1931: all'Ascarelli la Polizia cercava il tifoso senza
scarpe

Tra
le partite che hanno fatto “grande” la storia del
Napoli, oltre alle sfide con la Juve, figurano anche gli
scontri con l’Inter, memorabili anche quelli che videro
tra i protagonisti in campo avverso Sallustro e Meazza,
superbi rivali anche in Nazionale negli Anni Trenta. Ci
piace qui riproporre il ricordo che fece il compianto
Crescenzo Chiummariello, giornalista sportivo e già
Presidente dell’Associazione Italiana Napoli Club, nella
sua “Storia del Napoli dal Mandracchio al San Paolo”
di una famosa Napoli-Inter del 24 maggio 1931.
“Partita molto sentita, tifo infernale
per Sallustro. Quando la palla era in possesso di un
azzurro, visto che l’emblema del Napoli era il
“ciuccio”, i tifosi in coro scandivano un particolare
incitamento, come l’ordine che si dà all’asino quando lo
si vuol far camminare e cioè un fragoroso “Ah,ah,ah”
prolungato ed assordante. Se, di contro, la palla
passava agli avversari subito veniva scandito il
contrordine cioè il famoso e rituale “Ih,ih,ih”: una
caratteristica di tifo, verace e fantasioso che da anni
i sostenitori del Napoli hanno abbandonato a torto
(molto a torto) e che farebbero bene a rispolverare.
Alla fine del primo tempo un terrificante boato scosse le
fondamenta dell’Ascarelli. Sallustro aveva segnato;
applausi scroscianti al grande Attila, ancora a
confronto diretto col grande Meazza. Primo tempo
sull’1-0 che lasciava ben sperare, ma Meazza, giocatore
ricco di orgoglio e di classe, meditava la vendetta:
ricevuta la palla a centro campo dribblò tre azzurri e,
invitato all’uscita Cavanna, lo evitò con una finta ed
entrò in rete, palla al piede. Strano a dirsi non si
sfogò con particolari segni di gioia per la rete
segnata, anzi si avviò lentamente sotto la tribuna e
volse il suo sguardo fiero ma composto verso i suoi
denigratori. Meazza era un campione anche in questo!
Questo suo atteggiamento serio, invece di richiamare l’applauso,
destò una rabbia repressa tra i tifosi azzurri i quali
non perdonavano (e non potevano farlo) a Meazza di aver
mostrato la sua immensa classe proprio di fronte
all’idolo Sallustro. Il Napoli ripartì rabbiosamente
all’attacco per agguantare quella vittoria che, anche
per il volume e la bontà di gioco messi in mostra,
meritava ampiamente. Ma tra lo stupore
generale,
l’ala milanese Visentin (che dopo due stagioni sarebbe
poi passato nelle fila del Napoli) portò in vantaggio
l’Ambrosiana. Visentin non appena vide entrare il suo
tiro in rete fece un salto di gioia, come fanno ancora
oggi tutti gli attaccanti del mondo e sollevando un
pugno al cielo, diede l’impressione di aver fatto un
gesto prettamente italico nei confronti del pubblico
(anche se alcune testimonianze esclusero la volontarietà
d’un gesto volgare).
Fu questa probabile errata interpretazione del gesto,
oppure l’ombra della sconfitta che si profilava sugli
azzurri, che generò una vivace contestazione contro
l’Ambrosiana e contro l’arbitro, il bolognese Scorzoni,
accusato di non aver espulso il reo. La partita fu
sospesa per alcuni minuti per sedare la tumultuosa
protesta. A pochi munti dalla fine l’ala sinistra
Tansini riequilibrò il risultato su calcio di rigore
(concesso per placare la folla) ma dopo il pareggio
l’arbitro subì un nutrito lancio di oggetti vari; i
“tiratori” per la verità, si dimostrarono abbastanza
maldestri, salvo uno (al secolo Domenico Fenuta) che con
due perfetti lanci, degni di un cannoniere scelto, colpì
Scorzoni in pieno petto. Le “armi” adoperate erano
entrambe le scarpe dell’esagitato Mimì.
La Polizia decisa ad arrestare il colpevole, bloccò tutte le porte
di uscita, controllando gli spettatori, uno per uno, in
attesa di scovare chi fosse a piedi nudi. Una volta
resosi conto che per il vasto schieramento di Polizia,
difficilmente l’avrebbe fatta franca, Domenico Fenuta
cominciò a preoccuparsi seriamente della sua sorte.
Allora cosa fece? A due suoi amici (così ha raccontato
lui dopo, n.d.r.) diede incarico di andare a casa
(vicino allo stadio n.d.r.) a prendergli un paio di
scarpe. Ma restava il problema di come farle entrare
nello stadio, sempre
guardato
a vista dalla Polizia. Presto fatto! Uno dei due compari
si portò sul lato del settore “distinti”, dove erano
collocate le aste delle bandiere. Don Mimì con la
naturalezza di un grande attore diede inizio
all’ammaina-bandiera, servendosi di uno dei capi della
corda per farla arrivare all’amico in attesa con le
scarpe, tirarle su, infilarle poi ai piedi ed avviarsi
all’uscita. Fu un trauma per l’infuriato Fenuta il
constatare che da casa gli avevano mandato le scarpe di
un familiare, disgraziatamente di numero inferiore al
suo.
Come Dio volle, don Mimì riuscì a calzare le scarpe e comunque mai
scarpe strette furono tanto benedette. Si avviò con
passo lento e misurato verso l’uscita, dove vi era
ancora una lunga coda di persone in attesa del controllo
degli agenti e con una faccia tosta incredibile e con
l’andatura alquanto claudicante si avvicinò alla porta e
disse: “ Brigadiè, faciteme ‘o piacere e mme rà ‘a
precedenza: num me facite aspettà tutta chesta fila, Ie
tengo certi calle che so’ gruosse comme ‘e cipolle e me
fanno male assai”. Il brigadiere convinto dal volto
sofferente di don Mimì, lo lasciò passare. Ma appena
varcata l’uscita, il nostro protagonista diede inizio ad
una gara di velocità vera e propria. La gioia di averla
scampata non gli fece sentire le dolorose fitte che le
scarpe strette gli arrecavano. E ben lontano dallo
stadio liberò le estremità e ritornò a casa a piedi
nudi”, mentre la Polizia e l’arbitro Scorzoni erano
ancora in attesa di scoprire il provetto lanciatore di
scarpe…
Per la cronaca la gara ritenuta virtualmente sospesa
sull’1-2, al momento delle turbolenze in campo, prima
del rigore assegnato per “ammorbidire” l’ambiente, fu
data vinta all’Ambrosiana per 2-0 e il campo dell’Ascarelli
fu squalificato per una giornata.
Nelle foto, due stili diversi di due grandi
campioni dell'epoca; in alto, il tocco
magico di Peppino Meazza in gol; al centro un gol di
potenza di Attila Sallustro; in basso, il famoso trio
difensivo del Napoli Anni Trenta di mister Garbutt:
Vincenzi, Cavanna e Innocenti, punto di forza della
squadra.
1946: una delle profezie del
giornalista Carlo Di Nanni


Nella
storia del calcio a Napoli, un posto di rilievo occupa l’episodio
del crollo avvenuto, per l’esultanza dei tifosi nel settore delle
Tribune, sugli spalti del Vomero, allora “Stadio della Liberazione.”
