Quel 3,5 in
pagella: la vergogna di Diego
di Giuseppe Pacileo

"E che dico ora alle
mie figlie?..." esclamò Maradona

Accadde in
quel di Udine, sala stampa dello stadio
"Friuli", che Franco Melli - allora
inviato itinerante per il Corriere della
Sera - si mettesse a sbirciare i servizi
degli altri inviati. Non seguiva sempre
la stessa squadra, e allora cercava
conforto alle proprie valutazioni.
Sbirciò anche la mia "pagella"; e spiccò
un salto. L'indomani sul Corriere, ben
evidenziata in un riquadro, apparve la
notizia che, nientepopodimeno! un
giornalista napoletano aveva affibbiato
un 3,5 all'eminentissimo don Diego
Maradona. A quei tempi - e temo anche
oggi - si usava concedere almeno il 6 di
stima ai grandi giocatori, magari nel
timore che la volta successiva
sfoderassero tutto il loro talento
facendoti così finire sulla groppa di un
maiale.
Ecco come l' "evento" ebbe immediata risonanza nazionale. Il
sottoscritto venne subissato di
telefonate richiedenti il perché e il
percome, nonché inviti a comparsate in
varie televisioni. Parlai soltanto con
un caro amico, Rosario Pastore, della
Gazzetta dello Sport, spiegandogli
banalmente che, partendo dal 2 di base,
avevo aggiunto mezzo punto per la
trasformazione del rigore ed un punto
per il passaggio-gol. Altro per quasi
tutta la partita il bravo Tiechìte non
aveva prodotto, e questo mi era sembrato
molto grave per un raro fuoriclasse,
nonché capitano della squadra e idolo di
una intera città.
Il lunedì sera mi recai negli studi di Canale 34 per la
trasmissione "Number One", come di
consueto. Inopinatamente e casualmente
prima della trasmissione vi incontrai
Maradona. Costui, con volto corrucciato,
mi apostrofò chiedendomi conto e
ragione: "Non me importa tanto del voto,
ma che le racconto alle mie figlie se me
domandano di che cosa me devo
vergognare? Io non me devo vergognare de
niente!" e, appallottolato il foglio
incriminato del Mattino, me lo lanciò
contro. "Senza colpire", come
scriverebbe il giudice sportivo.
La partecipazione del divo mi era stata accuratamente tenuta
nascosta, per
cui decisi di affibbiare all'emittente
un anno di squalifica, e cominciando da
quella sera scomparvi dai suoi schermi.
Piovvero ogni sorta di supposizioni,
come minimo: "Maradona ‘a vattuto a
Ppacileo!". Pacileo invece, benché non "vattuto",
aveva ritenuto opportuno evitare
confronti in video sgradevoli che
potevano anche scendere sotto il livello
dell'accettabile. Pacileo si recò invece
da Pasquale Nonno, allora direttore del
Mattino, chiedendogli un mutamento di
incarico; giacché ogni sua valutazione
successiva di Maradona sarebbe stata dai
più considerata con sospetto: quello che
in gergo giuridico si chiama legittima
suspicione. Nonno rispose picche: "Non
puoi ritirarti e dargliela vinta".
Siccome il direttore era lui non mi
rimase che continuare. Non molto tempo
dopo il buon Tièche avrebbe dovuto
vergognarsi di essere stato arrestato, a
Buenos Aires, a casa sua, sempre per
fatti di droga. Chissà che cosa avrà
detto in quella occasione alle figlie...
Giuseppe Pacileo
N. B. La settimana prima della partita di Udine l'Italia aveva
giocato a Cagliari contro l'Argentina,
che ovviamente schierava Maradona. Era
finita 0-0 e la prestazione del "nostro"
era stata da me valutata esattamente 3,5
(evidentemente era un periodo molto
"polveroso".). Quella volta però non se
ne era accorto quasi nessuno.
Le vittorie figlie di un patto tra azzurri e Società
di Francesco
Marolda
C’è
modo e modo di vincere una gara. E anche d’arrivare ad
un successo assai importante. A volte basta una giocata.
Un’invenzione. Un disegno perfetto con la palla. Altre
volte può bastare pure un patto. Un giuramento. Proprio
così. E a giudicare dalla storia azzurra i patti da
spogliatoio valgono parecchio, visto che poi hanno
sempre regalato buoni risultati. In verità non c’è un
archivio-patti, una raccolta attenta e meticolosa dei
segreti più segreti degli azzurri. Si va a memoria. E la
memoria riesce a tornare indietro sino a quarant’anni
fa.
1966 : gli stipendi di
Lauro - Datato 1966 il
primo patto azzurro. «C’era una questione di stipendi.
