1931: all'Ascarelli  la Polizia cercava il tifoso senza scarpe


   
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ra le partite che hanno fatto “grande” la storia del Napoli, oltre alle sfide con la Juve, figurano anche gli scontri con l’Inter, memorabili anche quelli che videro tra i protagonisti in campo avverso Sallustro e Meazza, superbi rivali anche in Nazionale negli Anni Trenta. Ci piace qui riproporre il ricordo che fece il compianto Crescenzo Chiummariello, giornalista sportivo e già Presidente dell’Associazione Italiana Napoli Club, nella sua “Storia del Napoli dal Mandracchio al San Paolo” di una famosa Napoli-Inter del 24 maggio 1931.


  
“Partita molto sentita, tifo infernale per Sallustro. Quando la palla era in possesso di un azzurro, visto che l’emblema del Napoli era il “ciuccio”, i tifosi in coro scandivano un particolare incitamento, come l’ordine che si dà all’asino quando lo si vuol far camminare e cioè un fragoroso “Ah,ah,ah” prolungato ed assordante. Se, di contro, la palla passava agli avversari subito veniva scandito il contrordine cioè il famoso e rituale “Ih,ih,ih”: una caratteristica di tifo, verace e fantasioso che da anni i sostenitori del Napoli hanno abbandonato a torto (molto a torto) e che farebbero bene a rispolverare.
   Alla fine del primo tempo un terrificante boato scosse le fondamenta dell’Ascarelli. Sallustro aveva segnato; applausi scroscianti al grande Attila, ancora a confronto diretto col grande Meazza. Primo tempo sull’1-0 che lasciava ben sperare, ma Meazza, giocatore ricco di orgoglio e di classe, meditava la vendetta: ricevuta la palla a centro campo dribblò tre azzurri e, invitato all’uscita Cavanna, lo evitò con una finta ed entrò in rete, palla al piede. Strano a dirsi non si sfogò con particolari segni di gioia per la rete segnata, anzi si avviò lentamente sotto la tribuna e volse il suo sguardo fiero ma composto verso i suoi denigratori. Meazza era un campione anche in questo!
   Questo suo atteggiamento serio, invece di richiamare l’applauso, destò una rabbia repressa tra i tifosi azzurri i quali non perdonavano (e non potevano farlo) a Meazza di aver mostrato la sua immensa classe proprio di fronte all’idolo Sallustro. Il Napoli ripartì rabbiosamente all’attacco per agguantare quella vittoria che, anche per il volume e la bontà di gioco messi in mostra, meritava ampiamente. Ma tra lo stupore
generale, l’ala milanese Visentin (che dopo due stagioni sarebbe poi passato nelle fila del Napoli) portò in vantaggio l’Ambrosiana. Visentin non appena vide entrare il suo tiro in rete fece un salto di gioia, come fanno ancora oggi tutti gli attaccanti del mondo e sollevando un pugno al cielo, diede l’impressione di aver fatto un gesto prettamente italico nei confronti del pubblico (anche se alcune testimonianze esclusero la volontarietà d’un gesto volgare).
Fu questa probabile errata interpretazione del gesto, oppure l’ombra della sconfitta che si profilava sugli azzurri, che generò una vivace contestazione contro l’Ambrosiana e contro l’arbitro, il bolognese Scorzoni, accusato di non aver espulso il reo. La partita fu sospesa per alcuni minuti per sedare la tumultuosa protesta. A pochi munti dalla fine l’ala sinistra Tansini riequilibrò il risultato su calcio di rigore (concesso per placare la folla) ma dopo il pareggio l’arbitro subì un nutrito lancio di oggetti vari; i “tiratori” per la verità, si dimostrarono abbastanza maldestri, salvo uno (al secolo Domenico Fenuta) che con due perfetti lanci, degni di un cannoniere scelto, colpì Scorzoni in pieno petto. Le “armi” adoperate erano entrambe le scarpe dell’esagitato Mimì.