Il crollo si verificò il 27 gennaio del 1946, nel primo campionato
del dopo-guerra, torneo misto Centro-Sud, in occasione di Napoli-
Bari, per la prima giornata di ritorno e provocò oltre cento tra
feriti e contusi. Per vero miracolo non ci scappò il morto, anche se
per alcune ore in città si temette il peggio. L’entusiasmo
sproporzionato dei tifosi fu generato dal primo gol in campionato
del centravanti albanese Lustha, prelevato dalla Juve, il quale per
tutto il girone d’andata non era riuscito a mettere mai la palla in
porta. L’esplosione di gioia dell’enorme folla stipata sulla tribuna
per il derby del Sud, fu tanta che la balaustra del settore venne
meno, trascinando giù nel vuoto per alcuni metri alcune
centinaia di tifosi (come dimostra l'eccezionale documento
fotografico che pubblichiamo qui sotto).
L’episodio va raccontato non tanto per l’eccezionalità e
gravità dell’evento, quanto perché ci introduce nel presentare uno
dei più grandi personaggi napoletani, dagli Anni Venti agli Anni
Ottanta, Carlo Di Nanni, venuto a Napoli dalla natia San Severo
delle Puglie per studiare ingegneria e affermatosi poi come
calciatore (già nel Naples nel ‘22), arbitro, giornalista (Il
Mattino, il Roma, il Calcio Illustrato, Lo Sport del Mezzogiorno),
dirigente della Federcalcio, critico teatrale, ma soprattutto
passato alla storia come un temuto e potente apportatore di
malefici, colui che, si disse, “atterra e resuscita fra il serio e
il faceto”, e da Giuseppe Pacileo definito semplicemente a suo tempo
- forse per paura di ritorsioni - un “orientatore degli umani
eventi”. Avete capito tutto, quindi quale era la sua “forza”, che
peraltro don Carletto non tentava di nascondere ed anzi accreditava con continui
racconti e citazioni.
Torniamo al crollo delle Tribune al Vomero. Di fronte alla
continua astinenza del trentenne centravanti azzurro Riza Lustha,
Carlo di Nanni scrisse tra l’indignato ed il sarcastico su “Lo Sport
del Mezzogiorno” di cui era Direttore, più o meno questa profezia: “
Quel giorno che Lustha segnerà se ne cadranno le tribune…”. Cosa che
avvenne puntualmente il 27 gennaio del 1946, quando l’albanese
realizzò il gol di apertura, con le conseguenze che il lettore
troverà nella riproduzione qui acclusa dal giornale “Il
Risorgimento” del successivo martedì 29 gennaio. Di Nanni aveva
rivelato quel giorno, in tutto il suo oscuro fulgore, il singolare
potere di cui disponeva.
A lungo è stata alimentata anche la diceria che Di Nanni
avesse previsto persino la tragedia di Superga che – come sapete –
colpì e annientò il grande Torino, di ritorno in aereo da Lisbona.
Un'intera, gloriosa squadra, tecnici, giornalisti vittime del
disastroso impatto, per la fitta nebbia, del trimotore Fiat contro
la collina della Basilica. Si
raccontava che l'Ingegnere aveva scritto: “ A meno di una catastrofe, il Torino
ha vinto lo scudetto” Non esistono, però, prove certe di questa
profezia. E' stata trovata
soltanto una frase che si avvicina a quella espressione. Su “Lo Sport del
Mezzogiorno n° 18 del 1949, prima pagina, prima colonna, 12° cpv,
l’allora direttore Carlo Di Nanni scrisse
testualmente: “ Se il
Torino vincerà il titolo (han bell’e vinto , a meno di catastrofi
telluriche in classifica) gran merito dei suoi difensori…eccetera”.
Si parlava è vero di “catastrofi”, ma non c’era …la prospettiva del
peggio.
Corrado Ferlaino a lungo maledisse quel giorno che al San
Paolo fu provocata una grossa arrabbiatura all’Ingegnere. Capitò il
28 maggio 1970, finale di un Torneo italo-inglese con lo
Swindon Town, già battuto per 5-1, quando un disgraziato ed
inesperto controllore bloccò all’ingresso Carlo Di Nanni, proprio
l’uomo al quale venivano volentieri aperte tutte le porte! Alte le
grida dell’ingegnere, costretto a spiegare agli astanti l’inatteso
“mancato rispetto”, anche perchè era in possesso delle più ampie
credenziali. Ferlaino, informato, corse verso la maledetta porta
d'ingresso per
tentare l’accomodamento, ma arrivò tardi. Di Nanni aveva già
pronunciato il suo anatema: “ Avìta perdere 3-0 e v’anna scassà pure
‘o stadio!” tuonò con la sua "erre" moscia alla francese.
Conclusione amara e pronostico rispettato: il Napoli perse per 0-3,
la partita fu sospesa per violenze dagli spalti ed i tifosi irati
provocarono danni allo stadio per 80 milioni. Il settimanale "Lo
Sport del Mezzogiorno", diretto da Riccardo Cassero, aprì subito una
sottoscrizione popolare per far fronte alle riparazioni più
urgenti del San Paolo che aveva subìto danni soprattutto nei
sediolini sulle gradinate.
Un giorno don Carletto, un'autorità nel calcio
dilettanti, diffidò per iscritto in un articolo sul “Roma” i
dirigenti dell’Ischia dall’effettuare un recupero infrasettimanale.
Gli incauti non gli diedero ascolto ed il vaporetto con squadra e
tifosi a bordo, appena staccati gli ormeggi, andò a sbattere contro
il molo. Male incolse, poi, nell’ottobre del ’63, a due colleghi, Mimì Farina e Carlo Franco che si erano fatti una “risatella” quando
all’ingegnere erano scappati di mano gli occhiali, rompendosi. Al
Farina la sera stessa ruberanno le ruote dell’auto parcheggiata
davanti alla sede del “Roma”, in Via Marittima, mentre l’altro,
Carlo Franco, arriverà a Napoli dalla trasferta in Lucania (Potenza-Napoli
0-1, gol di Rosa, in Serie B) soltanto il giorno successivo per
un’interruzione della strada, provocata dalla caduta di alberi
(subito dopo che su quella strada era passata velocemente, diretta a
Napoli, la vettura con a bordo Carlo Di Nanni, guidata dal collega Giuseppe Pacileo, testimone oculare, quindi, del disgraziato
ritorno da Potenza…)
Ricordate quella famosa partita al San Paolo, Napoli-Juve 2-1 dell’8 dicembre 1968, quando Sivori praticamente
lasciò il calcio italiano? “Quel Pieroni sta perdendo il controllo
della partita…E Sivori lo vedo nervoso.” disse Di Nanni in tribuna
stampa, criticando l’arbitro e con un occhio particolare su Omar che
affrontava il nemico Heriberto, suo ex ed odiato allenatore . Dopo pochi minuti si scatenò la
zuffa furibonda con l’arbitro Pieroni protagonista: nove giornate di
squalifica a Panzanato, sei a Sivori, quattro a Salvadore. due mesi
di sospensione all'allenatore Chiappella. Fu l’addio malinconico di
Omar da Napoli: se ne tornerà in Argentina.