Si gioca? Non si gioca? Arrivammo alla vigilia del match
col Cagliari di Riva e tutto era ancora incerto. Al
punto che - racconta Enzo Montefusco - nello spogliatoio
arrivò il Comandante Lauro in persona. Venne a dirci che
dovevamo andare in campo. Che non avrebbe tollerato un
ammutinamento. Antonio Juliano, che di quel Napoli era
il capitano, però gli tenne testa. Gli ribadì le nostre
ragioni e gli disse che avremmo giocato soltanto se lui,
lui in persona, si fosse impegnato a pagare gli
arretrati. Juliano La spuntò. Noi la spuntammo. In
verità, ora lo posso dire, mai avremmo tradito i nostri
tifosi, avremmo giocato ugualmente, però ci sentimmo
ancora più impegnati. Come finì? Andammo in campo e
vincemmo noi».

1985: la pace tra due
gruppi - Quasi vent’anni
dopo un altro patto. Storico stavolta. Il Napoli non
andava granché bene e il club ordinò a Marchesi un
ritiro lungo. Squadra dal due al sei gennaio a Vietri,
in un albergo con bella vista sul mare nero
dell’inverno. Tutti là. Tutti, ma non Maradona che
contestò lo spirito punitivo di quella decisione. E ci
volle tutta la pazienza e l’amicizia di Beppe
Bruscolotti per convincere Diego a unirsi al resto della
squadra. «Maradona ci raggiunse, tra noi furono giorni
di confronto e fu la svolta. Mi piace pensare che forse
partì da lì, da Vietri, la cavalcata azzurra verso
scudetti e coppe». Bruscolotti giura che non c’erano
divisioni in quello spogliatoio. Segreti d’antico
capitano e mai traditi, mai svelati. Però nessuno ha mai
smentito che Vietri in realtà sancì la pace tra due
gruppi: quello che faceva capo a Maradona e quello che
invece s’identificava in Bagni. Una pace benedetta, se è
vero come è vero che quel Napoli che andava maluccio in
campionato trasformò la sua stagione arrivando a
sfiorare la qualificazione per l’Europa. Nella foto,
Bruscolotti
1986:
fuori dall'Europa, puntiamo allo scudetto
- Impegno d’onore tra tutti i giocatori azzurri
negli spogliatoi di Soccavo, dopo l’amara
eliminazione dalla Coppa Uefa a Tolosa.
Recentemente, Marino e Bagni hanno rivelato che quel
giorno, gli azzurri con Bianchi si strinsero intorno
ad un solo obiettivo: “Abbiamo fallito l’Europa, ora
dobbiamo centrare gli altri due traguardi, o lo
scudetto o la Coppa Italia!” E tutti, come per un
giuramento, misero una mano sull'altra, compreso il
distaccato Bianchi (che sentiva sul collo il fiato
di Bilardo). Sembrava impossibile, poteva apparire
una “sbruffonata”, un impegno scritto sull’acqua e
invece sorprendentemente il Napoli, “ricucito” con
una immediata vittoria contro il Torino (era in
svantaggio), vinse poi sia lo scudetto che la Coppa
Italia.
1989: un giuramento per la Coppa -
L’Inter dei record e di Trapattoni corre verso il
tricolore. Al Napoli secondo in classifica non resta che
la Coppa Uefa. Nei “quarti”, però, a Torino, gli azzurri
s’arrendono alla Juve per 2-0. Una stagione che s’avvia
verso la delusione, ma Bianchi e squadra non ci stanno e
stringono un patto per la Coppa. E così, accade che al
ritorno la Juve è battuta per 3-0. con un gol di Renica
nei “supplementari”. Un giuramento ripetuto poi contro
il Bayern di Monaco in semifinale e infine contro lo
Stoccarda. E fu il trionfo. Figlia di un patto, dunque,
anche la coppa Uefa.
1994: tutti con Lippi per l’UEFA -
L’anno di Lippi, l’anno in cui il Napoli che da mesi e
mesi non prendeva lo stipendio pensava più alla messa in
mora che al pallone e agli avversari. Stava prendendo
una brutta piega la stagione e allora Lippi radunò la
squadra e parlò da uomo forte. Rimise assieme il gruppo,
lo ricompattò, gli diede forza e con i giocatori strinse
un patto: rispondere con l’impegno e i risultati alle
carenze e alle promesse non mantenute della società.
Ebbene, quel Napoli di Ferrara e Cannavaro, lanciato da
Lippi in quella stagione, all’ultima giornata
addirittura conquistò la zona Uefa vincendo a Foggia per
1-0. Di Di Canio il gol.
