Quel 3,5 in pagella: la vergogna di Diego
di Giuseppe Pacileo

"E che dico ora alle mie figlie?..." esclamò Maradona

    Accadde in quel di Udine, sala stampa dello stadio "Friuli", che Franco Melli - allora inviato itinerante per il Corriere della Sera - si mettesse a sbirciare i servizi degli altri inviati. Non seguiva sempre la stessa squadra, e allora cercava conforto alle proprie valutazioni. Sbirciò anche la mia "pagella"; e spiccò un salto. L'indomani sul Corriere, ben evidenziata in un riquadro, apparve la notizia che, nientepopodimeno! un giornalista napoletano aveva affibbiato un 3,5 all'eminentissimo don Diego Maradona. A quei tempi - e temo anche oggi - si usava concedere almeno il 6 di stima ai grandi giocatori, magari nel timore che la volta successiva sfoderassero tutto il loro talento facendoti così finire sulla groppa di un maiale.
   Ecco come l' "evento" ebbe immediata risonanza nazionale. Il sottoscritto venne subissato di telefonate richiedenti il perché e il percome, nonché inviti a comparsate in varie televisioni. Parlai soltanto con un caro amico, Rosario Pastore, della Gazzetta dello Sport, spiegandogli banalmente che, partendo dal 2 di base, avevo aggiunto mezzo punto per la trasformazione del rigore ed un punto per il passaggio-gol. Altro per quasi tutta la partita il bravo Tiechìte non aveva prodotto, e questo mi era sembrato molto grave per un raro fuoriclasse, nonché capitano della squadra e idolo di una intera città.
   Il lunedì sera mi recai negli studi di Canale 34 per la trasmissione "Number One", come di consueto. Inopinatamente e casualmente prima della trasmissione vi incontrai Maradona. Costui, con volto corrucciato, mi apostrofò chiedendomi conto e ragione: "Non me importa tanto del voto, ma che le racconto alle mie figlie se me domandano di che cosa me devo vergognare? Io non me devo vergognare de niente!" e, appallottolato il foglio incriminato del Mattino, me lo lanciò contro. "Senza colpire", come scriverebbe il giudice sportivo.
   La partecipazione del divo mi era stata accuratamente tenuta nascosta, per cui decisi di affibbiare all'emittente un anno di squalifica, e cominciando da quella sera scomparvi dai suoi schermi. Piovvero ogni sorta di supposizioni, come minimo: "Maradona ‘a vattuto a Ppacileo!". Pacileo invece, benché non "vattuto", aveva ritenuto opportuno evitare confronti in video sgradevoli che potevano anche scendere sotto il livello dell'accettabile. Pacileo si recò invece da Pasquale Nonno, allora direttore del Mattino, chiedendogli un mutamento di incarico; giacché ogni sua valutazione successiva di Maradona sarebbe stata dai più considerata con sospetto: quello che in gergo giuridico si chiama legittima suspicione. Nonno rispose picche: "Non puoi ritirarti e dargliela vinta". Siccome il direttore era lui non mi rimase che continuare. Non molto tempo dopo il buon Tièche avrebbe dovuto vergognarsi di essere stato arrestato, a Buenos Aires, a casa sua, sempre per fatti di droga. Chissà che cosa avrà detto in quella occasione alle figlie...

                                                                                           Giuseppe Pacileo

   N. B. La settimana prima della partita di Udine l'Italia aveva giocato a Cagliari contro l'Argentina, che ovviamente schierava Maradona. Era finita 0-0 e la prestazione del "nostro" era stata da me valutata esattamente 3,5 (evidentemente era un periodo molto "polveroso".). Quella volta però non se ne era accorto quasi nessuno.
                                                            

 

Le vittorie figlie di un patto tra azzurri e Società
 
   di Francesco Marolda
 

     C’è modo e modo di vincere una gara. E anche d’arrivare ad un successo assai importante. A volte basta una giocata. Un’invenzione. Un disegno perfetto con la palla. Altre volte può bastare pure un patto. Un giuramento. Proprio così. E a giudicare dalla storia azzurra i patti da spogliatoio valgono parecchio, visto che poi hanno sempre regalato buoni risultati. In verità non c’è un archivio-patti, una raccolta attenta e meticolosa dei segreti più segreti degli azzurri. Si va a memoria. E la memoria riesce a tornare indietro sino a quarant’anni fa.