Ed ora, alcuni spiccioli. Dopo una clamorosa vittoria
del Napoli di Monzeglio, Di Nanni lasciò stupiti i suoi lettori, con
un titolone su “Lo Sport del Mezzogiorno”: “Via Monzeglio!”. Indifferente attaccò il suo
articolo di fondo sul settimanale che dirigeva: “
Intitoliamo, dunque, una strada a questo allenatore…”. Ad Antonio
Scotti, capo dei servizi sportivi del “Roma” che tentava di
rassicurarlo “Non vi preoccupate, ingegnere, il vostro articolo non
sarà tagliato. Lo sapete che vi vogliamo bene” arrivò sferzante la
risposta: “ Non è vero. Voi mi temete!” E agli amici diceva: “Ma che
credete che io non mi accorgo che si grattano? Ma si grattino e si
tocchino quando vogliono. Povera gente…”. Una volta, furibondo
contro il Napoli vaticinò davanti ad alcuni colleghi: “A Cagliari adda perdere otto a zero…e se n’adda cadè l’aereo”. Sconvolti e a
buon ragione preoccupati, i colleghi lo implorarono: “Ingegnere, su
quell’aereo dobbiamo viaggiare anche noi…e noi che vi abbiamo fatto?
”. Di Nanni, sensibile alle preghiere, modificò l'infausto…verdetto: “Va
bene, ritiro l’incidente” e dopo un poco ritoccò abbondantemente
anche l’8 a 0. “Facciamo zero a zero, va bene?”. E sul campo alla
fine zero a zero fu.
Ma se vi portavate bene con lui stavate tranquillo. Perciò
aveva anche molti amici ed…estimatori, pronti magari ad invocarlo
per ottenere fortuna. Fra gli “assistiti” a buon ragione ci fu anche
Rosario Rivellino, giocatore ed allenatore del Napoli, molto stimato
dai tifosi, dalla società e dall’ingegnere Di Nanni che apprezzava i
modi corretti e le grandi qualità dell’ex ragazzo di Posillipo. Un
giorno concluse un suo articolo con questa frase: “Rivellino è un
tecnico capace e una persona perbene. Guai a chi lo tocca. Ed io
colgo!” Seguiva la sua firma.
Infine, l’episodio che, insieme con quello del crollo della tribuna
del Vomero, ha contribuito più di tutti gli altri ad accreditare
all’ingegnere Di Nanni la patente e la fama che lo
contraddistinsero. Accadde nel giugno del 1956. Di Nanni viaggiava
verso Capri in compagnia dei colleghi Mimì Farina e Umberto
Borsacchi, per andare ad ascoltare una recita di Paolo Carlini
all’Hotel Quisisana, quando un’enorme nave in transito nel Golfo
passò così vicino al vaporetto, da provocare momenti di paura e di
sbandamento sull’imbarcazione della SNAV,
percossa dall’ondata.
L’ingegnere si rialzò dolorante dalla caduta, per l’inattesa e
pesante scossa, e alzando il pugno verso la nave esclamò: “ Adda i’
a funno!”. Al che il giovane Borsacchi si permise di osservare: “Ma
ingegnere, quella nave è l’Andrea Doria!”. “Tu non ti preoccupare!”
incalzò Di Nanni. Un mese dopo, il 25 luglio, per una tragica
fatalità, l’Andrea Doria fu speronata, nella nebbia, dalla nave
svedese Stockolm, subendo uno dei maggiori disastri marittimi della
storia italiana.
Nella foto in alto, è evidenziato il settore della tribuna - a
sinistra - dello Stadio del Vomero dove avvenne il crollo, ed un
ritaglio dal giornale "Il Risorgimento" con la notizia
dell'incidente; al centro una sconvolgente e rara immagine del
momento dell'incidente, con i tifosi penzolanti, e la balaustra
dopo il crollo ; nella
foto al centro, Ferlaino e Pesaola
brindano al successo davanti ad una Coppa vinta dal
Napoli (alla loro sinistra l'ingegnere Carlo Di Nanni, uno dei
personaggi più noti e... temuti dello sport napoletano). In basso
la prima pagina de "Lo Sport delMezzogiorno" del 1970 con la sottoscrizione aperta
tra istituzioni e semplici tifosi dal settimanale napoletano per
riparare i danni provocati al San Paolo da tifosi teppisti durante
la partita di Coppa con lo Swindon Town, incidenti che il
giornalista Carlo Di Nanni aveva...presagito, durante un tempestoso
"scambio di vedute" con gli addetti ai controlli alle porte dello
stadio napoletano.
1946: al Vomero vendetta azzurra, la Juve perde lo scudetto
Poi
i tifosi assalirono l'autobus
dei bianconeri, colpevoli di aver
umiliato per 6-0 gli azzurri nella partita di
andata a Torino
I
ventinove scudetti vinti dalla Juve ( poi gli ultimi due sono stati
revocati recentemente per “Moggiopoli”) potevano essere trenta se il
Napoli non avesse letteralmente e volutamente impedito ai bianconeri
di vincere quello in palio nel 1945-46, nelle finali del primo
campionato del dopoguerra. Accadde il 28 luglio del 1946 , ultima
giornata della stagione. La Juve ed il Torino si presentarono
appaiati in testa alla classifica con 20 punti e si giocarono quindi
lo scudetto negli ultimi novanta minuti: la Juventus a Napoli e il
Torino in casa contro il Pro Livorno. I granata regolarono gli
amaranto toscani facilmente per 9-1, mentre più difficile ed incerta
fu la gara del Vomero tra azzurri e bianconeri. Alla fine la Juve
riuscì solo a pareggiare nella ripresa con il famoso Piola la rete
di Busani e la sfida finì 1-1, consentendo così al grande Torino di
ringraziare il Napoli e di vincere lo scudetto con un punto di
vantaggio sui rivali bianconeri (22 punti contro 21). E il Napoli si
tolse lo sfizio di decidere il campionato.

Se
la Juve , com’era nelle previsioni, avesse vinto al Vomero, ci
sarebbe stata una finalissima tutta torinese in aggiunta alle
finali! Ma la vita per i bianconeri quel pomeriggio fu dura. Si
trovarono contro una squadra ed una tifoseria unite nell’intento di
riscattare la vergognosa sconfitta patita dal Napoli nella gara
d’andata, allorquando i bianconeri infierirono contro gli azzurri,
senza alcuna considerazione, ottenendo un clamoroso sei a zero. Gli
azzurri si sentirono e umiliati ed offesi, ma promisero a se stessi
e ai tifosi che si sarebbero vendicati nella partita di ritorno,
all’ultima giornata. Fu battaglia in campo, fino al novantesimo, con
animi esasperati sui due fronti e, purtroppo, fu battaglia anche
dopo la partita, quando alcuni tifosi napoletani assalirono
l'autobus (
nell’eccezionale documento fotografico che offriamo) mentre riportava
in albergo la comitiva bianconera. Solo l’intervento dei carabinieri
a cavallo impedì conseguenze più serie. Un episodio esecrabile di violenza che
provocò per fortuna solo paura. Quel Napoli schierava Pipan (riserva
di Sentimenti II), Pretto e Berra; Rosi, Andreolo e Baldi; Busani,
Di Costanzo, Lustha, Verrina, Barbieri. La Juventus giocò con
Sentimenti IV, Varglien II, Rava; Depetrini, Tortarolo, Locatelli;
Magni, Parola, Piola, Coscia, Conti. A quei tempi, e con quel Napoli
(ricostruito quasi in toto dopo la guerra), il pareggio contro i
bianconeri fu considerato un ottimo risultato. Il Torino vinse lo
scudetto con: Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti,
Castigliano, Ossola, Loik, Gabetto, Mazzola, Ferraris II. Tutti
nazionali!