2006: la notte di Castelvolturno
- Il Napoli è primo, sogna la promozione in B, ma
qualcosa s’inceppa nel meccanismo azzurro che a
Castellammare di Stabia va in frantumi. È il 19 febbraio
quando gli azzurri escono sconfitti malamente da qual
primo derby della storia. De Laurentiis fiuta il rischio
del crollo della squadra e alza la voce. Raduna tutti a
Castelvolturno e nel silenzio d’una notte senza luna
interroga e discute con gli azzurri. Richiama il gruppo
ai suoi doveri e rimette assieme i cocci della squadra.
Ebbene, da quel momento il Napoli non si ferma più e con
bell’anticipo brinda al ritorno in serie B.
2007:
il crac di Crotone
- Diciotto risultati utili di fila. E' il Napoli
dei record quello che s'illude addirittura
d'agganciare la Juve padrona della serie B. Poi, il
17 marzo, quello che non t'aspetti: il Napoli va a
Crotone e perde. Ma più che una sconfitta è una
disfatta. Due gol in 18 minuti, una difesa
inesistente, un Napoli che s'arrende senza opporsi.
Finisce 2-1 per i calabresi ed è una brutta sveglia
per gli azzurri, anche perché la sconfitta apre la
porta a malumori, accuse, anche insulti. Come quello
che Paolo Cannavaro rivolge all'allenatore che lo
richiama in panchina quasi fosse lui l'unico
responsabile della partitaccia della squadra. Ferito
e percorso da tensioni, il Napoli si ritrova ancora
una volta a fare i conti con se stesso. Nel chiuso
dello spogliatoio si confronta, parla chiaro e
stringe un'alleanza basata su due principi: rispetto
dei ruoli e delle gerarchie e messa al bando d'ogni
personalismo in nome della ragion di squadra.
Riparte così, a 14 giornate dalla fine, la caccia
alla promozione in serie A.
Francesco Marolda
Aumentano
i sostenitori della squadra partenopea

Quasi due milioni e mezzo
sono per il Napoli
-
In
tutto il mondo sono sei milioni.
Così sostengono coloro che di
queste cifre se ne intendono.
Avranno fatto i loro calcoli,
certo che i tifosi del Napoli
sono ovunque, in tutti i
continenti, in ogni Paese, in
qualunque città. Non sappiamo se
è un record, ma è una bella
cifra, invidiabile anche per le
grandi Società. E in Italia?
Quanti sono i tifosi della
squadra azzurra? In base ad uno
studio pubblicato
dall’autorevole “Corriere della
Sera” i tifosi del Napoli
sarebbero due milioni e mezzo,
sparsi in tutta la Penisola,
posizionati al quarto posto dopo
la Juve, che guida la classifica
con circa dieci milioni di
tifosi, il Milan con circa
cinque milioni e l’Inter con
circa quattro milioni e mezzo.
Dopo il Napoli in classifica
figurano la Roma, la Fiorentina,
il Cagliari, il Torino ed il
Palermo. Secondo questa ricerca
solo il 25% degli italiani non
fa il tifo per alcuna squadra.
Il Torino,
eccezione
nella mappa del tifo
S. Paolo non politicizzato
A
margine dei violenti episodi che
hanno fatto seguito, nel novembre del 2007, all'accidentale morte
del tifoso laziale Gabriele Sandri, sul sito della
“Stampa on line” è apparsa
un’aggiornata mappa del tifo,
interessante ricerca sulle
coloriture politiche delle curve
nel nostro massimo campionato.
Da questa analisi viene fuori,
tra l’altro, che il tifo
napoletano organizzato non ha coloriture politiche, mentre l’unica squadra
di Serie A che non ha nessun
gruppo organizzato (tanto meno
politicizzato) è il Torino, i
tifosi non sono politicamente
schierati, espongono solo lo
striscione “Ciao Fè”, dedicato
ad un ex componente dei
disciolti ultras granata.
In proposito, abbiamo voluto
chiedere un intervento a
Gianpaolo Ormezzano, apprezzato
e notissimo giornalista
torinese, famoso anche per
essere un appassionato tifoso
dal “cuore granata”.
ll
solo collante
è l’anti Juve
di Gianpaolo Ormezzano
Una
decina di anni fa a Torino fu
presa la decisione di ospitare
in curva Maratona anche i
“Granata Korps”, di destra, e
però, contemporaneamente, di
escludere la politica. Non c'è
un padre certo della decisione,
e neppure un motivo scatenante.