   La Polizia decisa ad arrestare il colpevole, bloccò tutte le porte di uscita, controllando gli spettatori, uno per uno, in attesa di scovare chi fosse a piedi nudi. Una volta resosi conto che per il vasto schieramento di Polizia, difficilmente l’avrebbe fatta franca, Domenico Fenuta cominciò a preoccuparsi seriamente della sua sorte. Allora cosa fece? A due suoi amici (così ha raccontato lui dopo, n.d.r.) diede incarico di andare a casa (vicino allo stadio n.d.r.) a prendergli un paio di scarpe. Ma restava il problema di come farle entrare nello stadio, sempre guardato a vista dalla Polizia. Presto fatto! Uno dei due compari si portò sul lato del settore “distinti”, dove erano collocate le aste delle bandiere. Don Mimì con la naturalezza di un grande attore diede inizio all’ammaina-bandiera, servendosi di uno dei capi della corda per farla arrivare all’amico in attesa con le scarpe, tirarle su, infilarle poi ai piedi ed avviarsi all’uscita. Fu un trauma per l’infuriato Fenuta il constatare che da casa gli avevano mandato le scarpe di un familiare, disgraziatamente di numero inferiore al suo.
   Come Dio volle, don Mimì riuscì a calzare le scarpe e comunque mai scarpe strette furono tanto benedette. Si avviò con passo lento e misurato verso l’uscita, dove vi era ancora una lunga coda di persone in attesa del controllo degli agenti e con una faccia tosta incredibile e con l’andatura alquanto claudicante si avvicinò alla porta e disse: “ Brigadiè, faciteme ‘o piacere e mme rà ‘a precedenza: num me facite aspettà tutta chesta fila, Ie tengo certi calle che so’ gruosse comme ‘e cipolle e me fanno male assai”. Il brigadiere convinto dal volto sofferente di don Mimì, lo lasciò passare. Ma appena varcata l’uscita, il nostro protagonista diede inizio ad una gara di velocità vera e propria. La gioia di averla scampata non gli fece sentire le dolorose fitte che le scarpe strette gli arrecavano. E ben lontano dallo stadio liberò le estremità e ritornò a casa a piedi nudi”, mentre la Polizia e l’arbitro Scorzoni erano ancora in attesa di scoprire il provetto lanciatore di scarpe…
    Per la cronaca la gara ritenuta virtualmente sospesa sull’1-2, al momento delle turbolenze in campo, prima del rigore assegnato per “ammorbidire” l’ambiente, fu data vinta all’Ambrosiana per 2-0 e il campo dell’Ascarelli fu squalificato per una giornata.

Nelle foto, due stili diversi di  due grandi campioni dell'epoca; in alto, il tocco magico di Peppino Meazza in gol; al centro un gol di potenza di Attila Sallustro; in basso, il famoso trio difensivo del Napoli Anni Trenta di mister Garbutt: Vincenzi, Cavanna e Innocenti, punto di forza della squadra.
 

1946: una delle profezie del giornalista Carlo Di Nanni

    Nella storia del calcio a Napoli, un posto di rilievo occupa l’episodio del crollo avvenuto, per l’esultanza dei tifosi nel settore delle Tribune, sugli spalti del Vomero, allora “Stadio della Liberazione.” Il crollo si verificò il 27 gennaio del 1946, nel primo campionato del dopo-guerra, torneo misto Centro-Sud, in occasione di Napoli- Bari, per la prima giornata di ritorno e provocò oltre cento tra feriti e contusi. Per vero miracolo non ci scappò il morto, anche se per alcune ore in città si temette il peggio. L’entusiasmo sproporzionato dei tifosi fu generato dal primo gol in campionato del centravanti albanese Lustha, prelevato dalla Juve, il quale per tutto il girone d’andata non era riuscito a mettere mai la palla in porta. L’esplosione di gioia dell’enorme folla stipata sulla tribuna per il derby del Sud, fu tanta che la balaustra del settore venne meno, trascinando giù nel vuoto per alcuni metri alcune centinaia di tifosi (come dimostra l'eccezionale documento fotografico che pubblichiamo qui sotto).
    L’episodio va raccontato non tanto per l’eccezionalità e gravità dell’evento, quanto perché ci introduce nel presentare uno dei più grandi personaggi napoletani, dagli Anni Venti agli Anni Ottanta, Carlo Di Nanni, venuto a Napoli dalla natia San Severo delle Puglie per studiare ingegneria e affermatosi poi come calciatore (già nel Naples nel ‘22), arbitro, giornalista (Il Mattino, il Roma, il Calcio Illustrato, Lo Sport del Mezzogiorno), dirigente della Federcalcio, critico teatrale, ma soprattutto passato alla storia come un temuto e potente apportatore di malefici, colui che, si disse, “atterra e resuscita fra il serio e il faceto”, e da Giuseppe Pacileo definito semplicemente a suo tempo - forse per paura di ritorsioni - un “orientatore degli umani eventi”. Avete capito tutto, quindi quale era la sua “forza”, che peraltro don Carletto non tentava di nascondere ed anzi accreditava con continui racconti e citazioni.