In quella stessa stagione Napoli fu protagonista di un
episodio che colpì molto la tifoseria azzurra, un episodio che andò
ad aggiungersi al famoso crollo della Tribuna del Vomero, all’atteso
gol di Lustha, di cui riferiamo a parte. Il 9 dicembre del 1945 il
Napoli vinse, dopo 25 anni, a Firenze: uno a zero con un gol
dell’allora giovane Egidio Di Costanzo, napoletano purosangue, che
castigò il “gatto magico” Griffanti. A Napoli – non tanto abituati
alle vittorie esterne - i tifosi fecero grandi feste e per
solennizzare l’avvenimento “sequestrarono” la scarpetta di Di
Costanzo che venne esposta nella vetrina del Bar Fiore al Vasto, uno
dei covi dei tifosi azzurri, di proprietà del padre di Roberto
Fiore, che doveva diventare vent’anni dopo presidente del Napoli. Il
papà del futuro dirigente azzurro chiosò così in versi su un
cartello esposto nella vetrina : “Chesta è ‘a scarpa ‘e Di Costanzo/
ca signanno ‘e renza ‘e renza/ ha ‘nguaiato l’esistenza/ ai tifosi
di Firenze”.
Era,
quello, un Napoli messo su con sacrifici e grossi sforzi, dopo i
problemi del periodo bellico. “Per rafforzare la squadra - ricordava
Athos Zontini, giocatore e poi medico sociale del Napoli - il
presidente in pectore del Napoli, Pasquale Russo e il dinamico
Gigino Scuotto si misero in giro per la Penisola, puntando al Nord.
Il viaggio venne compiuto a bordo di una macchina il cui ricordo
suscitò a lungo un fremito di paura: quattro gomme così lisce e
consumate che sembravano scoppiare da un momento all’altro, al punto
che dovettero essere…protette e sostenute con le cinture dei
pantaloni. Allora i pneumatici erano una cosa rara a trovarsi. A
tutto questo, inoltre, v’è da aggiungere che, dati i tempi, Russo e
Scuotto nel loro peregrinare per amore calcistico furono costretti a
dormire spesso all’addiaccio (una notte nel freddo sulla Radicofani,
il cuore della Toscana) perché il più delle volte i letti degli
alberghi erano popolati da animaletti. Comunque, il viaggio dei due
dirigenti fu fruttifero: tornarono a casa con un bel gruppo di
giocatori, Sansone, anni 36, mezz’ala del Bologna con mansioni di
allenatore-giocatore, Andreolo, anni 35, dal Bologna, Lustha dalla
Juve, Rosi dal Livorno, Gallanti dal Fanfulla, Barbieri dal Carpi,
Baldi dal Torino. Con questi acquisti, la spesa globale della
stagione fu di sette milioni…Altri tempi.
Nella foto in alto, carabinieri a cavallo in aiuto dell'autobus (si fa per dire: era piuttosto una vecchia corriera...) della Juve,
circondato al Vomero, vicino allo stadio, da un gruppo di tifosi napoletani che avevano giurato
ritorsioni dopo l'umiliante sconfitta del Napoli a Torino (6-0)
nella partita d'andata. La gara di ritorno, a Napoli, finita in
parità , aveva, tra l'altro impedito alla Juve di vincere lo
scudetto all'ultima giornata; nel disegno al centro, lo stile del
grande Silvio Piola (autore del gol bianconero al Vomero nel '46)
visto dalla famosa penna di Silva; nella terza foto, il grande
Torino dominatore nel dopoguerra che, grazie anche al Napoli, vinse
lo scudetto nel 1946.
1953: a Napoli scudetto addio, Parola piange sul palo

Tra le foto-simbolo della storia
del Napoli e più in particolare di Napoli-Juve, c’è anche una foto
di Carletto Parola, difensore possente dei bianconeri negli anni
Cinquanta e successivamente, per breve tempo nel 1968, anche tecnico
della società azzurra, al fianco di Chiappella. Ma non si tratta di
quella famosa foto esaltante ed acrobatica della rovesciata in area
di rigore, poi presa a simbolo delle figurine Panini, ma invece di
quella foto che i tifosi più anziani ricordano di Parola, con un
atteggiamento di desolazione, quasi accasciato al Vomero sul legno
di una porta ancora con l’impronta di un pallone infangato per un
palo colpito dal Napoli, un Parola, (vi presentiamo il momento)
deluso, meditabondo per quel gol di Amadei al 90’ che aveva dato il
successo in extremis al Napoli, dopo una partita rocambolesca.
Raccontano che nello spogliatoio scoppiò in lacrime.
Era il 18 gennaio del 1953. Con la sconfitta al Vomero tramontavano
le speranze juventine di conservare lo scudetto di fronte alla
marcia dell’Inter di Ghezzi, Lorenzi, Skoglund e Nyers. Una
sconfitta tanto più amara, considerando che la Juve dopo
nove
minuti vinceva già per due a zero, con i gol prepotenti di John
Hansen e di Praest. Ma il Napoli, scatenato, nel giro di un minuto,
al 25’ e al 26’ riuscì a pareggiare prima con Pesaola, poi con
Jeppson e - sotto la spinta del suo pubblico – conquistò il successo
al 90’ con un tiro di rara astuzia di Amadei, il tiro più bello
della giornata , mentre la Juve impaurita era asserragliata in
difesa. Invano, Parola tentò di intercettare il bolide che non era
alla portata dell’estremo difensore Cavalli. Per la grande Juve fu
il crollo inatteso. Da dodici anni i bianconeri non perdevano a
Napoli ed il “Calcio Illustrato” titolò in prima pagina “Arso lo
scudetto sul rogo del Vesuvio?”. Esatto il presagio, previste anche
le 100 mila lire di multa per i mortaretti lanciati per la festa che
si inscenò intorno ad Amadei e a Lauro (nella foto).
Nell’articolo di una firma prestigiosa, quella di Vittorio Pozzo
(già allenatore della nazionale azzurra nei due mondiali vinti nel
1934 e nel 1938) inviato speciale a Napoli per il famoso settimanale
, il tecnico scriveva: “ Bella per il colore più che per
l’intrinseco contenuto tecnico, la partita l’ha vinta il Napoli a
forza di correre; l’ha persa la Juve a forza di star ferma. Il
Napoli con l’argento vivo nelle ossa, non contento della sua sorte,
si sentiva riardere dal desiderio di una grande affermazione ai
danni di qualcosa che andava per la maggiore”. Era, quello, il
Napoli di Casari, Comaschi, Vinyei, Castelli, Gramaglia, Granata,
Vitali, Formentin, Jeppson, Amadei, Pesaola, allenati da Monzeglio,
quarto classificato, dietro l’Inter, la Juve e il Milan.
1961: Omar manda in Serie B il Napoli e
Cesarini
21
maggio 1961, terzultima giornata di Serie A. Scende al San Paolo lo
squadrone di Charles, Sivori e Boniperti, quasi matematicamente già
campione d’Italia, contro un Napoli, che, nonostante una robusta
campagna acquisti, lotta sorprendentemente e disperatamente per la
salvezza. Stavolta gli azzurri mettono in gioco contro i
lanciatissimi bianconeri la loro ultima speranza di evitare il tonfo
in Serie B. La fortissima Juve, alla fine, travolge letteralmente il
Napoli, con un indiscutibile 4-0 e nello stesso tempo annulla tutte
le illusioni azzurre, nel più veritiero e malinconico pomeriggio del
San Paolo, davanti a oltre 80 mila spettatori. Sivori, il giocoliere dagli stinchi nudi (per il quale
Achille Lauro, proprio in quei giorni, si dichiara disposto
all'acquisto in cambio di uno dei suoi…bastimenti con tutto
l’equipaggio schierato in coperta, compresi i suoi “prodi, ma
inidonei giocatori”!) non può avere pietà per il suo Maestro e
connazionale Renato Cesarini, ex juventino, che soffre e si agita
sulla tormentata panchina azzurra: tre gol su quattro dell’esaltante
successo bianconero sono di Omar, mai così possente, spettacolare.
