Sassuolo: tre punti da alla portata, per i colpi di code c’è ancora tempo. Fino a venerdì.
La gara rispetta il copione della partita comoda e senza complicazioni. La squadra gioca, si diverte, già ritrova alcuni meccanismi della stagione scorsa. La sinfonia è ancora in divenire, ma già giganteggiamo Osimhen, Anguissa ed un Di Lorenzo che non finisce di stupire per generosità e rendimento. Insomma, l’approccio tranquillo al primo dei crocevia della stagione, il prossimo impegno interno con una Lazio già alle corde.
La gente torna a casa, sa di dover affrontare speranze e possibili frustrazioni di mercato fino a venerdì. L'apertura di credito per De
Laurentiis resta in piedi, ma ha ricevuto una spallata pesante. Perché alla fine, non si tratta di essere pro o contro: ci sono delle oggettività impossibili da ignorare. Al di là di Cajuste e Natan (scelte di ripiego da attendere, ammesso che il tempo ci sia) la comunicazione di don Aurelio non è stata seguita dalla concretezza dei fatti: l’invito ai tifosi di restare tranquilli resta il suo mantra, ma si fa fatica a capire il perché, fissa al dodici luglio la data per svelare le nuove ambizioni, ma la data resta ignorata, annuncia scadenze settimanali per fare il punto sul mercato, ma il tifoso è abbandonato nel silenzio. L’affare Veiga ripropone le solite dinamiche sfiancanti ad esito infausto, aggravate da un disvalore simbolico, poiché il Napoli ha mancato l’occasione proprio nella sua dimensione dichiarata, quella rivolta ai talenti accessibili e promettenti. La demonizzazione del giocatore ha solo una logica postuma, poiché la chiusura dell’affare in tempi più brevi avrebbe impedito la presenza araba. Il rinnovo di Osimhen tenuto sarà il dolce finale di una estate estenuante. Quando un capolavoro può non bastare.
(Fa.Cas.)

Scudetto a parte, la grossa novità di inizio stagione è stata l'apertura di credito di Napoli nei confronti di De Laurentiis. Un atto dovuto -dopo la cavalcata vincente e le scelte straordinarie dello scorso mercato- che ha avuto due ricadute pratiche: la cieca fiducia nell'allestimento dell'organico e, soprattutto, nelle lunghe tempistiche in cui esso si completa. Senza entrare prematuramente nel merito della qualità (Natan e Cajuste restano due scommesse da vincere, mentre per Veiga le premesse sembrano eccellenti), resta oggettivo, però, il passo molto lento con il quale il Napoli si è approcciato all'esordio in campionato. Un rischio probabilmente sottovalutato, se è vero che una partenza bruciante paga molto in classifica e nel morale.
Insomma, presentarsi alla prima di campionato senza un paio di innesti, con qualche titolare ancora sull'uscio di una infermeria già troppo frequentata e con buona parte della squadra in difetto di preparazione ("molti giocatori non potevano finire la gara", ammetterà Garcia in conferenza stampa) è stato l'azzardo che ha sfiorato la coscienza di un Napoli acerbo
e vincente. "Assurdo che ad inizio campionato il mercato sia ancora aperto", mugugna Sarri da Roma. Ma evidentemente, la gestione assurda di metà agosto rientra tra quelle variabili poco prevedibili imposte da un carrozzone ormai guidato senza un filo credibilità e buon senso. Il calcio estivo è un cantiere aperto che rende approssimativa e provvisoria qualsiasi valutazione tecnica, oltre la pura conferma dei valori espressi l'anno prima. Il Napoli c'è, poichè la giusta priorità è stata la riconferma dell'organico. Lo scudetto di agosto si può vincere anche così.
Sullo sfondo, la grottesca gestione dell'affare-Spalletti. Comunque si concluda (e pare che la conclusione svilisca ancora il rispetto per le regole), i tifosi napoletani ne escono traditi e mortificati negli affetti. La stanchezza era un futile pretesto, l'amore per Napoli un ipocrita sentimento di facciata. La sceneggiata di Spalletti oggi sfiora il patetico ma conferma la sua verità: destini forti per uomini forti. Di stomaco.
(Fa.Cas.)
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