    Torniamo al crollo delle Tribune al Vomero. Di fronte alla continua astinenza del trentenne centravanti azzurro Riza Lustha, Carlo di Nanni scrisse tra l’indignato ed il sarcastico su “Lo Sport del Mezzogiorno” di cui era Direttore, più o meno questa profezia: “ Quel giorno che Lustha segnerà se ne cadranno le tribune…”. Cosa che avvenne puntualmente il 27 gennaio del 1946, quando l’albanese realizzò il gol di apertura, con le conseguenze che il lettore troverà nella riproduzione qui acclusa dal giornale “Il Risorgimento” del successivo martedì 29 gennaio. Di Nanni aveva rivelato quel giorno, in tutto il suo oscuro fulgore, il singolare potere di cui disponeva.
    A lungo è stata alimentata anche la diceria che Di Nanni avesse previsto persino la tragedia di Superga che – come sapete – colpì e annientò il grande Torino, di ritorno in aereo da Lisbona. Un'intera, gloriosa  squadra, tecnici, giornalisti vittime del disastroso impatto, per la fitta nebbia, del trimotore Fiat contro la collina della Basilica. Si raccontava che l'Ingegnere aveva scritto: “ A meno di una catastrofe, il Torino ha vinto lo scudetto” Non esistono, però, prove certe di questa profezia. E' stata trovata soltanto una frase che si avvicina a quella espressione. Su “Lo Sport del Mezzogiorno n° 18 del 1949, prima pagina, prima colonna, 12° cpv, l’allora direttore Carlo Di Nanni scrisse testualmente: “ Se il Torino vincerà il titolo (han bell’e vinto , a meno di catastrofi telluriche in classifica) gran merito dei suoi difensori…eccetera”. Si parlava è vero di “catastrofi”, ma non c’era …la prospettiva del peggio.
    Corrado Ferlaino a lungo maledisse quel giorno che al San Paolo fu provocata una grossa arrabbiatura all’Ingegnere. Capitò il 28 maggio 1970, finale di un Torneo italo-inglese  con lo Swindon Town, già battuto per 5-1, quando un disgraziato ed inesperto controllore bloccò all’ingresso Carlo Di Nanni, proprio l’uomo al quale venivano volentieri aperte tutte le porte! Alte le grida dell’ingegnere, costretto a spiegare agli astanti l’inatteso “mancato rispetto”, anche perchè era in possesso delle più ampie credenziali. Ferlaino, informato, corse verso la maledetta porta d'ingresso per tentare l’accomodamento, ma arrivò tardi. Di Nanni aveva già pronunciato il suo anatema: “ Avìta perdere 3-0 e v’anna scassà pure ‘o stadio!” tuonò con la sua "erre" moscia alla francese. Conclusione amara e pronostico rispettato: il Napoli perse per 0-3, la partita fu sospesa per violenze dagli spalti ed i tifosi irati provocarono danni allo stadio per 80 milioni. Il settimanale "Lo Sport del Mezzogiorno", diretto da Riccardo Cassero, aprì subito una sottoscrizione popolare per far  fronte alle riparazioni più  urgenti del San Paolo che aveva subìto danni soprattutto nei sediolini sulle gradinate.