Gino Palumbo su "Il Mattino" titolerà il suo articolo di fondo
con un eloquente "Un marziano contro gli orfanelli". Dopo la gara,
Omar Sivori non ripartirà con i suoi compagni: resterà per tutta la
serata a Napoli con il suo maestro Cesarini, in attesa di ricevere
da lettera di "messa a riposo", ovvero di licenziamento insieme con Amadei.
Per il povero Napoli è la retrocessione, per la Juve il dodicesimo
scudetto. Alla fine, nello stadio muto, Sivori lascia che i compagni
esultino a centrocampo. Lui va ad abbracciare ed a consolare il suo
vecchio pigmalione: gli occhi abbassati, uno zigomo incerottato, dopo
l’onesta battaglia, lo accarezza dolcemente, sembra quasi chiedergli
scusa per il dolore arrecatogli. “Perdonami, ma dovevo farlo”, gli
sussurra nell’orecchio. L’altro, con la testa appoggiata sulla
guancia del suo implacabile “giustiziere”, non riesce a
trattenere le lacrime: l'apparente mestizia e un riposto
compiacimento si mescolano sui due volti che non possono nascondere
il conflitto di sentimenti interiori.
Li immortala, al rientro negli spogliatoi, la più bella foto che sia mai capitata sul mio tavolo
di lavoro. e che ripresento oggi. Se dovessi scrivere un giorno un
libro su Juve-Napoli, non esiterei per illustrare questo fascinoso racconto nel riproporre la storica foto
del gol “impossibile” di Maradona a Tacconi, su punizione dal
limite, al San Paolo, non dimenticherei le foto-simbolo delle
parate strepitose di Bugatti febbricitante e vittorioso a Torino, le
foto degli indimenticabili
successi propiziati da Sallustro e Vojak e poi da Vinicio e Jeppson.
Tutte degne di sintetizzare i momenti di gioia azzurra nella
“partitissima” per antonomasia. Ma, per esemplificare i tanti
sentimenti che ha suscitato negli anni questo prestigioso scontro,
tra il Napoli e la Juve,
comincerei proprio da quell’immagine così espressiva, così
commovente di Sivori e Cesarini abbracciati a Napoli, in un destino
tanto diverso.
Dopo il 4-0 ed il licenziamento della coppia Cesarini - Amadei, la
squadra fu affidata al generoso Sallustro. Alla stazione prima
di partire, Cesarini sottolineò: " Mi è stata affidata una squadra
ombra, una squadra che andava a rotoli. Come si possono coltivare
fiori nell'argilla?" Il Napoli sbaglia a comprare i giocatori
che gli offrono. Invece deve prendere solo quelli che vuole. E c'è
grande differenza!". Purtroppo, molto spesso nel futuro la
società azzurra non tenne conto di questa semplice , ma decisiva
raccomandazione.
1979: Napoli-Perugia, 91 mila
per fischiare Paolo Rossi!
In questi giorni si parla
abbondantemente dei problemi del San Paolo, della sua capienza
sempre più ridotta ( per esigenze di ordine pubblico), delle carenze
dell’impianto, della necessità (o opportunità) di costruire a Napoli
un nuovo stadio al massimo per 65 mila spettatori. Su questo tema di
grande attualità è il caso di ricordare, però, ai tifosi azzurri,
quelli più giovani, i due primati di affluenza stabiliti a
Fuorigrotta: uno in campionato, in un semplice Napoli-Perugia, con
oltre 90 mila spettatori e registrato nel 1979, quando ancora
Maradona non c’era, ed uno in Coppa Campioni nel 1987, quando gli
azzurri, con Diego, affrontarono il Real Madrid, in una partita
decisiva e sfortunata (Napoli eliminato dopo un 1-1). Le cronache
riferiscono che quel giorno, per l'arrivo dei madrileni, nello
stadio partenopeo trovarono posto (tutti in piedi) circa 100 mila
spettatori, l’uno sull’altro come le classiche sardine. Le cifre
ufficiali della partita parlano però di 83.231 mila paganti, molto
vicini ai centomila storici, ma anche distanti, sia pur considerando
la piaga insanabile dei "portoghesi". Comunque resta il record
assoluto a Fuorigrotta. L'’affluenza al San Paolo che viene, ad ogni
modo, ricordata come la più sconvolgente
ed anche drammatica fu quella di campionato del 20 ottobre del 1979,
in occasione di Napoli - Perugia, anticipata al sabato in
coincidenza con la visita domenicale a Napoli di Papa Wojtyla, “l’uomo amato dalle folle”, l'ospite attesissimo centotrent’anni
dopo Pio IX. Si parlò allora di circa 91 mila spettatori. Nemmeno
per le feste-scudetto del maggio 1987, e dell'aprile
1990, furono successivamente registrati tanti tifosi sugli spalti.
Per Napoli- Fiorentina del 1997, infatti, vennero contati
82.579 spettatori paganti e per Napoli-Lazio del 1990 gli spettatori
paganti furono 82.499. Cifre lontane dai 91 mila spettatori di
Napoli-Perugia del 1979.
Quel pomeriggio di Napoli-Perugia, nonostante la mobilitazione per
l’eccezionale evento, nonostante il Napoli fosse in una zona
tranquilla e non stimolante di centro-classifica, nonostante si
trattasse di giorno feriale, al San Paolo si radunarono oltre 91
mila spettatori, mai vista prima una simile folla, tanto che nei giorni
successivi si insinuò e si polemizzò che il Napoli avesse venduto
più biglietti del consentito e che praticamente al San Paolo quel
giorno furono circa in 100 mila. A protestare furono in molti,
soprattutto quei tifosi che - pur provvisti del prezioso biglietto -
dopo essere riusciti a stento ad avvicinarsi all’impianto o ad
entrare nello stadio, non trovarono posto, nemmeno un buco sugli
spalti. Muri umani, formatisi sulle scale ai vari varchi di accesso,
impedivano, in effetti, agli ultimi arrivati persino di intravedere
il rettangolo di gioco. Ci si aiutava con le radioline... Assurdo e
indimenticabile. Ma fuori dello stadio. durante l’incontro, accadeva
di peggio. Impazzava, infatti, una violenta guerriglia tra la
Polizia e gli spettatori furiosi, gli ultimi arrivati, (furono
calcolati in circa diecimila) , moltissimi col biglietto tra le mani
, i quali non riuscivano ad entrare, se non abbattendo i cancelli.
La Polizia all’esterno dello stadio, oltre a respingere l’assalto
dei tifosi (“regolari” e non) diventò poi protagonista assoluta, in
quanto costrinse l’arbitro a sospendere la partita per due minuti,
dal 24’ al 26’, a seguito di un lancio errato di candelotti
lacrimogeni dentro l’impianto, sul terreno di gioco, anziché fuori,
dove la folla premeva. Il portiere del Perugia, Malizia, con gli
occhi arrossati si recò dal direttore di gara e chiese la
sospensione della partita: non riusciva a vedere! E l’arbitro fu
obbligato a fermare il gioco, fin quando il vento non spazzò via il
fumo acre.