 
1966 : gli stipendi di Lauro - Datato 1966 il primo patto azzurro. «C’era una questione di stipendi. Si gioca? Non si gioca? Arrivammo alla vigilia del match col Cagliari di Riva e tutto era ancora incerto. Al punto che - racconta Enzo Montefusco - nello spogliatoio arrivò il Comandante Lauro in persona. Venne a dirci che dovevamo andare in campo. Che non avrebbe tollerato un ammutinamento. Antonio Juliano, che di quel Napoli era il capitano, però gli tenne testa. Gli ribadì le nostre ragioni e gli disse che avremmo giocato soltanto se lui, lui in persona, si fosse impegnato a pagare gli arretrati. Juliano La spuntò. Noi la spuntammo. In verità, ora lo posso dire, mai avremmo tradito i nostri tifosi, avremmo giocato ugualmente, però ci sentimmo ancora più impegnati. Come finì? Andammo in campo e vincemmo noi».

 
1985: la pace tra due gruppi - Quasi vent’anni dopo un altro patto. Storico stavolta. Il Napoli non andava granché bene e il club ordinò a Marchesi un ritiro lungo. Squadra dal due al sei gennaio a Vietri, in un albergo con bella vista sul mare nero dell’inverno. Tutti là. Tutti, ma non Maradona che contestò lo spirito punitivo di quella decisione. E ci volle tutta la pazienza e l’amicizia di Beppe Bruscolotti per convincere Diego a unirsi al resto della squadra. «Maradona ci raggiunse, tra noi furono giorni di confronto e fu la svolta. Mi piace pensare che forse partì da lì, da Vietri, la cavalcata azzurra verso scudetti e coppe». Bruscolotti giura che non c’erano divisioni in quello spogliatoio. Segreti d’antico capitano e mai traditi, mai svelati. Però nessuno ha mai smentito che Vietri in realtà sancì la pace tra due gruppi: quello che faceva capo a Maradona e quello che invece s’identificava in Bagni. Una pace benedetta, se è vero come è vero che quel Napoli che andava maluccio in campionato trasformò la sua stagione arrivando a sfiorare la qualificazione per l’Europa. Nella foto, Bruscolotti

 1986: fuori dall'Europa, puntiamo allo scudetto - Impegno d’onore tra tutti i giocatori azzurri negli spogliatoi di Soccavo, dopo l’amara eliminazione dalla Coppa Uefa a Tolosa. Recentemente, Marino e Bagni hanno rivelato che quel giorno, gli azzurri con Bianchi si strinsero intorno ad un solo obiettivo: “Abbiamo fallito l’Europa, ora dobbiamo centrare gli altri due traguardi, o lo scudetto o la Coppa Italia!” E tutti, come per un giuramento,  misero una mano sull'altra, compreso il distaccato Bianchi (che sentiva sul collo il fiato di Bilardo). Sembrava impossibile, poteva apparire una “sbruffonata”, un impegno scritto sull’acqua e invece sorprendentemente il Napoli, “ricucito” con una immediata vittoria contro il Torino (era in svantaggio), vinse poi sia lo scudetto che la Coppa Italia.

 1989: un giuramento per la Coppa - L’Inter dei record e di Trapattoni corre verso il tricolore. Al Napoli secondo in classifica non resta che la Coppa Uefa. Nei “quarti”, però, a Torino, gli azzurri s’arrendono alla Juve per 2-0. Una stagione che s’avvia verso la delusione, ma Bianchi e squadra non ci stanno e stringono un patto per la Coppa. E così, accade che al ritorno la Juve è battuta per 3-0. con un gol di Renica nei “supplementari”. Un giuramento ripetuto poi contro il Bayern di Monaco in semifinale e infine contro lo Stoccarda. E fu il trionfo. Figlia di un patto, dunque, anche la coppa Uefa.

  1994: tutti con Lippi per l’UEFA - L’anno di Lippi, l’anno in cui il Napoli che da mesi e mesi non prendeva lo stipendio pensava più alla messa in mora che al pallone e agli avversari. Stava prendendo una brutta piega la stagione e allora Lippi radunò la squadra e parlò da uomo forte. Rimise assieme il gruppo, lo ricompattò, gli diede forza e con i giocatori strinse un patto: rispondere con l’impegno e i risultati alle carenze e alle promesse non mantenute della società. Ebbene, quel Napoli di Ferrara e Cannavaro, lanciato da Lippi in quella stagione, all’ultima giornata addirittura conquistò la zona Uefa vincendo a Foggia per 1-0. Di Di Canio il gol.

