Gli inglesi ci fecero scoprire il calcio
Il football dei pionieri
Il brindisi di Agnano
I campi a disposizione
Dai mutandoni al computer
Il primo covo  azzurro fu demolito
Cosi' Minter divenne italiano

Gli inglesi fecero scoprire il football

     Una storia lunga cent’anni, dalle prime sfide sul terreno sconnesso al Mandracchio, tra l’attuale Piazza del Municipio e Via Marina, nei pressi del molo del porto, fino ai grandi appuntamenti nel monumentale Stadio San Paolo; dai pochi curiosi spettatori alla scoperta del gioco del calcio, fino ai 90 mila che in alcune occasioni hanno riempito l’impianto di Fuorigrotta. Vi proponiamo questo itinerario, a volte glorioso, a volte carico di delusioni, attraverso le foto dei protagonisti schierati nelle varie formazioni, integrate dalle presenze-record e dai grandi cannonieri: presentiamo anche gli “indimenticabili”, ovvero i presidenti, gli allenatori, i giocatori, beniamini della folla, che sono rimasti nella storia; vi sottoponiamo, altresì,  il Napoli ideale di tutti i tempi, così come lo hanno scelto indiscutibili “osservatori”. Inoltre, passando dalla preistoria del calcio napoletano , fino ai giorni nostri, vi offriamo succosi e documentati racconti delle vicende azzurre, descritte per le pagine di questa rubrica da preparati e popolari cronisti partenopei che hanno cortesemente accettato la collaborazione al sito "A spasso nel tempo": Romolo Acampora, attento testimone diretto di tanti anni, racconta decenni e decenni di eventi azzurri , mentre Giuseppe Pacileo, con la sua solita verve, ricorda le "diavolerie" di Gigino Scuotto, il Richelieu del Napoli dell’era Lauro, ed il ruolo storico di Ascarelli; Mimmo Carratelli tratteggia, con il suo inconfondibile stile, la genialità ed il talento di Corrado Ferlaino e il trionfo mondiale di Cannavaro; Mimì Pessetti ricorda con dovizia di particolari il cammino di Attila Sallustro e Toni Iavarone racconta una storia che è una favola, quella di Antonio Juliano; quindi un piacevole ricordo di Monzeglio attraverso  la penna di Carlo Di Nanni;   ancora Franco Esposito ripercorre, con puntuale maestria, l’inossidabile carriera del "petisso" Pesaola e Nino Masiello si ripropone come "cantore" del grande Vinicio. Ciccio Marolda ripercorre, con ricchi particolari, i patti storici (e vittoriosi) tra gli azzurri e la società. Poi il capitolo Maradona, il suo carisma, i suoi trionfi,  per la sensibile penna di Massimo Corcione, e sul Napoli dello scudetto l'opinione del famoso e compianto Gino Palumbo. Per concludere, due “chicche”: la storia e l’elogio del ciuccio, attraverso gli scritti di due grandi  giornalisti, Bruno Roghi e Felice Scandone e, in chiusura, grazie alla ricostruzione del più noto collezionista del calcio napoletano, Dino Alinei, possessore di innumerevoli cimeli, vi presentiamo la rassegna dei vari distintivi che hanno accompagnato il Napoli nel suo lungo e spesso tormentato percorso.

In alto, la Coppa Salsi, primo trofeo vinto a Napoli (dal Naples), nel 1905

 


Il calcio dei pionieri cominciò così sui giornali ...

      A sinistra, foto di gruppo di giocatori con le rispettive signore e fidanzate prima di una partita dell’epoca preistorica del calcio, ispirata dai marinai inglesi che facevano scalo a Napoli. Qui sotto,  uno dei primi resoconti di una partita di calcio apparsi su “Il Mattino” alla fine dell’Ottocento. Vi aiutiamo a leggerlo, parola per parola : “Una partita di foot-ball. Nel locale della Ginnastica Partenopea al Reclusorio ha avuto ieri svolgimento una partita di foot-ball (giuoco del calcio) tra alcuni soci della “Società Canottieri Italia” ed altri della “Partenopea”. Le due schiere di giocatori, ciascuna delle quali forte di dieci baldi giovani, hanno dimostrata somma valentia in questo difficile giuoco che consiste nel ricacciare mediante colpi, dati per lo più con i piedi, una palla nella porta (vano) del campo avversario. La partita è durata per più di due ore,interrotta soltanto di quattro riposi di pochi minuti ognuno; e sarà continuata in altro giorno, da stabilirsi, per la gara decisiva. Fra i giocatori si distinsero i sigg. De Concilis ed i due fratelli La Manzio della Partenopea e i sigg. Massei, Salvati e Kernot dell’Italia. Facevano da giudici i signori Attanasio, Frasca, Pinto, Coppola e Calmann.” Testuale, con uno stile calcistico molto approssimativo. A quell’epoca si giocava a nord della città partenopea, una distesa pianeggiante che fu scelta poi per costruire l'attuale Aeroporto di Capodichino.

   Nella foto, in basso, a sinistra,  un allenamento… preistorico nel 1907 su un campetto nella zona di Agnano. Il tedesco Pottz colpisce di testa. In porta ( si notano le fasce di ferro strette intorno alla traversa) il famoso Conforti che giocava avendo al suo fianco una sedia, sulla quale si sedeva comodamente quando il pallone era lontano. Nell'altra foto, in quel periodo i giocatori, in mancanza di spogliatoi e altre attrezzature ,  arrivavano  sulle proprie auto alla partita già “vestiti” con gli indumenti di gioco, pronti a scendere in campo. 

      

 Dal brindisi per pochi intimi ad Agnano...

 

Nella foto a sinistra, la giovane marchesa Padula fa da  madrina all’inaugurazione nel 1913 del nuovo campo del Poligono di Tiro ad  Agnano, uno dei primi terreni di gioco presenti a Napoli (i  primi in assoluto sono storicamente  considerati quello nella zona del  Mandracchio e il Campegna nell'area flegrea).  Per l'occasione si notano tra le mani della marchesa Padula il classico manicotto ed un fascio di fiori, abito lungo adatto alla cerimonia inaugurale . Appesa al palo sinistro della porta figura, allora come ai giorni nostri,  l’immancabile bottiglia di champagne, pronta ad essere infranta sul legno.
 