Poiché questo insolito episodio accadde al 24’ del primo
tempo, si deduce che per oltre mezzora dall’inizio della partita
intorno al San Paolo la folla inferocita (decine e decine tra feriti
e contusi) cinse d’assedio lo stadio ed impegnò la Polizia. Finche’,
per la legge dell’impenetrabilità dei corpi, molti ritennero più
opportuno rinunciare a sfogarsi, rassegnandosi a tornare a casa con
largo anticipo, evitando , così oltre gli idranti della P.S. anche
la beffa delle lunghissime code , tra un mare di auto parcheggiate
fuori posto, che l'affluenza record riservò poi ai fortunati tifosi
che erano riusciti ad entrare, a fine partita. Come abbiamo detto,
logiche, oltre che inevitabili, le proteste. Furono fatti i conti in
tasca al Napoli: abbonati 38.988, più 48.367 paganti , per un totale
di 87.355 spettatori ufficiali dichiarati dalla Società, il che – soprattutto in una città
come Napoli – considerando gli ingressi di favore, i soliti
“portoghesi”, gli scavalcamenti, gli ingressi di servizio, significavano
più di 91 mila persone, ben oltre la capienza ufficiale del San
Paolo. Senza contare le sospettate irregolarità sul numero dei
biglietti effettivamente venduti!
Ma perché quella gara, un semplice Napoli-Perugia, senza
l’etichetta di partitissima, aveva suscitato un così straripante
interesse intorno a sé, tanto da riempire oltre misura lo stadio
napoletano, con un record che è da considerarsi persino di livello
nazionale? Non tutti oggi lo ricordano, forse nemmeno quelli che si
strinsero come sardine sugli spalti. Il grande richiamo non fu il
Napoli, che poteva offrire allo spettacolo solo dei “semplici”
Ferrario, Castellini, Vinazzani, Tesser, Filippi, Bellugi,
Bruscolotti, Damiani, Improta ed era reduce da un sesto posto. La
maggior parte dei tifosi era, invece, stata attirata al San Paolo
dalla allettante prospettiva di poter fischiare Paolo Rossi, il
goleador del Perugia, che appena qualche mese prima, durante la
campagna acquisti, aveva sdegnosamente rifiutato il trasferimento al
Napoli (diciamo, piuttosto, a Napoli), nonostante Ferlaino avesse
faticosamente raggiunto l’accordo con il Vicenza del presidente
Giusi Farina per il prestito di Pablito,, in cambio di due milioni e
mezzo per due anni. Ma, una volta appresa la notizia dell’accordo,
il goleador vicentino – che già sapeva di essere destinato a passare
entro qualche anno alla Juve - disse :”No, a Napoli non vado! Non è
il mio ambiente”. Per i napoletani che qualche anno prima avevano
accolto con eccezionale calore un altro capocannoniere, Savoldi,
quel “no” suonò come uno schiaffo, una vera offesa.
Immaginate il concerto di fischi che partì dagli spalti quando Paolo
Rossi, mentre un aereo volteggiava sullo stadio con una gigantesca
scritta “Rossi non sei degno di noi!”, si presentò baldanzoso sul
dischetto dell’area di rigore per tirare il penalty concesso
dall’arbitro Barbaresco. Nonostante l’accompagnamento di un coro
assordante mai sentito in precedenza, Pablito riuscì a battere
Castellini, e continuò a catalizzare fischi anche durante i minuti
successivi. Paolo Rossi a fine gara dichiarò che quando prendeva
palla non riusciva, a causa dei fischi, a sentire nemmeno i compagni
di squadra che gli chiamavano palla... Ma per buona sorte del Napoli, l’arbitro concesse dopo
dieci minuti un altro rigore, stavolta a favore degli azzurri,
trasformato da Damiani. E finì 1-1.
Nei confronti di Paolo Rossi i tifosi azzurri ebbero una magra
soddisfazione a fine campionato, quando a seguito del famoso
scandalo delle scommesse, la Caf comminò pene severe a società e
giocatori, tra cui anche Pablito, squalificato per due anni. In una
città come Napoli era inevitabile che il commento più diffuso fosse
:”Ponno cchiù ll’uocchie ch’e scuppettate”…
Nella foto, Paolo Rossi, dopo il "no" al Napoli, non si tira
indietro davanti ad un bel piatto di mozzarelle.
1987:
una “straordinaria” veramente straordinaria
di Claudio Calza
Per l'entusiasmante scudetto del Napoli
nel 1987 si è scritto a suo tempo di tutto, un trionfo
visto da ogni angolazione: il tripudio dei giocatori
azzurri campioni d'Italia, l'allenatore Bianchi
eccezionalmente sorridente, le capriole di Maradona
superstar, i riconoscimenti anche per gli umili
portatori di palla, il presidente Ferlaino, finalmente
gioioso issato sulle spalle degli spettatori, i tifosi
impazziti nello stadio e in città, i massaggiatori ed i
vari addetti della società, tutti coinvolti nella festa
canora e bagnata di champagne sulla testa di Giampiero
Galeazzi negli spogliatoi. Oggi vi presentiamo
un'insolita e felice testimonianza, quella del Capo
dell'Ufficio Diffusione de "Il Mattino", Claudio Calza,
per illustrare come fu preparata e vissuta, all'interno
del giornale, la stampa e la diffusione dell'edizione
straordinaria che quella storica domenica, poco prima
che finisse la partita, con cronometrica cura, invase le
strade e le edicole della città per suggellare
un'impresa indimenticabile. Un amarcord singolare
dell'avvenimento,
trascurato finora, ma egualmente degno di figurare in questa
"Napoli story".
Uscito
dal portone di casa, sono avvolto da un sole già caldo,
come solo a Napoli può esserlo nel mese di maggio. Mi
avvio a prendere la funicolare che porta a piazza Amedeo
e percorro quel centinaio di metri senza incontrare
quasi anima viva. Anche sul vagoncino, a bordo del quale
ogni giorno faccio il breve tragitto, strizzato come in
un barile di acciughe, le persone si contano a poche
unità. Piazza Amedeo, Via dei Mille, piazza dei Martiri,
via Morelli, fino alla sede del "Mattino", in via
Chiatamone: il mio percorso di sempre, che faccio
camminando tra una moltitudine di persone. Oggi invece
l'atmosfera é diversa, quasi irreale. E' domenica
pomeriggio, esattamente domenica 10 maggio 1987 e in
giro continua a non esserci nessuno. Dalle finestre
aperte arriva la voce concitata di un radiocronista che,
dagli altoparlanti delle radio, tenute ad un volume
allucinante, racconta le prime fasi di un incontro di
calcio. Anzi, dell'incontro di calcio.
Questa infatti é una giornata storica per la Napoli calcistica....
macché, per Napoli tout court, perché non esiste un
napoletano che non si interessi di calcio e non sia
tifoso della sua squadra. Una giornata storica, dicevo,
perché allo stadio di San Paolo a Fuorigrotta, si gioca,
per la penultima giornata di campionato,
Napoli-Fiorentina, che presenta una curiosa
caratteristica. La squadra del Napoli é in testa alla
classifica mentre la Fiorentina sta rischiando di
retrocedere in serie B. La posizione delle due squadre
però é tale che ad entrambe basta un risultato di
parità: al Napoli, per vincere matematicamente lo
scudetto con una giornata di anticipo, alla Fiorentina
per garantirsi, con altrettanta sicurezza, la permanenza
in serie A. Si può dire quindi che, per come vanno da
sempre le cose nel calcio, certamente l'incontro finirà
in pareggio.