  2006: la notte di Castelvolturno - Il Napoli è primo, sogna la promozione in B, ma qualcosa s’inceppa nel meccanismo azzurro che a Castellammare di Stabia va in frantumi. È il 19 febbraio quando gli azzurri escono sconfitti malamente da qual primo derby della storia. De Laurentiis fiuta il rischio del crollo della squadra e alza la voce. Raduna tutti a Castelvolturno e nel silenzio d’una notte senza luna interroga e discute con gli azzurri. Richiama il gruppo ai suoi doveri e rimette assieme i cocci della squadra. Ebbene, da quel momento il Napoli non si ferma più e con bell’anticipo brinda al ritorno in serie B.

  2007: il crac di Crotone - Diciotto risultati utili di fila.  E' il Napoli dei record quello che s'illude addirittura d'agganciare la Juve padrona della serie B. Poi, il 17 marzo, quello che non t'aspetti: il Napoli va a Crotone e perde. Ma più che una sconfitta è una disfatta. Due gol in 18 minuti, una difesa inesistente, un Napoli che s'arrende senza opporsi. Finisce 2-1 per i calabresi ed è una brutta sveglia per gli azzurri, anche perché la sconfitta apre la porta a malumori, accuse, anche insulti. Come quello che Paolo Cannavaro  rivolge all'allenatore che lo richiama in panchina quasi fosse lui l'unico responsabile della partitaccia della squadra. Ferito e percorso da tensioni, il Napoli si ritrova ancora una volta a fare i conti con se stesso. Nel chiuso dello spogliatoio si confronta, parla chiaro e stringe un'alleanza basata su due principi: rispetto dei ruoli e delle gerarchie e messa al bando d'ogni personalismo in nome della ragion di squadra. Riparte così, a 14 giornate dalla fine, la caccia alla promozione in serie A.


                                                                                                      Francesco Marolda

        Aumentano i sostenitori della squadra partenopea

                       

  Quasi due milioni e mezzo sono per il Napoli - In tutto il mondo sono sei milioni. Così sostengono coloro che di queste cifre se ne intendono. Avranno fatto i loro calcoli, certo che i tifosi del Napoli sono ovunque, in tutti i continenti, in ogni Paese, in qualunque città. Non sappiamo se è un record, ma è una bella cifra, invidiabile anche per le grandi Società. E in Italia? Quanti sono i tifosi della squadra azzurra? In base ad uno studio pubblicato dall’autorevole “Corriere della Sera” i tifosi del Napoli sarebbero due milioni e mezzo, sparsi in tutta la Penisola, posizionati al quarto posto dopo la Juve, che guida la classifica con circa dieci milioni di tifosi, il Milan con circa cinque milioni e l’Inter con circa quattro milioni e mezzo. Dopo il Napoli in classifica figurano la Roma, la Fiorentina, il Cagliari, il Torino ed il Palermo. Secondo questa ricerca solo il 25% degli italiani non fa il tifo per alcuna squadra.


   Il Torino, eccezione
   nella mappa del tifo
  S. Paolo non politicizzato

  
A margine dei violenti episodi che hanno fatto seguito, nel novembre del 2007, all'accidentale morte del tifoso laziale Gabriele Sandri, sul sito della “Stampa on line” è apparsa un’aggiornata mappa del tifo, interessante ricerca sulle coloriture politiche delle curve nel nostro massimo campionato. Da questa analisi viene fuori, tra l’altro, che il tifo napoletano organizzato non ha coloriture politiche, mentre l’unica squadra di Serie A che non ha nessun gruppo organizzato (tanto meno politicizzato) è il Torino, i tifosi non sono politicamente schierati, espongono solo lo striscione “Ciao Fè”, dedicato ad un ex componente dei disciolti ultras granata. In proposito, abbiamo voluto chiedere un intervento a Gianpaolo Ormezzano, apprezzato e notissimo giornalista torinese, famoso anche per essere un appassionato tifoso dal “cuore granata”.