Forse si trattò semplicemente di
sentimento d'amore per la
squadra in difficoltà croniche,
amore superiore ad ogni
connotazione politica e tale da
far unire tutte le forze (si
era, com’è noto, in piena
dominazione juventina). Sin lì
la curva era stata tutta e
decisamente di sinistra, con
foto di Guevara e saluti a pugno
sinistro chiuso. Da allora
niente “Che” ma niente croci
celtiche, sempre più abbondanti
nella curva bianconera, e tutto
sommato il cocktail funziona
bene ed è assolutamente
digeribile.
La tendenza più diffusa della gente della curva Maratona è sempre
quella di stare a sinistra, ma
allo stadio non lo si fa pesare.
I gemellaggi - Fiorentina in
primis, poi anche Genoa - non
comportano nessuna spartizione
di idee politiche, il solo
collante è l'avversione alla
Juventus. Tra l'altro gli ultras
di Fiorentina e Genoa fra loro
si odiano, e quelli viola sono
gemellati con i veronesi del
Verona, piena destra bieca,
quelli del Genoa col Napoli,
estraneo al Toro. Se devo
ricordare uno striscione della
curva Maratona in qualche misura
politicizzato (con humour) degli
ultimi tempi mi viene in mente
soltanto la risposta, per
Torino-Lazio, ai laziali che la
domenica precedente avevano
esposto a Roma un "Onore alla
Tigre Arkan", quando in un
attentato era stato ucciso a
Belgrado un noto capopopolo di
destra, un serbo ferocemente
nazionalista legato come
dirigente o addirittura
presidente ad una squadra di
calcio, non ricordo se il
Partizan o la Stella Rossa. La
curva Maratona in quell'occasione
dispiegò un, a mio parere
divertentissimo e intanto
impegnato, "Onore al Gatto
Silvestro".
Gianpaolo Ormezzano
I SOPRANNOMI CONIATI ALLA
RADIO PER GLI AZZURRI
"Si gonfia la rete!..."
di Raffaele
Auriemma

Raffaele Auriemma, Capo dei
Servizi Sportivi de "Il Roma", è da anni,
ininterrottamente dal 1990, il radiocronista
che ha raccontato con grande competenza,
agilità ed obiettività gli incontri del
Napoli su " Radio Kiss, Kiss" e da questa
stagione sta conducendo le telecronache
"parziali" per Mediaset Premium. E' autore
del recente "Si gonfia la rete", il
piacevole libro che, realizzato da Radio
Kiss Kiss Napoli, in accordo con Edizioni
Graf, celebra la promozione della formazione
azzurra in serie A, con un' audio-raccolta
in cui viene narrato, con passione, il
cammino della squadra di Reja, sull'onda dei
gol più significativi della stagione
azzurra. E il grido elettrizzante “si gonfia
la rete!” ripetuto più volte, alla maniera
sudamericana, accompagna ormai da tempo i
gol realizzati dal Napoli, nelle sue
radiocronache. Raffaele Auriemma, comunque,
si è caratterizzato, ed è apprezzato molto
dai tifosi affezionati alla radio, per aver
coniato, nel corso degli anni, una serie di
appellativi ben appropriati, soprannomi di
gusto e di indubbia efficacia, con i quali è
solito contraddistinguere i giocatori
partenopei durante le sue radiocronache.
Abbiamo ritenuto di offrirgli la possibilità
di spiegare questa sua ingegnosa
"specialità" attraverso un gradito
intervento sul nostro sito.
Non ho inventato
nulla, me ne guardo bene anche solo dal
pensarlo, ma semplicemente ho prima raccolto
e poi assecondato un vezzo tipicamente
napoletano. Chi di noi, a scuola oppure in
famiglia e al lavoro, non ha dato e subìto
un nomignolo? "O' cines", "O' russ", "O'
chiatt", "O' pazz": a seconda delle
caratteristiche fisiche o comportamentali,
ecco stampato il conseguente appellativo.
Destinato, poi, a diventare un marchio
indelebile sull'anima, più che sulla pelle,
in quanto costretto a sopravvivere alla
stessa esistenza terrena. Da qui l'idea, a
quanto pare molto apprezzata dalla
tifoseria, di catalogare i calciatori
secondo un glossario toponomastico tale da
soppiantare i dati anagrafici dei
protagonisti in maglia azzurra.
Pino Taglialatela è un buon testimone: da quando gli ho affibbiato
il nomignolo "Batman", non c'è un solo
intenditore di calcio che non lo chiami
così, prima ancora che pronunciare il suo
nome di battesimo. L'identificazione fu così
stretta da consigliare l'ex portiere del
Napoli ad indossare sul terreno di gioco
maglie personalizzate con il simbolino di "Batman".