E, proprio in considerazione di questa più che probabile ipotesi,
al giornale si è deciso di preparare un'edizione
straordinaria, ovviamente prefabbricata, dedicata
appunto a questo avvenimento, non ancora realtà, ma
prossimo venturo. Un giornale “storico” da conservare.
La prima pagina è occupata da un grande scudetto
tricolore che lascia spazio ad un grande titolo: "E'
scudetto, Napoli una città in festa". Seguono molte
pagine con la storia di quel campionato incredibile che
si stava concludendo con il primo titolo italiano nella
storia di Napoli. Lo stava conquistando la squadra di
Garella, Bruscolotti, Ferrara, Bagni, Di Napoli,
Carnevale, Careca e soprattutto di Diego Armando
Maradona, il fuoriclasse argentino, il cui arrivo aveva
fatto impazzire la città. Alla sua presentazione
ufficiale, avvenuta sul prato dello stadio San Paolo,
c'era il tutto esaurito. Lui, in jeans e maglietta
bianca, con la sciarpa della squadra al collo, aveva
palleggiato mostrando la sua straordinaria abilità da
foca ammaestrata, accerchiato da centinaia di fotografi.
Pochi minuti di show, un cenno di saluto ed é stato
subito amore. Un amore sviscerato, irrazionale, totale.
Un amore che il riccioluto tombolotto aveva comunque
ampiamente ricambiato, facendo a Napoli il più insperato
dei regali. In città non si parla che di lui; tutti lo
vogliono, tutti gli ambienti, dal più popolare, al più
raffinato, al più "chiacchierato" se lo contendono per
esibirlo, onorarlo, fino a farlo diventare un idolo, un
santino. Non é un'esagerazione. Ho conosciuto gente che
ha ricavato in un angolo del suo basso, un altarino con
la foto del "Pibe de oro" circondata da lumini,
candeline, fiori e quant'altro. Lo stesso trattamento
riservato da sempre a San Gennaro. La gente l'avrebbe
voluto come sindaco e, se lui si fosse seriamente
candidato, avrebbe stravinto contro chiunque. E’ un
ragazzo molto semplice, generoso, disponibile. I suoi
"gestori" se lo portano a spasso come un bagaglio
appresso, facendosi pagare più che profumatamente le
comparsate. Attorno alla sua immagine é stata costruita
un'azienda molto florida, che prevede lo smercio dei più
disparati gadget e che è diventata in breve una miniera
d'oro. La sua villa a Posillipo è meta di ininterrotti
pellegrinaggi da parte dei suoi fans, con l'unico scopo
di intravederlo, attraverso il cancello, mentre gioca
con le due figlie e con la bella moglie, e strappargli
un cenno di saluto, un sorriso.
Ma torniamo a oggi. La tiratura, molto sostanziosa, dell’edizione
straordinaria è pronta "in ribalta", come si dice in
gergo per indicare il punto di carico dei giornali
destinati ai punti di vendita. La redazione si è
impegnata alacremente e ha realizzato una
“straordinaria” di eccezionale bontà. Il direttore
Pasquale Nonno ha seguito affettuosamente il lavoro, il
redattore capo Riccardo Cassero, per decenni testimone
delle vicende azzurre come Capo dei Servizi Sportivi,
finalmente può dedicarsi ad uno scudetto, a una festa
che si portava dentro da anni, e predispone l’edizione
speciale, insieme col responsabile della Redazione
Sportiva, Romolo Acampora, abile ed esperto nocchiero di
un gruppo di agguerriti colleghi, primi fra tutti
Giuseppe Pacileo, Enzo Casciello, Franco Esposito,
Sergio Troise, Pierpaolo Paoletti, Danilo di Tommaso,
Gianfranco Coppola. Per la distribuzione, ci siamo
accordati con gli edicolanti perché, attorno alle
cinque, poco prima della fine della partita, loro aprano
le rivendite, pronti a ricevere le preziose copie che
noi faremo loro pervenire in tempo utile. Ed é proprio
su questo "tempo utile" che dovevamo lavorare sul filo
del rasoio. Prima di far uscire dal magazzino le copie,
dovevamo essere certi del realizzarsi di quanto
ipotizzato, cioè la vittoria o, almeno, il pareggio del
Napoli. Guai se fosse andato in vendita un giornale che
annunciava, trionfante, un avvenimento che non si era
ancora verificato. Avremmo fatto la figura dei
peracottari. Per contro, non potevamo prendercela troppo
comoda, perché avremmo rischiato di trovarci con i
furgoni intrappolati nella marea di tifosi che, uscendo
dallo stadio, avrebbero invaso festanti le strade senza
troppo preoccuparsi delle esigenze editoriali del
Mattino. Anche se, c'è da dire, che il grosso del
traffico sarebbe stato pedonale. Infatti, in vista di
questo appuntamento, che avrebbe potuto essere
determinante ai fini dello scudetto, Maradona aveva
fatto un appello a tutti i tifosi affinché andassero
allo stadio a piedi, o con i mezzi pubblici, proprio per
non rischiare di ingolfare il traffico, con le macchine,
all’uscita. Conoscendo gli italiani, che se potessero,
andrebbero anche a letto con l'automobile, si stenterà a
crederlo, ma oggi, nel parcheggio del San Paolo, le auto
si contano a poche decine.
Per tornare a noi, l'organizzazione era la seguente: Massimo
Garzilli, il direttore amministrativo, sarebbe stato di
vedetta allo stadio, in tribuna stampa, con il cellulare
in fibrillazione. Per lui stare lì era normale. Quando
la squadra giocava in casa, lui al San Paolo c'era
sempre e la sua partecipazione alla partita era tale
che, per i due o tre giorni seguenti, sarebbe stato
costretto ad esprimersi a gesti. Noi operativi eravamo
invece in stand by nella sede del giornale seguendo le
vicende della partita attraverso la radio. Quando arrivo
in redazione, all'interno della guardiola vedo un
usciere, di cui purtroppo non ricordo il nome. Grosso,
sanguigno, con i colori del Napoli nel DNA, ha
l'orecchio incollato alla radiolina e nemmeno mi vede.
Probabilmente, oggi in sede potrebbe entrare impunemente
tutto l'esercito americano. Poco tempo fa, una domenica
pomeriggio, stavo andando a dare un'occhiata per vedere
come sarebbe stata l'edizione del lunedì, quando,
passando dalla portineria, lo vedo schizzare dalla
guardiola agitando le braccia. Si vede che vorrebbe
gridare qualcosa, ma non gli esce la voce dalla strozza.
Crolla in ginocchio e dà l'impressione di non riuscire
più a respirare. Dobbiamo farlo portare al Pronto
Soccorso. Che cos’era successo? Niente di grave: il
Napoli aveva solo segnato un gol alla Juventus.