 

 

...ai primati del
San Paolo

   Lo Stadio San Paolo fu inaugurato il 6 dicembre 1959 con Napoli-Juve (2-1). Da una capienza di 87.500 spettatori, si passò ad una di 78.000 (terzo in Italia dopo il "Meazza" di Milano e l’Olimpico di Roma). Ora  c’è una richiesta di ulteriore riduzione: a 60 mila 260 spettatori, a seguito di un’ennesima ristrutturazione. Il nome dello stadio è dovuto alla tradizione che ricorda come San Paolo avrebbe raggiunto l’Italia attraccando nella zona di Fuorigrotta.

 
I campi a disposizione dei calciatori napoletani

  A Napoli si cominciò a giocare davvero al calcio sul terreno sconnesso del Mandracchio, nella zona del porto, vicino l’attuale Via Marina, dove i molti giovani e baldi marinai inglesi, quando potevano scendere dalle loro  navi,  trovavano uno spiazzale adatto per giocare a football, come facevano in Inghilterra, attirando la curiosità e gli sberleffi dei residenti della zona. Spogliarsi per indossare la tenuta di gioco rappresentava un grosso problema, col rischio di provocare scandalo nel gentil sesso.. Un campo molto rudimentale, come rudimentali erano i campi dove  finirono col giocare i napoletani con le loro squadre. Il campo di Marte a Capodichino, il Poligono di Tiro, il terreno di Campegna, ai  Campi flegrei e altri campetti nella zona, man mano che cominciavano a fiorire a Napoli le prime squadre organizzate, primi tra tutte il Naples e l’Internazionale che in seguito dettero poi vita al Napoli. E' scontato che i pioneri erano  persone che avevano "'e denare"  che disponevano di tempo libero da dedicare al pallone. Nella foto, in alto, una rara "panoramica" dello stadio Ascarelli ,  chiamato Vesuvio durante i primi tempi, subito dopo l'inaugurazione nel 1930. Le tribune, come si può anche notare nella foto, erano in legno, per una capienza complessiva di diecimila spettatori. Tutto a spese del munifico presidente azzurro Giorgio Ascarelli, il presidente napoletano verace del Rione Pendino,  che, purtroppo, morì, ad appena 36 anni,  poco dopo l'inaugurazione del nuovo stadio sorto nel Rione Luzzatti. Ai suoi funerali fu memorabile l'imponente partecipazione dei tifosi azzurri.

  
A destra, un disegno del famoso bozzettista Achille Beltrame sulla prima pagina della "Domenica del Corriere" del 1902 per illustrare una partita di football di quei tempi.


Ecco i campi principali sui quali si giocò a  Napoli, dal vecchio "Campegna" al moderno "San Paolo" :
 

1904: Campegna

   Ritenuto insufficiente e scomodo il terreno del Campo di Marte a Capodichino (che fu uno dei primi spazi a disposizione, insieme con il famoso Mandracchio nella zona del Porto), i dirigenti  del Naples Football Club, dell’Audax, della Juventus di Napoli presero in fitto un terreno a Campegna alle pendici di Posillipo. Qui si installarono le porte e si costruì un casotto in legno dove finalmente era possibile spogliarsi e depositare gli abiti. I giocatori arrivavano in carrozza o in auto al campo con la loro “corte” di amici e amiche. Mangiavano, poi giocavano. Man mano, sorsero nuove squadre ( non solo a Napoli, anche in Campania) e la struttura migliorò. Il campo si trovava proprio sotto la collina di Posillipo, dove adesso c'è una  parte del quartiere Fuorigrotta, costruito successivamente.

1912: Agnano

   Il campo, nei pressi delle Terme di Agnano,  venne inaugurato il 27 ottobre del 1912 con una vittoria per 3-2 dell'Internazionale di Napoli sulla romana Roman. In precedenza era stato recintato e fornito di un casotto spogliatoio, mentre era stato sistemato un settore per il pubblico. Mezza lira di "ingresso sostenitore". Ma pochissimi pagavano, gli spettatori preferivano entrare con vari espedienti, scansavano il botteghino, scavalcavano le "montagnelle" che circondavano il campo e si godevano gratis lo spettacolo. Il Naples, successivamente,  si trasferì al Poligono di Tiro a Segno, da poco inaugurato. Ad Agnano Giorgio Ascarelli portò poi a giocare il suo Internaples - da poco costituito con una fusione - nel campionato 1923-24, alternando il campo di Agnano a quello dell'Arenaccia.

1913: Poligono di Tiro

  Il campo del Poligono di Tiro fu inaugurato nel 1913 e intitolato a Vittorio Emanuele III. In precedenza ospitava soprattutto polli e tacchini. Le prime partite del Naples e dell’Internazionale, disputate su un fondo sabbioso e irregolare, cominciarono così ad avere anche gli spettatori paganti. Si giocava in una zona antistante le varie  postazioni di sparo del tiro a segno. Tra il primo e il secondo tempo, un rappresentante delle società raccoglieva i soldi per l'ingresso con un blocchetto di ricevute. Nella foto, ecco ciò che è rimasto per diversi anni  del vecchio campo del Poligono di Tiro "Vittorio Emanuele III". Si notano gli ex spogliatoi e sopra, sulla collina incolta, la zona con poche case di campagna, dove successivamente sono sorti i palazzi e le ville dell'attuale Via Manzoni.

1920: Campo Ilva Bagnoli


   Per il campo dell’ "Ilva Bagnoli" è incerta la data dell’inaugurazione. La sua storia è parallela alla complessa storia dell’Italsider, nella quale il campo finirà per essere inglobato. Era uno dei vari campi sorti ai piedi della collina di Posillipo. Su quel terreno vi giocava sistematicamente l’Ilva Bagnolese, ma in varie occasioni l'impianto dell'Ilva ospitò anche l’Internaples di Ascarelli e in seguito, saltuariamente, il Napoli, sia negli ultimi Anni Venti che negli Anni Trenta. L’area del campo poi ha cambiato uso ed ha seguito il destino del Centro siderurgico. Ora la zona è sottoposta a una  bonifica ambientale, ma al di fuori della cinta degli ex stabilimenti Ilva è in attività un altro terreno di gioco. Nella prima foto in alto, il campo di Bagnoli negli Anni Venti; nell'altra foto, il campo dell'Ilva Bagnoli durante una partita  Anni Trenta. In primo piano un giocatore con la maglia della Bagnolese, nera con  la stella bianca.