           ll solo collante
           è l’anti Juve


     di Gianpaolo Ormezzano


    Una decina di anni fa a Torino fu presa la decisione di ospitare in curva Maratona anche i “Granata Korps”, di destra, e però, contemporaneamente, di escludere la politica. Non c'è un padre certo della decisione, e neppure un motivo scatenante. Forse si trattò semplicemente di sentimento d'amore per la squadra in difficoltà croniche, amore superiore ad ogni connotazione politica e tale da far unire tutte le forze (si era, com’è noto, in piena dominazione juventina). Sin lì la curva era stata tutta e decisamente di sinistra, con foto di Guevara e saluti a pugno sinistro chiuso. Da allora niente “Che” ma niente croci celtiche, sempre più abbondanti nella curva bianconera, e tutto sommato il cocktail funziona bene ed è assolutamente digeribile.
   La tendenza più diffusa della gente della curva Maratona è sempre quella di stare a sinistra, ma allo stadio non lo si fa pesare. I gemellaggi - Fiorentina in primis, poi anche Genoa - non comportano nessuna spartizione di idee politiche, il solo collante è l'avversione alla Juventus. Tra l'altro gli ultras di Fiorentina e Genoa fra loro si odiano, e quelli viola sono gemellati con i veronesi del Verona, piena destra bieca, quelli del Genoa col Napoli, estraneo al Toro. Se devo ricordare uno striscione della curva Maratona in qualche misura politicizzato (con humour) degli ultimi tempi mi viene in mente soltanto la risposta, per Torino-Lazio, ai laziali che la domenica precedente avevano esposto a Roma un "Onore alla Tigre Arkan", quando in un attentato era stato ucciso a Belgrado un noto capopopolo di destra, un serbo ferocemente nazionalista legato come dirigente o addirittura presidente ad una squadra di calcio, non ricordo se il Partizan o la Stella Rossa. La curva Maratona in quell'occasione dispiegò un, a mio parere divertentissimo e intanto impegnato, "Onore al Gatto Silvestro".

                                                                                                 Gianpaolo Ormezzano


                       I SOPRANNOMI CONIATI ALLA RADIO PER GLI AZZURRI

"Si gonfia la rete!..."
di Raffaele Auriemma

     Raffaele Auriemma, Capo dei Servizi Sportivi de "Il Roma", è da anni, ininterrottamente dal 1990, il radiocronista che ha raccontato con grande competenza, agilità ed obiettività gli incontri del Napoli su " Radio Kiss, Kiss" e da questa stagione sta conducendo le telecronache "parziali" per Mediaset Premium. E' autore del recente "Si gonfia la rete", il piacevole libro che, realizzato da Radio Kiss Kiss Napoli, in accordo con Edizioni Graf, celebra la promozione della formazione azzurra in serie A, con un' audio-raccolta in cui viene narrato, con passione, il cammino della squadra di Reja, sull'onda dei gol più significativi della stagione azzurra. E il grido elettrizzante “si gonfia la rete!” ripetuto più volte, alla maniera sudamericana, accompagna ormai da tempo i gol realizzati dal Napoli, nelle sue radiocronache. Raffaele Auriemma, comunque, si è caratterizzato, ed è apprezzato molto dai tifosi affezionati alla radio, per aver coniato, nel corso degli anni, una serie di appellativi ben appropriati, soprannomi di gusto e di indubbia efficacia, con i quali è solito contraddistinguere i giocatori partenopei durante le sue radiocronache. Abbiamo ritenuto di offrirgli la possibilità di spiegare questa sua ingegnosa "specialità" attraverso un gradito intervento sul nostro sito.