Ancora oggi c'è Nando Coppola, estremo
difensore dell'Atalanta, che indossa una
casacca simile, sempre con il marchietto di
"Batman", sia per la fedeltà nei confronti
di Taglialatela che lo ha aiutato nella
crescita, sia nel rispetto del nomignolo "Robin"
che ebbe dal sottoscritto nell'anno della
promozione del Napoli in A, stagione
1999-2000.
Andando ancora più in alto, arriviamo fino al capitano della
nazionale italiana, che ha alzato al cielo
la Coppa del Mondo: Fabio Cannavaro. Cinque
anni fa, venendo a Napoli con la nazionale,
fu intervistato dai giornalisti della carta
stampata che gli chiesero quali erano i
ricordi più cari della sua esperienza
napoletana. Tra i tanti, ammise di essere
legato al nomignolo che il sottoscritto gli
affibbiò nelle uniche due stagioni da
protagonista nel Napoli: "Carrarmato"
Cannavaro.
Venendo al Napoli attuale, il più recente è anche quello del calciatore
autore di una doppietta a Udine, Marcelo
Zalayeta. A nessuno sarà sfuggito il
film-cult "Matrix" nel quale spiccava la
figura di un capo della rivolta degli esseri
umani, contro gli invasori di un altro
pianeta. Richiamava "Morpheus" ed era
identico al centravanti azzurro: basta
mettergli sul naso un paio di occhiali scuri
e il gioco è fatto. Per completezza, ecco i
nomignoli riservati agli altri azzurri di
questa stagione: Iezzo: belzebù; Grava:
ghostbuster; Contini: tre metri sopra il
cielo; Cannavaro: dandy; Domizzi: il muro
del pianto; Savini: Gengis Khan; Blasi:
cuore di pietra; Gargano: Arnold; Hamsik:
Marechiaro; Lavezzi: pocho loco; Garics:
soldato; Rullo: rullerball; Maldonado:
coyote; Cupi: cupido; Montervino: wanted;
Gatti: soldino; Bogliacino: Tom Tom; Dalla
Bona: lady Oscar; De Zerbi: garfield; Calaiò:
goaldrake; Sosa: il pampa.
Raffaele Auriemma
Il gadget più singolare , col
decalogo per i tifosi

Un ventaglio in cartone distribuito dal Napoli ai suoi abbonati
negli Anni Trenta. In questo che vi presentiamo figura la foto del
terzino Innocenti, mentre sul retro c'è un vero decalogo per il tifoso
perfetto. Ecco i dieci "comandamenti" del Napoli:1) Fatti socio del Napoli; farai
parte di una famiglia che combatte all'ombra di un gagliardetto
glorioso ed onorato. 2) Ama la
tua società: essa è la tua seconda famiglia, sorreggila col tuo
appoggio e difendila sempre ed ovunque. 3) Sii benigno propagandista
della tua società; gli acquisti, i miglioramenti tecnici sono
realizzabili solo quando la Società dispone di mezzi finanziari
forti, dovuti al maggior numero di soci .4)
Rispetti ed abbi fede nel dirigente, la cui opera
diuturna e tacita non è mai apprezzata dai critici a buon mercato.
Aiutalo perciò anche con fiducioso silenzio.
5)
Ama i giuocatori, non avere antipatie per alcuni,
ne' eccessive simpatie per altri. Lottano tutti per lo stesso ideale,
sostienili ancora di più quando la sfortuna lo sferza.
6)
Sorreggi nella dura fatica il trainer che è il cireneo
della situazione. Non criticarlo. 101 volte su 100 è una persona che
di calcio ne sa più di te. 7)
Non chiedere tessere o entrate di favore, sono cose che sentono di
elemosina e degradano chi le chiede. 8)
Non criticare per partito preso. Da vero sportivo, ama lo sport per
lo sport, eludendo personalismi o beghe. Ricorda che lo sport è
sinonimo di lealtà e senso cavalleresco.
9)
Rispetta gli arbitri e le squadre avversarie,
solo così potrai giustamente esigere che il Napoli sia rispettato.
10) Napoli ha tradizioni
nobilissime di ospitalità e cortesia. Ricordalo sempre, specie sul
campo di giuoco.