1926: Arenaccia

   Un terreno del Comune all'Arenaccia occupato dai militari, venne poi dal generale Albricci adibito a campo di calcio. Nel 1926 ci fu l'inaugurazione. Su questo stesso  campo debutterà poi anche l’A.C. Napoli, grazie all'abilità e iniziativa di  Giorgio Ascarelli che riuscì a conquistare l'impianto adattandosi (dopo uno strascico giudiziario)  a coabitare con i militari che l'avevano occupato durante la guerra. In muratura solo in parte, poi fu rimodernato. Qui il Napoli disputò il suo primo storico campionato di A, Divisione Nazionale a due gironi, in cui conquistò un solo punto col Brescia, il 13 febbraio del 1927. La squadra azzurra continuò a giocare all'Arenaccia in attesa dell'inaugurazione dello stadio voluto dalla tenacia ferrea di Giorgio Ascarelli, al Rione Luzzatti. Il campo dell'Arenaccia ha ospitato in tempi diversi pure partite di rugby, gare di ciclismo su pista, di atletica  e per un periodo del dopoguerra funzionò anche  da cinodromo. Per alcuni anni venne prescelto per gli arrivi del Giro Ciclistico della Campania.  Capienza di allora 12.000 spettatori.

1929: Vomero

    In muratura, fortemente voluto dal Fascismo, lo stadio del Vomero fu inaugurato il 27 ottobre 1929 e si chiamò agli inizi "XXVIII ottobre". I calciatori azzurri vi giocavano, però, molto a malincuore. Troppo distante era la folla. Gli preferirono, quindi,  nel 1928-29 il campetto dell’Ilva Bagnoli. Il Napoli  giocò al Vomero nel 1933-34, perchè l'Ascarelli era in rifacimento, in vista dei mondiali del 1934. Vi ritornò nel finale del 1941-42 e nel '42-43 (perchè l'Ascareli era stato bombardato) ma fu sfrattato dalla Wehrmacht e dalle S.S., che lo usarono  anche come centro di raccolta dei partigiani napoletani catturati dai tedeschi. Nello Stadio del Vomero trovarono sepoltura provvisoria (lato curva nord) i partigiani uccisi dai nazisti durante le "Quattro giornate",  cerimonia alla quale presero parte anche i dirigenti e i giocatori azzurri. Ma dopo la guerra,  da Stadio Littorio diventò “Stadio della Liberazione”. L'impianto risultò l’unico con una certa agibilità ed ospitò il Napoli del dopoguerra, dal 1946, spesso con più di 40 mila spettatori (anche con impalcature a tubolari Innocenti nelle curve). Tra alcune invasione di campo, ci fu  anche un evento che sfiorò la tragedia. Il 27 gennaio 1946, Napoli-Bari 2-1: al gol tanto atteso dell'albanese Lustha, il primo in maglia azzurra del neo acquisto, l'esultanza fu tanta da far crollare una fetta delle tribune. Le cronache riferiscono di 114 tra feriti e contusi. Rifatto ex novo negli Anni 70,  anche per altri sport.  Nelle foto, in alto, lo stadio del Vomero durante una partita del 1938, quando si chiamava "Stadio Littorio"; in basso una panoramica dell'impianto vomerese dopo la  ristrutturazione nel dopoguerra.  Poi, rinnovato, prese il nome di "Stadio Collana", con una vita tormentata, sempre alle prese con problemi di agibilità.

1930: Ascarelli

   
     Costruito  in meno di sette mesi (dall'agosto 1929) con i soldi del presidente del Napoli, Giorgio Ascarelli, venne inaugurato con Napoli-Triestina vinta 4-1 (16-2-1930), ma memorabile fu il vero debutto in 23-2-1930 contro la Juve. I bianconeri vincevano  2-0, ma nella ripresa una doppietta di Buscaglia fissò il 2-2. Un tripudio. Le tribune erano prevalentemente in legno, per poco più di 10 mila spettatori. Lo stadio   venne chiamato “Vesuvio” e per un breve periodo "Ascarelli". Fu il primo stadio d'Italia di proprietà esclusiva di un grande club. Quando fu ristrutturato ed ingrandito in muratura, alla vigilia dei mondiali del 1934, la capienza venne portata a 30 mila spettatori e cambiò la denominazione in "Partenopeo". Nella foto,  a sinistra, la cerimonia della posa della prima pietra dello stadio Ascarelli avvenuta nel 1929. A sinistra si notano il terzino del Napoli Innocenti, una delle figure più rappresentative dell'epoca, ed al suo fianco, sorprendentemente in pullover,   Ascarelli, che finanziò tutti i lavori. A destra, una delle curve dello stadio al Rione Luzzatti, all'inizio fatto per lo più in legno.

1934: Partenopeo

   
Lo stadio "Partenopeo" venne  ricavato dallo Stadio Ascarelli e  fu ricostruito in cemento armato, per 40 mila tifosi. Ospitò per i campionati mondiali Germania- Austria e Italia- Francia. Il Fascismo, poichè  il benemerito e compianto presidente degli azzurri era di origini ebraiche, preferì chiamare lo stadio, ristrutturato integralmente, “Partenopeo” anzichè "Ascarelli ". Nel 1937 il Napoli realizzò nello stadio "Partenopeo" un esperimento: l'ingresso libero alle donne. L'impianto venne distrutto dai bombardamenti aerei degli anglo-americani durante il tormentato campionato 1941-42 e successivamente subì un lungo saccheggio. A sinistra  l'ingresso dello stadio "Partenopeo".

1945: Orto Botanico  

   Nel dopoguerra, col "Partenopeo" ormai in macerie per i bombardamenti, l'Arenaccia fuori uso e lo stadio del Vomero in mano agli Alleati, si giocò anche all'Orto Botanico, dove per emergenza, in vista del campionato regionale. fu allestito - su iniziativa di Gigino Scuotto - un terreno di gioco, di fortuna, proprio per il Napoli, con una tribunetta in muratura per spettatori in piedi (qualche migliaio). La mano d'opera fu pagata con le bottiglie di liquore e le stecche di sigarette fornite, come contributo volontario, dai soldati americani che stazionavano nell'Orto Botanico. L'inaugurazione avvenne  con Napoli-Frattese, 2-2 nel gennaio 1945 e gli azzurri vi giocarono per tutta la stagione. Il patrimonio vegetale dell'Orto era stato distrutto dalle truppe alleate che  vi dimoravano, anche con alcune casermette.