 
  Non ho inventato nulla, me ne guardo bene anche solo dal pensarlo, ma semplicemente ho prima raccolto e poi assecondato un vezzo tipicamente napoletano. Chi di noi, a scuola oppure in famiglia e al lavoro, non ha dato e subìto un nomignolo? "O' cines", "O' russ", "O' chiatt", "O' pazz": a seconda delle caratteristiche fisiche o comportamentali, ecco stampato il conseguente appellativo. Destinato, poi, a diventare un marchio indelebile sull'anima, più che sulla pelle, in quanto costretto a sopravvivere alla stessa esistenza terrena. Da qui l'idea, a quanto pare molto apprezzata dalla tifoseria, di catalogare i calciatori secondo un glossario toponomastico tale da soppiantare i dati anagrafici dei protagonisti in maglia azzurra.
   Pino Taglialatela è un buon testimone: da quando gli ho affibbiato il nomignolo "Batman", non c'è un solo intenditore di calcio che non lo chiami così, prima ancora che pronunciare il suo nome di battesimo. L'identificazione fu così stretta da consigliare l'ex portiere del Napoli ad indossare sul terreno di gioco maglie personalizzate con il simbolino di "Batman". Ancora oggi c'è Nando Coppola, estremo difensore dell'Atalanta, che indossa una casacca simile, sempre con il marchietto di "Batman", sia per la fedeltà nei confronti di Taglialatela che lo ha aiutato nella crescita, sia nel rispetto del nomignolo "Robin" che ebbe dal sottoscritto nell'anno della promozione del Napoli in A, stagione 1999-2000.
   Andando ancora più in alto, arriviamo fino al capitano della nazionale italiana, che ha alzato al cielo la Coppa del Mondo: Fabio Cannavaro. Cinque anni fa, venendo a Napoli con la nazionale, fu intervistato dai giornalisti della carta stampata che gli chiesero quali erano i ricordi più cari della sua esperienza napoletana. Tra i tanti, ammise di essere legato al nomignolo che il sottoscritto gli affibbiò nelle uniche due stagioni da protagonista nel Napoli: "Carrarmato" Cannavaro.
   Venendo al Napoli attuale, il più recente è anche quello del calciatore autore di una doppietta a Udine, Marcelo Zalayeta. A nessuno sarà sfuggito il film-cult "Matrix" nel quale spiccava la figura di un capo della rivolta degli esseri umani, contro gli invasori di un altro pianeta. Richiamava "Morpheus" ed era identico al centravanti azzurro: basta mettergli sul naso un paio di occhiali scuri e il gioco è fatto. Per completezza, ecco i nomignoli riservati agli altri azzurri di questa stagione: Iezzo: belzebù; Grava: ghostbuster; Contini: tre metri sopra il cielo; Cannavaro: dandy; Domizzi: il muro del pianto; Savini: Gengis Khan; Blasi: cuore di pietra; Gargano: Arnold; Hamsik: Marechiaro; Lavezzi: pocho loco; Garics: soldato; Rullo: rullerball; Maldonado: coyote; Cupi: cupido; Montervino: wanted; Gatti: soldino; Bogliacino: Tom Tom; Dalla Bona: lady Oscar; De Zerbi: garfield; Calaiò: goaldrake; Sosa: il pampa.


                                                                                                               Raffaele Auriemma

 

Il gadget più singolare , col decalogo per i tifosi

      

    Un ventaglio in cartone distribuito dal Napoli ai suoi abbonati negli Anni Trenta. In questo che vi presentiamo figura la foto del terzino Innocenti, mentre sul retro c'è un vero decalogo per il tifoso perfetto. Ecco i dieci "comandamenti" del Napoli:1) Fatti socio del Napoli; farai parte di una famiglia che combatte all'ombra di un gagliardetto glorioso ed onorato. 2) Ama la tua società: essa è la tua seconda famiglia, sorreggila col tuo appoggio e difendila sempre ed ovunque. 3) Sii benigno propagandista della tua società; gli acquisti, i miglioramenti tecnici sono realizzabili solo quando la Società dispone di mezzi finanziari forti, dovuti al maggior numero di soci .4) Rispetti ed abbi fede nel dirigente, la cui opera diuturna e tacita non è mai apprezzata dai critici a buon mercato. Aiutalo perciò anche con fiducioso silenzio. 5) Ama i giuocatori, non avere antipatie per alcuni, ne' eccessive simpatie per altri. Lottano tutti per lo stesso ideale, sostienili ancora di più quando la sfortuna lo sferza. 6) Sorreggi nella dura fatica il trainer che è il cireneo della situazione. Non criticarlo. 101 volte su 100 è una persona che di calcio ne sa più di te. 7) Non chiedere tessere o entrate di favore, sono cose che sentono di elemosina e degradano chi le chiede. 8) Non criticare per partito preso. Da vero sportivo, ama lo sport per lo sport, eludendo personalismi o beghe. Ricorda che lo sport è sinonimo di lealtà e senso cavalleresco. 9) Rispetta gli arbitri  e le squadre  avversarie, solo così potrai giustamente esigere che il Napoli sia rispettato. 10) Napoli ha tradizioni nobilissime di ospitalità e cortesia. Ricordalo sempre, specie sul campo di giuoco.