Quando cadde il Fascismo cambiarono anche lo scudetto

Due giocatori campioni d'Italia con lo
scudetto sul petto: a sinistra Renato Olmi, il
famosissimo centrosostegno
(come veniva chiamato nei primi decenni del secolo
scorso il
ruolo di centromediano) dell'Ambrosiana-Inter, con lo scudetto conquistato nel '37-38 in piena epoca
fascista. Come si nota, lo scudetto non era bianco rosso
e verde ed era affiancato da un
fascio littorio, simbolo del Fascismo, e
sovrastato da una corona reale simbolo della monarchia,
che allora divideva con i fascisti la responsabilità
nella guida dell'Italia. Dopo il campionato 1942-43, con
la caduta del regime, cambiò anche lo scudetto sulle
maglie dei campioni . La prima
squadra che si fregiò del nuovo scudetto senza il fascio
fu il Torino vittorioso nel 1945-46. Simile
allo scudetto fascista era anche quello che
portavano sul petto i giocatori della Nazionale azzurra
durante il ventennio. Nella seconda foto, lo
scudetto, prescelto dalla Federcalcio dal
1945-46, stavolta sulla maglia di Ciro Ferrara,
vittorioso col Napoli, nel campionato '86-87.
|
La censura del Duce anche sulle notizie sportive

Abbiamo
avuto la fortuna di consultare, con attenzione,
gradimento le un filo sottile di malinconia le rare collezioni del “Calcio Illustrato”
del periodo dell’ultima grande Guerra, dal 1939 al 1944.
Il “Calcio Illustrato”, diffusissimo e per lungo tempo
unico settimanale specializzato, resta la più
importante testimonianza del football del passato, con
le sue foto, i suoi commenti, le sue cronache, le sue
firme prestigiose, le famose "disegnate" di Silva, e sue belle rubriche. Ebbene,
abbiamo dovuto constatare – ma c’era da aspettarselo –
che nel rispetto delle disposizioni del Fascismo e nel
solco delle “veline” (che erano gli "ordini di stampa"
con i quali il regime regolava le informazioni ai
giornali italiani, disponendo, giorno per giorno, che
cosa si poteva o non si doveva pubblicare per far
apparire l’Italia una Nazione in ordine, felice e per
niente preoccupata della guerra) in base a questo
discutibilissimo principio, sulle pagine del
“Calcio Illustrato” dell’epoca non si fa cenno alcuno né
al clima difficile in cui si svolgevano i campionati in
quei giorni terribili, né ai ricorrenti pericoli dei
bombardamenti durante le partite, né ai tanti calciatori
caduti in guerra o sotto le macerie, né agli spostamenti
orari degli incontri, preferibilmente di mattina,
nelle ore meno prescelte dagli Alleati per i
bombardamenti aerei su Napoli e sulle altre città, né –
ad esempio e ci è sembrato una grossa lacuna – alcun
cenno sulla distruzione dello Stadio Ascarelli,
ribattezzato "Partenopeo" dopo le leggi razziali del
1938: una pioggia di bombe anglo-americane lo
aveva reso impraticabile.
Solo un piccolo passaggio in un articolo del pur attento
Carlo Di Nanni, che, commentando la partita conclusiva
del campionato 1942-43, lo spareggio promozione tra Napoli e Modena, fa
riferimento con coraggio e col suo stile
furbo e forbito a “spogliatoi di fortuna nei quali sono
allogati gli antagonisti che decidono un’annata di lotta
nel pieno sole di prima mattina: lì sulla collina
vomerese gremita come non mai a dispetto di sirene
allarmanti e di pericoli immanenti. Segno di serena
fiducia, di virile compostezza civica, di amore
indefettibile alla causa sportiva che si identifica con
quella più alta della Patria guerriera”. Saranno
state queste nobili parole patriottiche, inserite nel
finale dell'articolo, a far passare in tipografia e alle
stampe eccezionalmente l’accenno alle “sirene
allarmanti” ed ai “pericoli immanenti”. E sapete perché
si giocava in emergenza nell'impianto del Vomero,
lo stadio "Littorio"? Niente
meno perché l’Ascarelli da poco era stato reso
inservibile dai bombardamenti alleati. Ma non se ne
poteva fare cenno sul giornale ! L’Italia calcistica non doveva
sapere. In compenso, come una perfetta liturgia, erano
ricorrenti sul settimanale le sfilate fotografiche di dirigenti federali
in orbace, giocatori in divisa (che salutavano
romanamente, è ovvio), ”direttive del
Segretario del Partito per lo sport in tempo di guerra”,
lo sport italiano - sosteneva il Fascismo - deve “continuare a perseguire lo
scopo fondamentale di preparare i giovani a essere, nel
fisico e nel morale, atti al combattimento. Si prepara
così alla guerra chi non è stato ancora chiamato alle
armi e si mantiene in efficienza fisica e agonistica la
grande massa richiamata sotto le bandiere”. Tutti
aulici princìpi sbandierati dal regime fascista da
inculcare ai frastornati e impauriti tifosi,
in aggiunta a disposizioni alla stampa, terra
terra, come quella del 6 novembre 1939 che
imponeva ai giornali tutti, non solo a quelli sportivi
di: “non sfottere
sui giornali gli arbitri nelle cronache delle partite di
calcio e nei commenti sul campionato” . Così andava
l’Italia e così doveva andare (e andò) anche il calcio.