1959: San Paolo



   Il "San Paolo" fu inaugurato ufficialmente con Italia-Svizzera (3-0), il 6 gennaio 1960, dopo circa dieci anni di lavori. ma aprì eccezionalmente prima, con Napoli-Juve (2-1) il 6 dicembre del 1959. Lo Stadio di Fuorigrotta in passato ha ospitato fino a 90 mila spettatori. Ha subìto varie ristrutturazioni (tra cui la costruzione della copertura in ferro e della nuova tribuna stampa, con 436 posti) e anche periodi di inagibilità, accompagnata da un progressivo decadimento della struttura. Ora la capienza dello stadio "San Paolo" è ridotta,  in base alle nuove norme sulla sicurezza. Nella ristrutturazione per i Mondiali di calcio del 1990 non sono stati creati, tra l'altro,  tombini sufficienti e strutture adeguate per lo sversamento dell'acqua piovana (da qui un paio di allagamenti degli spogliatoi), mentre il manto erboso, che già soffre per la copertura dello stadio, è stato erroneamente poggiato su sabbia di mare e non di fiume. In passato il San Paolo è stato anche utilizzato per riunioni di atletica leggera. Ora dispone al suo interno di alcune palestre polifunzionali. E' di proprietà del Comune di Napoli. Nella foto a sinistra, Alcide De Gasperi durante la cerimonia della posa della prima pietra al costruendo stadio di Fuorigrotta il 27 aprile del 1952. In alto, il San Paolo al tempo dell'inaugurazione senza le coperture in acciaio apportate successivamente per i mondiali di calcio.


                        
                                                                                      
                   Dai mutandoni ai guanti computerizzati

    
Anche l’abbigliamento calcistico (come, del resto, tutto quello sportivo) ha subìto l’evoluzione dei tempi e della moda. Ricordate le foto di inizio secolo con quegli uomini in mutandoni, aderenti fin sotto il ginocchio, a volte col cappello in testa o la bandana sulla fronte? Rammentate i portieri con le immancabili ginocchiere, con la classica “coppola” un po’ alla guappa, (il napoletano Cavanna compreso) dotati di guanti di fortuna? Immaginavate che un portiere potesse indossare in campo una cravatta (nella foto a destra) ? Ricordate le scarpette, che spesso erano scarpe adattate (persino quelle da militare, se c'erano in casa) e quando erano “scarpe da gioco” avevano delle strisce orizzontali sotto la suola? Successivamente furono utilizzati tacchetti ben inchiodati dal fido magazziniere ( o dai calzolai societari) e scelti a seconda delle condizioni del campo.  E intorno al piede l’insostituibile cavigliera in tessuto elastico per tener ben compatta l’articolazione. I calzoncini erano antiestetici, e le magliette colorate ad un fondo, oppure a strisce o a quarti, erano prevalentemente di lana. Ora la progettazione degli indumenti sportivi , in materiali sintetici, viene affidata addirittura a designer. I famosi sospensori non si usano più: sono sostituiti praticamente dagli slip elastici che agiscono con eguale efficacia. E che dire, poi, del pallone, il “pezzo” più importante del gioco, che è letteralmente cambiato, non nella…forma, ma certamente nella concezione, nel materiale e nel colore? Anche giovani sanno che, da molti anni, i palloni – pure quelli professionali - avevano una camera d’aria, proprio come le gomme d’auto, da riempire usando un “gonfiatore” , magari da bicicletta. Ma, una volta, il beccuccio della camera d’aria veniva poi ripiegato all’interno del cuoio e chiuso con una stringa in pelle. Si formava, quindi, una cucitura che nel colpire di testa si faceva sentire, eccome! Soprattutto quando per la pioggia il pallone – tutt’altro che impermeabile – diventava pesante. Questo spiega perché molti difensori dell’epoca, per proteggere la fronte, esibivano una vistosa fascia (nella foto a destra, il terzino del Napoli Anni 30, Vincenzi con una bandana intorno al capo). Sono cambiate anche le porte: all’origine i pali erano esclusivamente a sezione quadrata (quindi con spigoli pericolosi), ma con quel palo si aveva una discreta certezza di dove sarebbe finita la palla dopo averlo colpito. Senza parlare delle tecniche dei massaggiatori, i loro unguenti, le varie creme e le numerose “macchine” per aiutare i giocatori alla rieducazione o al mantenimento del tono muscolare. Tentiamo, comunque,  un breve riepilogo di alcune evoluzioni:


 PALLONI – Sono i “pezzi” che rispetto al passato hanno subìto la più profonda evoluzione. Dai palloni in semplice pelle a fasce, con camera d’aria da gonfiare prima dell’uso e relativa, cucitura, si è passati gradualmente a vari tipi, con spicchi meglio tagliati e meglio cuciti tra loro. Dal giallo bruno standard siamo arrivati a colori più chiari, al bianco e nero a pois, che rende la sfera più visibile soprattutto agli effetti televisivi, o addirittura al rosso in caso di neve. Ora sono tutti uniformi nella rotondità, per non parlare dei recentissimi palloni rivoluzionari a 32 spicchi con alta tecnologia, rivestimenti antiabrasivi e idrorepellenti che assicurano un contatto perfetto con le scarpette, oltre a una morbidezza e una resistenza estreme. Gli unici particolari che non sono cambiati nei palloni, per regolamento della Fifa, sono la circonferenza tra i 68 e i 70 cm. e il peso compreso tra i 410 e i 450 grammi. Dalla stagione 2007-2008 per la prima volta è arrivato il pallone unico anche in Italia. In Europa si gioca con il pallone unico  in Inghilterra e Spagna, mentre con il pallone scelti dai club si gioca ancora in Germania e Francia. Il pallone unico, bianco con prevalenti fasce in rosso,  è impiegato sui terreni delle società impegnate nei campionati di serie A e B. L’accordo, raggiunto ad aprile 2007, e stato ratificato ufficialmente in Lega Calcio con la Nike. Per  cinque anni la multinazionale americana ( che ha battuto la concorrenza dell’Adidas) avrà l’esclusiva sul campionato di calcio. Il contratto prevedeva subito  la fornitura di 13mila esemplari. I palloni saranno prodotti in due aziende,  una in Pakistan e una in Cina, e saranno standardizzati. . Nelle foto, a sinistra un vecchio pallone in cuoio di oltre mezzo secolo fa, a destra il nuovissimo pallone unico, con le bande gialle e lilla.