Davanti all'ascensore incontro Marino: "Il Napoli ha segnato" - mi
fa. Cominciamo bene. Possiamo guardare al nostro
programma con più serenità. Su al terzo piano c'è tanta
gente, addetti ai lavori e non, per vivere assieme
quella che si annuncia come una grande festa. Davanti
alla finestra, che si affaccia sulla via Chiatamone, un
pupazzo gigantesco, con la maglia n.10 di Maradona,
galleggia nell'aria, ancorato ai cavi della corrente. Ma
tutta la città é imbandierata; si va dai festoni formati
da sacchetti bianchi e blu del supermercato agli
striscioni più fantasiosi. Senza contare le pareti,
l'asfalto delle strade, i gradini tutti dipinti, sempre
di bianco e blu. Nei giorni scorsi, i napoletani hanno
dato fondo a tutte le scorte di vernice di quei colori
per dipingere a festa la città.
All'improvviso arriva il pareggio della Fiorentina. Come previsto.
A questo punto, ci sarebbe da scommetterci la casa che
questo 1-1 si trascinerà stancamente fino alla fine,
anche se manca ancora parecchio alla conclusione. Chiamo
il direttore allo stadio: "Ci siamo. Tutto come
previsto. Faccio partire le macchine?". "No, non ancora
- la sua voce é roca - aspettiamo un po'. C'è tempo". E'
chiaro che la scaramanzia gioca il suo ruolo
fondamentale nella vicenda. "Ok - gli rispondo - però
non facciamoci sorprendere dalla fine, altrimenti non
riusciamo più a muoverci". Il tempo trascorre troppo
lentamente. Sul campo, i giocatori delle due squadre
continuano a passarsi il pallone tra di loro per paura
di farsi male. L'arbitro stesso non vede l'ora che tutto
finisca. Mancano meno di dieci minuti. Richiamo Garzilli.
"Direttore, mi dia il via, per favore!". Mi risponde con
un filo di voce: "Ancora qualche minuto, non si sa
mai...." e riappende per farmi capire che non ammette
repliche. Scendo in ribalta. I portatori hanno caricato
i giornali, alcuni sono già al volante. Mi guardano
interrogativamente. So che mi sto giocando il posto, ma
in quel momento sento solo la mia voce che dice:
"Andiamo ragazzi!". Macché Indianapolis, Daytona, Monza
o Imola; la loro partenza é da cinematografo. Scattano a
razzo tutti assieme e non so come facciano a non
impastarsi uno con l'altro. Chi non ha mai visto il
vicolo sul quale si affaccia il “punto di carico” del
“Mattino”, non può rendersi conto di quanto San Gennaro
si sia dovuto dar da fare per mantenere incolumi quei
bravi ragazzi.
Tiro
un sospiro di sollievo, anche se, teoricamente, il mio
posto di lavoro vacillerà ancora per qualche minuto.
L'arbitro ha già il fischietto in bocca per decretare la
fine dell'incontro, quando squilla il telefono: "Ecco,
ora le macchine possono partire". "Direttore - rispondo
con soddisfazione - se si affaccia sul piazzale esterno,
vedrà gli strilloni già al loro posto, in attesa
dell'uscita della gente". "E le edicole?"; "Sicuramente
i portatori stanno ultimando le consegne. Operazione
compiuta". "Bel lavoro, grazie!". Però, ripensandoci,
quel diavolo di un Massimo tutti i torti non li aveva a
tergiversare. Gli spettatori, infatti, non si decidono
ad uscire e si attardano ancora sugli spalti ad
applaudire. Proprio così, sugli spalti e non a sciami
sul campo da gioco, come sarebbe stato prevedibile.
Merito anche questo di Maradona, che, dopo aver indotto
la gente a lasciare a casa la macchina, li ha convinti,
con un successivo appello, a rimanere disciplinati sulle
gradinate. Saremo noi - ha proclamato il ducetto - a
venire a salutarvi sotto le tribune e a regalarvi le
nostre magliette, le nostre scarpe, i nostri
pantaloncini. Risultato: nemmeno il più scalmanato dei
tifosi ha saltato il fosso che circonda il campo da
gioco. Un fatto del genere a mia memoria non si era mai
verificato, soprattutto per un primo scudetto assoluto.
Compiuto il rito, come un fiume in piena, gli
ottantamila del San Paolo si riversano sulle strade,
mischiandosi alla gente che ha vissuto l'evento in casa,
con l'orecchio alle radioline. E a questo punto: che la
festa abbia inizio!. Chi non era quel giorno a Napoli
non può nemmeno lontanamente immaginare le scene che si
sono succedute lungo le strade dell'intera città. A
piedi, in motorino, stipati su macchine e furgoni
addobbati in biancoazzurro, i napoletani si abbandonano
alla gioia più sfrenata. Gli occhi irripetibili delle
ragazze (“Uocchio de suonne, nire, appassionate”,
cantava Salvatore Di Giacomo) brillano, se possibile,
ancora più vivaci. Per riandare a tanta festa,
personalmente, devo risalire a oltre 40 anni fa,
all'aprile 1945, quando gli alleati entrarono a Parma,
dove vivevo, liberando dall'occupazione nazista una
città, i cui abitanti da giorni bivaccavano nelle
cantine,. Ebbene, così come a Parma nel 1945, potrò dire
che anche a Napoli, quel 10 maggio 1987....c'ero
anch'io.
Quell’edizione speciale del giornale é andata ovviamente a ruba e,
per diversi giorni a seguire, il nostro Ufficio
Diffusione continuerà a riceverne richiesta. A
coronamento, il “Mattino” pubblicherà qualche giorno
dopo, un volume dal titolo "Dalla festa all'Europa". Il
libro, curato da Pietro Gargano, Riccardo Capace e
Maurizio Mendia, riporta gli articoli, tra gli altri, di
apprezzati scrittori e giornalisti, Raffaele La Capria,
Max Vairo, Luigi Compagnone, Michele Prisco, Carlo
Bernari, Romolo Acampora, Franco Esposito, Carlo Franco
e Walter Pandimiglio, ed è ricco di splendide foto che
testimoniano della festa. Particolarmente curiose sono
quelle degli striscioni che erano stati appesi un po'
dovunque in città: "Scusate il ritardo", "Napoli
campione d'Italia: ma che r'é v'abbrucia 'o culo?", "Maradona
v'fa abballà 'o tango", "Gira, gira, gira, nun te fermà
cchiù", "E me diciste sì 'na sera 'e maggio", "Maradona
ssì megli'e rraù 'e mamma". Addirittura, nei pressi del
cimitero di Poggioreale, ne è stato messo uno che
recitava : "Che vi siete perso!".
E' mezzanotte passata quando riprendo, a piazza Amedeo, la
funicolare per rientrare a casa. La festa é ancora nel
pieno e durerà tutta la notte. E' una festa gigantesca,
globale, ma semplice. Botti come a capodanno, fracasso
di clacson e grida di felicità. Napoli è fatta così, è
naif, spontanea, generosa, entusiasta. Oggi si scatena
per lo scudetto, ma non ha mai fatto mancare il suo
calore alla squadra nemmeno nei periodi bui, come quelli
della serie B. Tutt’al più, in quei momenti, potrà
riandare con malinconia al ricordo dello squadrone
irripetibile di Maradona e, se proprio non potrà evitare
di fare dei confronti, li farà con la consueta ironia,
ispirandosi magari al grande Eduardo: “Tu che dice?
Chest’è rraù?/ E io m’’o magno pe m’’o magnà/ M’’a faje
dicere na parola?/ Chesta è carne c’’a pummarola”.
Claudio Calza
Nelle foto, due immagini della festa-scudetto a
Napoli; al centro l'abbraccio, nel San Paolo in
tripudio, tra il presidente Corrado Ferlaino e Gianni Punzo,
vicepresidente di quel Napoli.
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