Nella foto, un gruppo di marinai calciatori militanti
in Serie A.
Perchè Verona odia tanto Napoli ed i napoletani

Quante volte abbiamo sentito
parlare ed abbiamo letto della tradizionale e spietata
rivalità tra i tifosi del Napoli e del Verona, risalente
a decenni e decenni fa? E’ ormai una discordia ben nota
e rientra nel clima ostile del famigerato “triangolo
antimeridionale Bergamo - Brescia - Verona”. Molti
accettano la singolare “tradizione”, senza approfondire
sui motivi di questa accesa e scomposta “inimicizia” che
troppo spesso ha avuto come protagonisti attivi
soprattutto i sostenitori gialloblù. Alla vigilia di un
Verona-Napoli (ci sfugge ora l'anno) furono scoperti
dalla Polizia persino alcuni esplosivi disseminati lungo
il tratto che avrebbero dovuto percorrere i tifosi
azzurri per raggiungere lo stadio. Per fortuna, in
occasione delle sfide tra veronesi e napoletani, la
Forza Pubblica è stata sempre costretta ad una
mobilitazione in massa, molto di più che non a Napoli.
Tentiamo ora di ricostruire alcuni episodi che in
passato hanno lasciato il segno doloroso sulla pelle
della squadra veronese, tanto da…spiegare così il livore
verso i tifosi azzurri, livore che ha avuto il suo
momento più significativo e fragoroso, quando sugli
spalti del “Bentegodi” apparvero gli striscioni “Vesuvio
pensaci tu!”, “ Forza Vesuvio!”, “Benvenuti in Italia!”
e “Lavatevi!”. A queste becere offese arrivò
solennemente la più bella replica …lirica e maestosa da
tutta la curva Nord del San Paolo con l’ormai famoso,
lunghissimo e caustico striscione “Giulietta è ‘na
zoccola e Romeo è cornuto!”, striscione circondato da
una marea di allusive banane.
L’ultimo episodio dell’acredine gialloblu contro il Napoli è stato
registrato in occasione della sconfitta per 3-1 nel
finale del campionato di Serie B (sabato, 26 maggio
2007), con l’aggressione ai giornalisti partenopei ,
unici napoletani presenti allo stadio (e unico bersaglio
da insultare) . Ma facciamo un viaggio indietro nel
tempo.
1961-62:
inghippo napoletano e il Verona non andò in A
– Alla vigilia di Verona-Napoli, la società azzurra
fu accusata per un illecito messo in atto per vincere la
partita, avendo alcuni personaggi molto vicini al Napoli
contattato giocatori gialloblù, tra cui il portiere
Ciceri. Nonostante prove e testimonianze che sembravano
inoppugnabili, raccolte dal famoso inquisitore Dario
Angelini, Capo dell’Ufficio Inchieste, il Napoli, grazie
al suo dinamico e astuto dirigente Gigino Scuotto,
riuscì a cambiare molte carte in tavola e a cavarsela.
Il tentativo di illecito fu considerato alla fine
una "iniziativa personale" di un aspirante dirigente del
Napoli, Antonio Corcione e di due suoi cognati, i
fratelli Tardugno, per ottenere benemerenze nei
confronti di Lauro. Registrazioni telefoniche,
fotografie e filmati li accusavano senza scampo.
Mancavano, però, le prove della responsabilità
diretta del Napoli. E quelle che c'erano - si dice -
furono manomesse... Il Napoli ebbe il tempo per
discolparsi perchè per fortuna la partita in programma
il 27 maggio, fu rinviata a fine campionato, 17 giugno,
per un violentissimo temporale. Vinsero poi egualmente e
regolarmente gli azzurri (1-0 con gol di Corelli) che
vennero così promossi proprio a danno del Verona, al
quale sarebbe bastato un pari per salire in A. Gli
scaligeri si classificarono, infatti, ad un solo
punto dal Napoli e si sentirono defraudati della
promozione in A dei partenopei , mentre erano convinti
che il Napoli alla fine avrebbe pagato per l’illecito.
Un valido motivo di grosso risentimento.
1970-71: la
beffa di Ferlaino ai veronesi
- Il Verona in cerca di milioni per
riassestare il suo bilancio, accettò di cedere il suo
centravanti Clerici al Napoli. Ferlaino aveva già
firmato, ma di fronte al muso duro di Lauro che non
voleva spendere soldi, fece marcia indietro, beffando il
presidente del Verona. In albergo,
l’ingegnere-presidente si fece consegnare da Garonzi,
con un pretesto, il contratto firmato e improvvisamente
lo strappò, lasciando il Verona – alla fine del
“mercato” – nei guai economici, perché Garonzi non
riuscì più a piazzare il suo centravanti.