Quando cadde il Fascismo cambiarono anche lo scudetto

  Due giocatori campioni d'Italia con lo scudetto sul petto: a sinistra Renato Olmi, il  famosissimo centrosostegno (come veniva chiamato nei primi decenni del secolo scorso il ruolo di centromediano) dell'Ambrosiana-Inter,  con lo scudetto conquistato nel '37-38 in piena epoca fascista. Come si nota, lo scudetto non era bianco rosso e verde ed era affiancato da un fascio littorio, simbolo del  Fascismo, e sovrastato da una corona reale simbolo della monarchia, che allora divideva con i fascisti la responsabilità nella guida dell'Italia. Dopo il campionato 1942-43, con la caduta del regime, cambiò anche lo scudetto sulle maglie dei campioni . La prima squadra che si fregiò del nuovo scudetto senza il fascio fu il Torino vittorioso nel  1945-46. Simile allo scudetto fascista era anche quello che portavano sul petto i giocatori della Nazionale azzurra durante il ventennio. Nella seconda foto, lo scudetto,  prescelto dalla Federcalcio dal 1945-46, stavolta sulla maglia di Ciro Ferrara, vittorioso col Napoli, nel campionato '86-87.

 La censura del Duce anche sulle notizie sportive



    Abbiamo avuto la fortuna di consultare, con attenzione, gradimento le un filo sottile di malinconia le rare collezioni del “Calcio Illustrato” del periodo dell’ultima grande Guerra, dal 1939 al 1944. Il “Calcio Illustrato”, diffusissimo e per lungo tempo unico settimanale specializzato,  resta la più importante testimonianza del football del passato, con le sue foto, i suoi commenti, le sue cronache, le sue firme prestigiose, le famose "disegnate" di Silva, e sue belle rubriche. Ebbene, abbiamo dovuto constatare – ma c’era da aspettarselo – che nel rispetto delle disposizioni del Fascismo e nel solco delle “veline” (che erano gli "ordini di stampa" con i quali il regime regolava le informazioni ai giornali italiani, disponendo, giorno per giorno, che cosa si poteva o non si doveva pubblicare per far apparire l’Italia una Nazione in ordine, felice e per niente preoccupata della guerra) in base a questo discutibilissimo  principio, sulle pagine del “Calcio Illustrato” dell’epoca non si fa cenno alcuno né al clima difficile in cui si svolgevano i campionati in quei giorni terribili, né ai ricorrenti pericoli dei bombardamenti durante le partite, né ai tanti calciatori caduti in guerra o sotto le macerie, né agli spostamenti orari degli incontri, preferibilmente  di mattina, nelle ore meno prescelte dagli Alleati  per i bombardamenti aerei su Napoli e sulle altre città, né – ad esempio e ci è sembrato una grossa lacuna – alcun cenno sulla distruzione dello Stadio Ascarelli, ribattezzato "Partenopeo" dopo le leggi razziali del 1938:  una pioggia di bombe anglo-americane lo aveva reso impraticabile. Solo un piccolo passaggio in un articolo del pur attento Carlo Di Nanni, che, commentando la partita conclusiva del campionato 1942-43, lo spareggio promozione tra Napoli e Modena, fa riferimento  con coraggio e col suo stile  furbo e forbito a “spogliatoi di fortuna nei quali sono allogati gli antagonisti che decidono un’annata di lotta nel pieno sole di prima mattina: lì sulla collina vomerese gremita come non mai a dispetto di sirene allarmanti e di pericoli immanenti. Segno di serena fiducia, di virile compostezza civica, di amore indefettibile alla causa sportiva che si identifica con quella più alta della Patria guerriera”. Saranno state queste nobili parole patriottiche, inserite nel finale dell'articolo, a far passare in tipografia e alle stampe eccezionalmente l’accenno alle “sirene allarmanti” ed ai “pericoli immanenti”. E sapete perché si giocava in emergenza nell'impianto  del Vomero, lo stadio "Littorio"? Niente meno perché l’Ascarelli da poco era stato reso inservibile dai bombardamenti alleati. Ma non se ne poteva  fare cenno sul giornale ! L’Italia calcistica non doveva sapere. In compenso, come una perfetta liturgia, erano ricorrenti sul settimanale le sfilate fotografiche di dirigenti federali in orbace, giocatori in divisa (che salutavano romanamente, è ovvio), ”direttive del Segretario del Partito per lo sport in tempo di guerra”, lo sport italiano - sosteneva il Fascismo - deve “continuare a perseguire lo scopo fondamentale di preparare i giovani a essere, nel fisico e nel morale, atti al combattimento. Si prepara così alla guerra chi non è stato ancora chiamato alle armi e si mantiene in efficienza fisica e agonistica la grande massa richiamata sotto le bandiere”. Tutti aulici princìpi sbandierati dal regime fascista da inculcare ai frastornati e impauriti tifosi, in aggiunta a disposizioni alla stampa, terra terra, come quella del 6 novembre 1939 che imponeva ai giornali tutti, non solo a quelli sportivi di: “non sfottere sui giornali gli arbitri nelle cronache delle partite di calcio e nei commenti sul campionato” . Così andava l’Italia e così doveva andare (e andò) anche il calcio. Nella foto, un gruppo di marinai calciatori militanti in Serie A.