 SCARPETTE – Molti i cambiamenti rispetto alle scarpette di un tempo che arrivavano alla caviglia ed erano o troppo morbide o troppo dure, con tacchetti inchiodati. E prima ancora le scarpe aderivano al terreno con strisce di cuoio orizzontali (in genere quattro). Quando vennero introdotti i primi tacchetti, questi erano costituiti da dischetti di cuoio sovrapposti, mantenuti tra loro da un’anima di metallo. Sui campi ghiacciati, però, i giocatori ricorrevano ad un espediente. Indebolivano, con vari artifizi, la sommità del tacchetto prima della partita; passavano indenni all’esame visivo dell’arbitro, poi dopo alcuni minuti il tacchetto si logorava nella zona già manomessa , mettendo a nudo l’anima di metallo e la testa del chiodo, che cosi artigliavano il terreno ghiacciato, aumentando la stabilità dei giocatori sul campo (a volte provocando, però, delle dolorose distorsioni del ginocchio o della caviglia, per non dire del rischio di ferire l’avversario). I progressi tecnici hanno consentito alla varie Case produttrici di offrire ora scarpette ancora più leggere e resistenti, a parte il rinnovato gusto estetico. Tacchetti intercambiabili (e di numero variabile) a seconda del terreno di gioco e della sensibilità del singolo giocatore, su suole che ammortizzano, riducono la pressione sul tallone, tomaie prevalentemente in pelle di canguro, superficie di tiro più ampia. Le scarpette sono diventate tra gli oggetti più pubblicizzati (ulteriori guadagni!) dai campioni.

GINOCCHIERE - Le portavano quasi tutti i portieri per evitare le “sbucciature” sui campi che in prevalenza erano in terra battuta e non col fondo erboso. Nella foto che pubblichiamo, a sinistra, si notano le ginocchiere di un giovanissimo Combi il famoso portiere della Juve, uno dei più dotati del calcio italiano di ogni tempo, alle spalle della coriacea coppia di terzini, Rosetta e Caligaris. La Juve del favoloso quinquennio e la trionfante nazionale azzurra degli Anni Trenta, legarono al nome di Giampiero Combi una buona parte dei loro successi. Ora i portieri d’inverno e nelle serate fredde usano, come scaldamuscoli, calzoni lunghi aderenti, che spesso prevedono ginocchiere sistemate all’interno del calzone stesso.

CAVIGLIERE - Ora non si portano più. Sono sostituite da fasciature che bloccano caviglia, usa e getta, tipo adesivo. L’attaccante del Napoli Amedeo Amadei (come tanti altri giocatori, per motivi estetici) portava le cavigliere sopra i calzettoni, invece che sotto. I calzettoni, da parte loro, erano senza pedalino, sostenuti solo da una striscia che girava sotto il calcagno.

GUANTI – All’inizio erano usati solo da alcuni portieri, non da tutti, Anche perché a quei tempi erano semplici guanti di “tutti i giorni“ che poi diventavano ovviamente pesanti sotto la pioggia. Zoff, quando giocava nel Napoli, preferiva solo guanti di lana. Sosteneva che essi assicuravano maggiore aderenza al pallone. Poi si è aggiornato anche lui. Ora i guanti sono quasi tutti personalizzati, in continua evoluzione estetica e funzionale, con nome e cognome talora scritti al polso. Dalle prime schiume in lattice di gomma utilizzate dall'inizio degli anni '80 ai tipi più evoluti e meno tendenti all'abrasione precoce.  Previsti anche i polsini elasticizzati. Le nuove tecnologie, inoltre, abbinano l’esigenza di traspirazione ai tessuti con gestione dell'umidità estremamente efficaci, così da consentire la regolazione della temperatura e garantire prestazioni ottimali.  Per grandi, per bambini, per tutte le misure, anche a prova di computer. Chi l’avrebbe immaginato…

 CALZONCINI – I "mutandoni" di inizio secolo si accorciarono, a mano a mano, negli Anni Venti e Trenta. Nel dopoguerra erano a mezza coscia, poi via, via sempre più corti. Sandrino Mazzola ne sfoggiava di veramente minuscoli, sopra le sue cosce da grillo; un esempio limite che dà l’idea della moda dell’epoca e che durò alcuni decenni. Tuttavia, ai vantaggi offerti dall’assoluta libertà di movimento, si contrapponeva lo svantaggio muscolare dell’esposizione al freddo soprattutto d’inverno. Così, specie per suggerimento medico, si è tornati a calzoncini un po' più lunghi. Nota di colore: quando nel dopoguerra comparvero in Occidente le prime squadre di calcio sovietiche, quei giocatori esibivano calzoni al ginocchio, amplissimi, come... due gonne, una per gamba. E tutta quella stoffa sfarfallava vorticosamente durante la corsa. Qui il caso limite si spiega con le gelide temperature della grande madre Russia.

 CAPPELLINI – Li calzavano in molti, non solo i portieri. Erano di tutti i tipi, ma molto comuni. Dovevano semplicemente riparare gli occhi dal sole e contenere qualche folta capigliatura. Nella foto a destra, in alto, una parata di Combi, con un cappellino tipo "coppola siciliana", sotto, invece, una parata del portiere napoletano Cavanna, con cappellino di foggia sicula. Frequenti le reticelle per tenere in ordine la capigliatura e i baschi (come quello leggendario dell’azzurro capocannoniere Vojak, nella foto a sinistra). Ora i cappellini vengono usati solo dai portieri, soprattutto per difendersi dai raggi solari o dalle luci dei riflettori e sono naturalmente molto sbarazzini.

FASCIA DA CAPITANO - Risale al campionato 1949-50 l'adozione della fascia di capitano sul braccio sinistro dei giocatori prescelti. Fu deciso dal C.N. della F.I.G.C. per mettere l'arbitro in condizione di distinguere immediatamente il responsabile della squadra in campo, al quale dovrebbe competere il mandato grave ed onorifico di collaborare con l'arbitro per il buon andamento della partita.