1973-74: una telefonata costò la retrocessione al Verona
- A cinque giornate dalla
fine del campionato, fallì un tentativo di illecito del
Verona ai danni del Napoli. Il presidente Garonzi
telefonò all'azzurro Clerici (ceduto al Napoli
dalla Fiorentina) promettendo un suo interessamento
presso Agnelli per l’apertura di una grossa filiale Fiat
in Brasile se “avesse fatto il bravo” contro i suoi ex
compagni. La telefonata fu scoperta, grazie al lavoro
giornalistico di Romolo Acampora, redattore de "Il
Mattino", mentre la tesi della colpevolezza veronese,
durante l'inchiesta federale, fu sostenuta
dall'autorevole Mino Mulinacci sulle colonne della
"Gazzetta dello Sport". Il Napoli, ovviamente,
cavalcò lo scandalo mentre il Verona vinse poi
regolarmente la partita per 1-0. I gialloblù veronesi
furono, però, ritenuti colpevoli e retrocessi in
Serie B. In occasione di una successiva partita di Coppa
Italia, a Verona in notturna, conclusasi con una
sconfitta gialloblù per 2-1, gol della vittoria segnato
da Altafini con una fulminea rovesciata (nessuno in un
primo momento, a causa della scarsa illuminazione dello
stadio si era accorto dove fosse finita la palla,
scoperta poi in un angolo in fondo alla rete veronese),
si scatenò la furia dei tifosi scaligeri: questi cercavano i
"colpevoli " Acampora e Mulinacci, si può capire con
quali intenzioni. Mulinacci, però, saggiamente consigliato,
si era ben guardato dal recarsi al "Bentegodi".
Acampora, invece, si presentò egualmente, ben protetto dalla
scorta di due ufficiali dei Carabinieri, inviati per
precauzione da suo fratello Renato, generale dell'Arma a
Trieste. Acampora fu affrontato duramente negli
spogliatoi dal
segretario del Verona, Fiumi: "Ti ci hai rovinati, ci
hai mandato tu in Serie B!" E Romolo Acampora,
serafico, replicò a Fiumi e agli astanti, tutti veronesi
accecati: "Non vi ho mandato io in B, ma il vostro
presidente, che - come dice Nereo Rocco - è nato sugli
alberi...". I colleghi napoletani, comunque, poterono lasciare lo stadio
veronese soltanto dopo
due ore di "parlamentari", cui collaborò attivamente il
capitano del Napoli, Antonio Juliano.
1975-76: la mortificazione in Coppa Italia
- Il Napoli impedì al Verona di
conquistare la Coppa Italia nella sua prima finale di
Coppa della storia gialloblù, mortificando e
sbeffeggiando all’Olimpico i veronesi con un sonoro 4-0.
I tifosi veronesi trasferirono anche a Roma il loro
astioso comportamento contro i sostenitori napoletani
che però, per l'occasione, erano in maggioranza.
Sempre a proposito di "paliatoni" è il caso di ricordare
il 5-0 (1985-86) impreziosito da un gol speciale e
vendicativo di Maradona (Diego l'anno prima era stato
umiliato a Verona da un 3-1 al suo esordio in Italia).
Il povero Giuliani (che poi sarebbe venuto a difendere
la porta del Napoli) fu uccellato con un diabolico tiro
da 45 metri.
2006-07: lo
sfogo contro i giornalisti napoletani
- A fronte di una imprevista sconfitta
casalinga (1-3) , ed in assenza sugli spalti dei tifosi
napoletani, tenuti lontani dal “Bentegodi” per ragioni
di sicurezza dal Prefetto veronese, un centinaio di
sostenitori veneti hanno sfogato l’ira per la sconfitta
casalinga – secondo tradizione - contro i giornalisti
napoletani, sistemati in Tribuna Stampa, con lancio di
sputi, bottigliette, ingiurie e oggetti vari, dopo che
uno di loro aveva osato esultare al secondo gol del
Napoli . E’ stato necessario ricorrere alla Forza
Pubblica per contrastare la violenza e calmare gli animi
esacerbati per la (meritata) sconfitta.
Nella foto in alto , l'esultanza degli azzurri
intorno al dirigente Fiore ed a Pesaola, dopo la
vittoria a Verona con la quale il Napoli conquistò la
promozione in Serie A nel 1962, a danno proprio dei
gialloblu.
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