              Perchè Verona odia tanto Napoli ed i napoletani


  
 Quante volte abbiamo sentito parlare ed abbiamo letto della tradizionale e spietata rivalità tra i tifosi del Napoli e del Verona, risalente a decenni e decenni fa? E’ ormai una discordia ben nota e rientra nel clima ostile del famigerato “triangolo antimeridionale Bergamo - Brescia - Verona”. Molti accettano la singolare “tradizione”, senza approfondire sui motivi di questa accesa e scomposta “inimicizia” che troppo spesso ha avuto come protagonisti attivi soprattutto i sostenitori gialloblù. Alla vigilia di un Verona-Napoli (ci sfugge ora l'anno) furono scoperti dalla Polizia persino alcuni esplosivi disseminati lungo il tratto che avrebbero dovuto percorrere i tifosi azzurri per raggiungere lo stadio. Per fortuna, in occasione delle sfide tra veronesi e napoletani, la Forza Pubblica è stata sempre costretta ad una mobilitazione in massa, molto di più che non a Napoli.
   Tentiamo ora di ricostruire  alcuni episodi  che in passato hanno lasciato il segno doloroso sulla pelle della squadra veronese, tanto da…spiegare così il livore verso i tifosi azzurri, livore che ha avuto il suo momento più significativo e fragoroso, quando sugli spalti del “Bentegodi” apparvero gli striscioni “Vesuvio pensaci tu!”, “ Forza Vesuvio!”, “Benvenuti in Italia!” e “Lavatevi!”. A queste becere offese arrivò solennemente la più bella replica …lirica e maestosa da tutta la curva Nord del San Paolo con l’ormai famoso, lunghissimo  e caustico striscione “Giulietta è ‘na zoccola e Romeo è cornuto!”, striscione circondato da una marea di allusive banane.
   L’ultimo episodio dell’acredine gialloblu contro il Napoli è stato registrato in occasione della sconfitta per 3-1 nel finale del campionato di Serie B (sabato, 26 maggio 2007), con l’aggressione ai giornalisti partenopei , unici napoletani presenti allo stadio (e unico bersaglio da insultare) . Ma facciamo un viaggio indietro nel tempo.

1961-62: inghippo napoletano e il Verona non andò in A – Alla vigilia di Verona-Napoli, la società azzurra fu accusata per un illecito messo in atto per vincere la partita, avendo alcuni personaggi molto vicini al Napoli contattato giocatori gialloblù, tra cui il portiere Ciceri. Nonostante prove e testimonianze che sembravano inoppugnabili, raccolte dal famoso inquisitore Dario Angelini, Capo dell’Ufficio Inchieste, il Napoli, grazie al suo dinamico e astuto dirigente Gigino Scuotto, riuscì a cambiare molte carte in tavola e a cavarsela. Il tentativo di illecito fu considerato  alla fine una "iniziativa personale" di un aspirante dirigente del Napoli,  Antonio Corcione e di due suoi cognati, i fratelli Tardugno, per ottenere benemerenze nei confronti di Lauro. Registrazioni telefoniche, fotografie e filmati li accusavano senza scampo. Mancavano, però,  le prove della responsabilità diretta del Napoli. E quelle che c'erano - si dice -  furono manomesse... Il Napoli ebbe il tempo per discolparsi perchè per fortuna la partita in programma il 27 maggio, fu rinviata a fine campionato, 17 giugno, per un violentissimo temporale. Vinsero poi egualmente e regolarmente gli azzurri (1-0 con gol di Corelli) che vennero così promossi proprio a danno del Verona, al quale sarebbe bastato un pari per salire in A. Gli scaligeri si classificarono, infatti,  ad un solo punto dal Napoli e si sentirono defraudati della promozione in A dei partenopei , mentre erano convinti che il Napoli alla fine avrebbe pagato per l’illecito. Un valido  motivo di grosso risentimento.

1970-71: la beffa di Ferlaino ai veronesi - Il Verona in cerca di milioni per riassestare il suo bilancio, accettò di cedere il suo centravanti Clerici al Napoli. Ferlaino aveva già firmato, ma di fronte al muso duro di Lauro che non voleva spendere soldi, fece marcia indietro, beffando il presidente del Verona. In albergo, l’ingegnere-presidente si fece consegnare da Garonzi, con un pretesto, il contratto firmato e improvvisamente lo strappò, lasciando il Verona – alla fine del “mercato” – nei guai economici, perché Garonzi non riuscì più a piazzare il suo centravanti.