PANCHINE – Relativamente recente la sistemazione ai bordi del terreno di gioco, a due metri dalle linee laterali, delle panchine così come sono quelle moderne. All'inizio erano costituite generalmente da panche, una per ciascuna squadra, per accogliere l’allenatore, il medico sociale, qualche dirigente e qualche massaggiatore, visto che per moltissimi anni non erano ammesse le sostituzioni, anche a seguito di infortuni seri. Successivamente con la possibilità di precedere a sostituzioni, le panchine si sono allungate. Dal 18 dicembre del 1966 sono state dotate di copertura, a protezione dalla pioggia e dai corpi contundenti, con misure regolamentari e caratteristiche stabilite dalla Lega. Sulle panchine sono tenute a prendere posto le persone ammesse nel recinto di gioco e autorizzate. Nessuna grossa novità per le porte, solo che ora si è preferita la sezione ellittica.

 PARASTINCHI
- Si è passati, col tempo, dalle semplici strutture con imbottitura per attutire i colpi alle gambe, ai parastinchi dei giorni nostri, professionali, realizzati interamente in fibra di carbonio, con migliore protezione della tibia, o addirittura con una camera d'aria interna per meglio ammortizzare i colpi. L’imbottitura è in licra all’esterno ed in velluto all’interno, che permette così un ottimo contatto con la pelle senza far sudare la gamba. Sono estremamente leggeri, rivestiti con vernice trasparente, ed ormai quasi sempre fissati alla cavigliera annessa al modello, in alcuni casi tramite una chiusura a velcro.

TRE PUNTI PER LA VITTORIA
- Nel 1994-95 venne introdotta la regola secondo la quale sono attribuiti tre punti per ogni vittoria e non più due, allo scopo di incoraggiare la ricerca del successo  e non accontentarsi del pareggio, e nella speranza di ottenere un miglioramento nel gioco ed un  teorico aumento dei gol.

QUANDO SI CHIAMAVANO "GIACCHE NERE"
- Solo recentemente gli arbitri di calcio, con la novità dell’abbigliamento in materiale acrilico, hanno abbandonato la giacca con bordino bianco o il successivo giubbino nero con bordino blu. A parte i motivi televisivi, negli ultimi anni, si è voluto anche dare, per comodità, un aspetto più sportivo, più moderno, agli arbitri . E le “giacche nere”, come sono stati identificati per vari decenni i direttori di gara, sono finite negli armadi con naftalina e tra indelebili ricordi. Nella foto, una famosa terna arbitrale in “giacca nera” degli Anni Quaranta: il bolognese Giovanni Galeati, con i segnalinee Luigi Ausiello e Giuseppe Vollero, entrambi campani.

SOSTITUZIONI – Un aspetto molto importante e ricco di novità è quello delle sostituzioni. La storia del calcio è piena di giocatori infortunati che, non potendo essere sostituiti, andavano a giocare sulla fascia per tenere occupato un avversario senza dover correre troppo. E ci furono anche famosi "gol dello zoppo". Con la possibilità di sostituire i giocatori nacque uno dei più celebri argomenti di discussione giornalistica di ogni tempo nel calcio italiano: esempio classico la “staffetta” tra Sandro Mazzola e Gianni Rivera, bandiere dell’Inter e del Milan. Ecco cronologicamente le novità nelle sostituzioni:
1967-1968: diventò possibile portare in panchina un portiere di riserva (N° 12).
1968-1969: fu consentito di far sedere in panchina il numero “tredici”, cioè un secondo giocatore di riserva, compreso il portiere (N° 12), con la possibilità di utilizzarne due.
1973-1974: le squadre portarono in panchina anche un secondo calciatore di riserva, il “13” e il “14”, ma le sostituzioni restarono due: un giocatore più il portiere.
1980-1981: alle squadre fu consentito oltre ad un secondo portiere col N° 12 , altri quattro giocatori, con i numeri “13”, “14”, “15” e “16” . Soltanto due però potevano scendere in campo indipendentemente dal ruolo, oltre al portiere.
1994-1995: le squadre pur continuando a portare in panchina, oltre ad un secondo portiere con il N° 12, altri quattro giocatori con i numeri “13”, “14”, “15” e “16” hanno potuto utilizzare a partita iniziata sia il dodicesimo, sia altri due giocatori, per un totale di tre sostituzioni, contro le due precedentemente ammesse.
1996-1997: oltre al secondo portiere, le squadre hanno potuto portare in panchina altri sei giocatori, con la possibilità di utilizzarne però tre, indipendentemente dal ruolo, quindi compreso il portiere.

OGGETTI PERICOLOSI – Col tempo la Federazione internazionale ha vietato espressamente ai giocatori di portare addosso oggetti pericolosi, quando scendono in campo. Sono da considerare tali quelli metallici ed altri che possano costituire pregiudizio fisico (bracciali, orologi da polso,anelli, catene, ciondoli). L’arbitro deve obbligare i giocatori a toglierli. In caso di rifiuto, i calciatori non possono prendere parte al gioco. A destra, alcuni oggetti non consentiti.

NUMERI, NOMI E SPONSOR SULLE MAGLIE – Il 18 settembre 1939, la prima giornata di campionato riservò ai tifosi una piacevole novità, studiata a tavolino per agevolare l'individuazione dei giocatori da parte del pubblico: i numeri dietro le maglie, che andavano dall'1 all'11 poiché all'epoca non esisteva la panchina con le riserve pronte ad intervenire in campo. Successivamente, dal 1996-97, dietro le magliette furono inseriti i numeri dall’ 1 al 99, ma l’1 e il 12 dovevano essere attribuiti ai portieri. Contemporaneamente si rese obbligatorio per la A e per la B far figurare i nomi dei giocatori sulle spalle degli stessi. Nella stagione 1980-81 cominciarono a comparire sulle magliette  i nomi degli sponsor. Tale  pubblicità  è consentita solo sul davanti delle maglie e la superficie totale non deve superare 250 cmq. Esistono inoltre regole sui vari marchi da inserire su magliette, calzettoni e pantaloncini.
Da quando il marketing è entrato nel mercato del pallone tutto è cambiato e le casacche dei calciatori si trasformano di anno in anno, nei colori non sempre quelli tradizionali, con simboli pubblicitari ed estrosità estetiche. Nella foto a sinistra, Castellini con la maglia del Napoli sponsorizzata dalla Snaidero nel 1981-82.

PROMOZIONE E RETROCESSIONI – Vengono stabilite di volta in volta dalle varie Federazioni, spesso in coincidenza con gli allargamenti o riduzione dei campionati. Il meccanismo delle promozioni e delle retrocessioni fu applicato per la prima volta nel 1899.

CARTELLINI – Risale al 1970, in occasione dei mondiali in Messico, l’adozione dei cartellini giallo e rosso per notificare ai giocatori (e per segnalare al pubblico) un’ammonizione o un’espulsione. Prima di allora l'arbitro tirava semplicemente fuori dalla tasca il suo libricino e segnava l'ammonizione o l'espulsione, indicando, in quest'ultimo caso,  al giocatore la via degli spogliatoi.

PASSAGGIO AL PORTIERE – Solo nel 1991 fu introdotta la norma che vieta al portiere in caso di passaggio di un calciatore della propria squadra (anche su rimessa laterale) di giocare la palla con le mani, ma solo con i piedi o di testa. Fin dal 1912 il portiere può toccare la palla con le mani solo all’interno della propria area di rigore e non più in qualsiasi zona del campo.

RADIOCRONACHE - Una  data da ricordare: il 20 dicembre del 1959  si registrò una grossa innovazione, destinata a riscuotere un successo senza precedenti tra i tifosi: la Rai sperimentò collegamenti da altri campi sulla radiocronaca dell'incontro ritenuto principale. Nasceva in pratica, sia pure in tono minore, " Tutto il calcio  minuto per minuto". Per la cronaca, campo principale era Bergamo  per Atalanta-Palermo. Risale al  1960 il via ufficiale di "Tutto il calcio minuto per minuto".

TELEVISIONE - Il 31 dicembre 1955 prime dirette TV, in anticipo il sabato, con Roma-Atalanta e Napoli-Fiorentina sul neutro dell'Olimpico. Boom di vendite di apparecchi Tv, in particolare a Napoli. Il 22 ottobre 1967 primo esperimento della moviola in Tv (gol-fantasma di Rivera in Inter-Milan) che debutta ufficialmente a maggio del 1969. Nel 1970 nasce 90° minuto con i gol della giornata trasmessi nel pomeriggio. Il colore nel calcio televisivo arriva nel 1977. Nel 1993 c'è il lancio in Italia del calcio in pay Tv e nel 1999 viene comminata la prima squalifica grazie alla prova Tv.

PROIBITE PIU’ PARTECIPAZIONI IN VARIE SOCIETA’ - La normativa sulle partecipazioni di dirigenti in più di una Società è stata cambiata ed inasprita nel maggio del 2004: adesso l’articolo 16 bis delle Noif (norme organizzative interne) della Figc proibisce ai presidenti o proprietari di Club “partecipazioni o gestioni” in altre ”Società appartenenti alla sfera professionale” (e non più solo alla stessa serie). E questo è anche proibito a “parenti ed affini sino al quarto grado”. Il codice di giustizia sportiva (art.8) prevede pesanti inibizioni. Negli anni più recenti non sono mancati i casi di presidenti, proprietari ed azionisti di maggioranza che hanno mantenuto il controllo di due o più squadre contemporaneamente, provocando dubbi e sospetti su alcuni risultati. Il caso più clamoroso fu quello della famiglia Gaucci che a cavallo tra la fine degli anni ’90 e gli inizi del 2000 tra il padre Luciano ed i figli Alessandro e Riccardo amministrarono ben quattro società, tre addirittura nello stesso periodo: il Perugia dal ’91 fino al fallimento, la Viterbese dalla fine degli anni ’90 poi venduta per acquistare il Catania nel 2000 e la Sambenedettese presa nell’estate del 2000. Da ricordare che Franco Sensi diventò proprietario unico della Roma nel novembre 1993 e nel 2000 acquisì il Palermo in Serie C 1, fino all’estate 2002 quando la Società rosanero venne ceduta a Zamparini. Poi c’è il caso unico di Aldo Spinelli che arrivò al Livorno nel marzo del ’99, ma subito dopo fece eleggere il figlio Roberto presidente dell’Alessandria. Così nella stagione 2000-01 in Serie C1 le due squadre si trovarono l’una di fronte all’altra: padre contro figlio.


    1932/1953: il primo covo azzurro fu demolito dal piccone

     Forse è una foto unica, superstite, della famosa "Torrefazione Azzurra", il primo vero "covo" del tifo napoletano, inaugurata nel 1932, e situata all'angolo tra Via Sanfelice e Via Medina. Fu il primo  ritrovo al coperto per i tifosi napoletani. La facciata del noto bar è tutta contornata da grappoli di frutta  in occasione di una "festa dell'uva" allora molto di moda.   Dopo 20 anni, la "Torrefazione Azzurra" scomparve tra molti rimpianti letteralmente sotto i colpi di piccone nel  1953 nel quadro del famoso  "piano di risanamento" della zona.