1973-74: una telefonata costò la retrocessione al Verona
- A cinque giornate dalla fine del campionato, fallì un tentativo di illecito del Verona ai danni del Napoli. Il presidente Garonzi telefonò all'azzurro  Clerici (ceduto al Napoli dalla Fiorentina) promettendo un suo interessamento presso Agnelli per l’apertura di una grossa filiale Fiat in Brasile se “avesse fatto il bravo” contro i suoi ex compagni. La telefonata fu scoperta, grazie al lavoro giornalistico di Romolo Acampora, redattore de "Il Mattino", mentre la tesi della colpevolezza veronese, durante l'inchiesta federale,  fu sostenuta dall'autorevole Mino Mulinacci sulle colonne della "Gazzetta dello Sport". Il Napoli, ovviamente,  cavalcò lo scandalo mentre il Verona  vinse poi regolarmente la partita per 1-0. I gialloblù veronesi furono, però,  ritenuti colpevoli e retrocessi in Serie B. In occasione di una successiva partita di Coppa Italia, a Verona in notturna, conclusasi con una sconfitta gialloblù per 2-1, gol della vittoria segnato da Altafini con una fulminea rovesciata (nessuno in un primo momento, a causa della scarsa illuminazione dello stadio si era accorto dove fosse finita la palla, scoperta poi in un angolo in fondo alla rete veronese), si scatenò la furia dei tifosi scaligeri: questi cercavano i "colpevoli " Acampora e Mulinacci, si può capire con quali intenzioni. Mulinacci, però, saggiamente consigliato, si era ben guardato dal recarsi  al "Bentegodi". Acampora, invece, si presentò egualmente, ben protetto dalla scorta di due ufficiali dei Carabinieri, inviati per precauzione da suo fratello Renato, generale dell'Arma a Trieste. Acampora fu affrontato duramente  negli spogliatoi dal segretario del Verona, Fiumi: "Ti ci hai rovinati, ci hai mandato tu in Serie B!" E Romolo Acampora,  serafico, replicò a Fiumi e agli astanti, tutti veronesi accecati: "Non vi ho mandato io in B, ma il vostro presidente, che - come dice Nereo Rocco - è nato sugli alberi...". I  colleghi napoletani, comunque, poterono lasciare lo stadio veronese soltanto dopo due ore di "parlamentari", cui collaborò attivamente il capitano del Napoli, Antonio Juliano.

1975-76: la mortificazione in Coppa Italia
- Il Napoli impedì al Verona di conquistare la Coppa Italia nella sua prima finale di Coppa della storia gialloblù, mortificando e sbeffeggiando all’Olimpico i veronesi con un sonoro 4-0. I tifosi veronesi trasferirono anche a Roma il loro astioso comportamento contro i sostenitori napoletani che però, per l'occasione,  erano in maggioranza. Sempre a proposito di "paliatoni" è il caso di ricordare il 5-0 (1985-86) impreziosito da un gol speciale e vendicativo di Maradona (Diego l'anno prima era stato umiliato a Verona da un 3-1 al suo esordio in Italia). Il povero Giuliani (che poi sarebbe venuto a difendere la porta del Napoli) fu uccellato con un diabolico tiro da 45 metri.

2006-07: lo sfogo contro i giornalisti napoletani - A fronte di una imprevista sconfitta casalinga (1-3) , ed in assenza sugli spalti dei tifosi napoletani, tenuti lontani dal “Bentegodi” per ragioni di sicurezza dal Prefetto veronese, un centinaio di sostenitori veneti hanno sfogato l’ira per la sconfitta casalinga – secondo tradizione - contro i giornalisti napoletani, sistemati in Tribuna Stampa, con lancio di sputi, bottigliette, ingiurie e oggetti vari, dopo che uno di loro aveva osato esultare al secondo gol del Napoli . E’ stato necessario ricorrere alla Forza Pubblica per contrastare la violenza e calmare gli animi esacerbati per la (meritata) sconfitta.

  Nella foto in alto , l'esultanza degli azzurri intorno al dirigente  Fiore ed a Pesaola, dopo la vittoria a Verona con la quale il Napoli conquistò la promozione in Serie A nel 1962, a danno proprio dei gialloblu.