     Negli Anni Venti e Trenta, nell’epoca pionieristica del tifo partenopeo, i sostenitori azzurri che volevano tenere accesa la fiammella del loro grande amore verso la squadra, intendevano discutere, commentare, proporre, vedersi, insomma, fuori dello stadio, questi tifosi, non avevano punti di riferimento come li hanno oggi. Non esistevano Club Napoli, non c’erano nemmeno i Bar sport. Qualche capannello in Galleria, a Piazza Trieste e Trento, sotto la sede del “Mezzogiorno Sportivo”, a rischio maltempo. Il primo covo del tifo azzurro arrivò solo nel 1932. Lo diventò la famosa “Torrefazione Azzurra”, creata all’angolo di Via Sanfelice e Via Medina ed inaugurata su ispirazione del grande giornalista Felice Scandone. Al tifosissimo Pasquale Castaldo, proprietario di una tabaccheria in Via Monteoliveto di fronte al vecchio palazzo delle Poste, e assiduo nella sede del Napoli, Scandone suggerì: “ Perché non apri un Bar, frequentato dagli appassionati del Napoli, che sia come un centro di raccolta, perché tutti si conoscano e si affiatino, stiano sempre vicini al Napoli, magari organizzando anche qualche trasferta? Un locale che già nel nome sia intimamente legato alla squadra napoletana, che si chiami, per esempio, Torrefazione Azzurra?” E così Castaldo entusiasta del suggerimento trovò subito il locale all’angolo di Via Medina e vi allestì un magnifico Bar. E lo chiamò appunto “Torrefazione Azzurra”.
     Fu inaugurato il 4 giugno 1932, nel finale di un campionato di centro-classifica. Intervennero tutti i dirigenti del Napoli d’allora, capeggiati da Emilio Reale, Eugenio Coppola, Alfredo Maiorano, molti giocatori tra cui Sallustro, i fratelli Ghisi, Innocenti, De Martino e quasi tutti i giornalisti sportivi napoletani. In seguito, in quel Bar, i tifosi si avvicendarono da mattina a sera, come fossero a casa propria, in un clima familiare. Azzurro dappertutto, le pareti, le tazzine del caffé, che recavano anche il disegno di un pallone, i bicchieri, persino le divise dei camerieri e dei banconisti. Un tripudio di azzurro.
    E la domenica folla di appassionati la mattina, quando il Napoli giocava in casa, e il pomeriggio quando era impegnato in trasferta. Scandone spesso organizzò un servizio di trasmissione lampo con la collaborazione della Redazione della “Gazzetta del Popolo” di Torino, ben organizzata al seguito di Juve e Toro. I risultati arrivavano via telefono e venivano trascritti col gesso, naturalmente azzurro, sulla grande specchiera della parete centrale, con grossi caratteri. Un grande successo per quei tempi.       Tra i più assidui frequentatori anche Giorgio Ascarelli e Felice Scandone, al quale il “covo” azzurro serviva per tastare il polso dei tifosi prima di scrivere i suoi articoli. Poi, dopo il gran successo della “Torrefazione Azzurra”, sorsero vari Bar, altri ritrovi per i tifosi, in vari punti della città, primo fra tutti il “Bar Pippone” che il terzino Paolo Innocenti conduceva in Via Santa Brigida con la collaborazione della bella e dinamica moglie bolognese, ed il Bar Cavanna in Via Roma .
   Ma su quello storico angolo del tifo azzurro in Via Medina, il 21 ottobre 1953 fecero calare il piccone brutalmente spietato, anche se “risanatore”. Il primo vero covo azzurro della città da quel giorno non c’è più.
     Restano soltanto i ricordi, ma il tempo inesorabile ha ridotto drasticamente , se non proprio azzerato, il numero dei tifosi che possono affidarsi alla propria memoria per ricordarlo. Ci piace immaginare che quello striscione apparso fuori il cimitero di Poggioreale, dopo il primo scudetto di Maradona, con la scritta “E che ve site perso!…” fosse indirizzato anche a quei tifosi pionieri dei tempi eroici del calcio a Napoli.

Nelle altre foto, il Bar Pippone  del terzino Innocenti  in Via Santa Brigida ed il Bar Cavanna in Via Roma

      

Come l'inglese Minter divenne italiano a Napoli    

 

    Una lettera, documento storico, dell'allora presidente azzurro


  
Vi presentiamo qui sopra un documento di particolare rilevanza storica. E’ la lettera scritta il 5 marzo del 1931 dall'allora Presidente del Napoli , l’on. Giovanni Maresca di Serracapriola, duca di Salandra, a Leslie Minter, il fuoriclasse inglese punto di forza dell’Internazionale di Napoli, con la quale lettera gli invia la tessera onoraria dell’Associazione Calcio Napoli, sorta nel 1926 in sostituzione dell’Internaples.
   Serracapriola fu presidente del Napoli nel 1928-29, ovvero prima del ritorno di Giorgio Ascarelli alla guida degli azzurri e divenne di nuovo presidente, dopo la morte immatura dello stesso Ascarelli, restando su quella poltrona fino al 1932. Giovanni Serracapriola fu il dirigente che acquistò Colombari dal Torino per la stratosferica (allora) cifra di 250 mila lire, ed aveva giocato con Minter per alcuni anni, da centro-sostegno, nella famosa Internazionale di Napoli, e poi nell'Internaples. Da parte sua, il forte difensore inglese militò nell’Internazionale di Napoli dal 1913 al 1922, fin quando la squadra blu riuscì a reggere economicamente ( negli ultimi anni i soci-giocatori si tassarono ognuno di 2 lire al mese per pagare i compagni di squadra più bravi che senza stipendi sarebbero andati via…). Nel 1922 il Naples e l’Internazionale, le due storiche società partenopee, in crisi di solidità, si fusero poi per diventare l’Internaples, fino al 1926, quando Giorgio Ascarelli, tra lo champagne del ristorante D’Angelo, in Via Aniello Falcone ( oggi fiore all’occhiello di due famosi e tifosissimi ristoratori a livello nazionale, i cugini Mimì Giugliano), diede vita al primo vero Napoli. Minter con la maglia del Napoli giocò anche nel torneo 1926-27, il primo nella Divisione Nazionale, a due gironi, quello in cui gli azzurri conquistarono un solo punto. L’inglese Minter, dopo dieci anni di militanza nell’U.S.Internazionale, fu l’unico giocatore ad ottenere la cittadinanza italiana, come ricorda anche Serracapriola nella sua lettera al suo vecchio compagno di squadra e che qui vi diamo in lettura. Essa dice:

   "Carissimo Minter, mentre appongo la firma alla tessera di Socio Onorario che nessuno più di Lei, Minter, merita, un senso di commozione mi invade e , presidente oggi di questo Napoli che vede sul suo campo esplodere in manifestazioni di entusiasmo e di ira la passione di ventimila spettatori, ripenso con nostalgico rimpianto ad anni lontani, quando eravamo noi gli attori delle belle contese sportive,
   Poco il pubblico allora e scarsissimi i mezzi, ma a tutto suppliva la nostra fede indomita, l’attaccamento alla casacca azzurra, di cui Lei fu tra i più tenaci difensori.
   E ricordo le gesta del piccolo prodigio londinese: così la chiamavano i giornali, rammenta?, che all’apice della Sua vita di calciatore ebbe la più bella soddisfazione, la più ambita che uno sportivo potesse sognare, quando la Federazione Italiana del Calcio, riconoscendogli dopo dieci anni di gioco nella nostra squadra, la cittadinanza sportiva italiana, lo chiamava a difendere a Roma i colori d’Italia contro la rappresentativa di Francia.
   All’atleta che conobbe tanti trionfi e tanta gloria, piccola ricompensa è la tessera che io offro, ma il ricordo della vecchia, modesta Internazionale che è diventata oggi il possente Napoli, glie la renderà certo gradita.
  Riceva i più cordiali, affettuosi saluti dall’antico compagno di squadra,
                                                                                     
Giovanni Maresca di Serracapriola.

Nella foto in alto , una formazione dell'U.S.Internazionale di Napoli del 1912