     Un giorno don Carletto, un'autorità nel calcio dilettanti, diffidò per iscritto in un articolo sul “Roma” i dirigenti dell’Ischia dall’effettuare un recupero infrasettimanale. Gli incauti non gli diedero ascolto ed il vaporetto con squadra e tifosi a bordo, appena staccati gli ormeggi, andò a sbattere contro il molo. Male incolse, poi, nell’ottobre del ’63, a due colleghi, Mimì Farina e Carlo Franco che si erano fatti una “risatella” quando all’ingegnere erano scappati di mano gli occhiali, rompendosi. Al Farina la sera stessa ruberanno le ruote dell’auto parcheggiata davanti alla sede del “Roma”, in Via Marittima, mentre l’altro, Carlo Franco, arriverà a Napoli dalla trasferta in Lucania (Potenza-Napoli 0-1, gol di Rosa, in Serie B) soltanto il giorno successivo per un’interruzione della strada, provocata dalla caduta di alberi (subito dopo che su quella strada era passata velocemente, diretta a Napoli, la vettura con a bordo Carlo Di Nanni, guidata dal collega Giuseppe Pacileo, testimone oculare, quindi, del disgraziato ritorno da Potenza…)
     Ricordate quella famosa partita al San Paolo, Napoli-Juve 2-1 dell’8 dicembre 1968, quando Sivori praticamente lasciò il calcio italiano? “Quel Pieroni sta perdendo il controllo della partita…E Sivori lo vedo nervoso.” disse Di Nanni in tribuna stampa, criticando l’arbitro e con un occhio particolare su Omar che affrontava il nemico Heriberto, suo ex ed odiato allenatore . Dopo pochi minuti si scatenò la zuffa furibonda con l’arbitro Pieroni protagonista: nove giornate di squalifica a Panzanato, sei a Sivori, quattro a Salvadore. due mesi di sospensione all'allenatore Chiappella. Fu l’addio malinconico di Omar da Napoli: se ne tornerà in Argentina.
     Ed ora, alcuni spiccioli. Dopo una clamorosa vittoria del Napoli di Monzeglio, Di Nanni lasciò stupiti i suoi lettori, con un titolone su “Lo Sport del Mezzogiorno”: “Via Monzeglio!”. Indifferente attaccò il suo articolo di  fondo sul settimanale che dirigeva: “ Intitoliamo, dunque, una strada a questo allenatore…”. Ad Antonio Scotti, capo dei servizi sportivi del “Roma” che tentava di rassicurarlo “Non vi preoccupate, ingegnere, il vostro articolo non sarà tagliato. Lo sapete che vi vogliamo bene” arrivò sferzante la risposta: “ Non è vero. Voi mi temete!” E agli amici diceva: “Ma che credete che io non mi accorgo che si grattano? Ma si grattino e si tocchino quando vogliono. Povera gente…”. Una volta, furibondo contro il Napoli vaticinò davanti ad alcuni colleghi: “A Cagliari adda perdere otto a zero…e se n’adda cadè l’aereo”. Sconvolti e a buon ragione preoccupati, i colleghi lo implorarono: “Ingegnere, su quell’aereo dobbiamo viaggiare anche noi…e noi che vi abbiamo fatto? ”. Di Nanni, sensibile alle preghiere, modificò l'infausto…verdetto: “Va bene, ritiro l’incidente” e dopo un poco ritoccò abbondantemente anche l’8 a 0. “Facciamo zero a zero, va bene?”. E sul campo alla fine zero a zero fu.
    Ma se vi portavate bene con lui stavate tranquillo. Perciò aveva anche molti amici ed…estimatori, pronti magari ad invocarlo per ottenere fortuna. Fra gli “assistiti” a buon ragione ci fu anche Rosario Rivellino, giocatore ed allenatore del Napoli, molto stimato dai tifosi, dalla società e dall’ingegnere Di Nanni che apprezzava i modi corretti e le grandi qualità dell’ex ragazzo di Posillipo. Un giorno concluse un suo articolo con questa frase: “Rivellino è un tecnico capace e una persona perbene. Guai a chi lo tocca. Ed io colgo!” Seguiva la sua firma.
   Infine, l’episodio che, insieme con quello del crollo della tribuna del Vomero, ha contribuito più di tutti gli altri ad accreditare all’ingegnere Di Nanni la patente e la fama che lo contraddistinsero. Accadde nel giugno del 1956. Di Nanni viaggiava verso Capri in compagnia dei colleghi Mimì Farina e Umberto Borsacchi, per andare ad ascoltare una recita di Paolo Carlini all’Hotel Quisisana, quando un’enorme nave in transito nel Golfo passò così vicino al vaporetto, da provocare momenti di paura e di sbandamento sull’imbarcazione della SNAV, percossa dall’ondata. L’ingegnere si rialzò dolorante dalla caduta, per l’inattesa e pesante scossa, e alzando il pugno verso la nave esclamò: “ Adda i’ a funno!”. Al che il giovane Borsacchi si permise di osservare: “Ma ingegnere, quella nave è l’Andrea Doria!”. “Tu non ti preoccupare!” incalzò Di Nanni. Un mese dopo, il 25 luglio, per una tragica fatalità, l’Andrea Doria fu speronata, nella nebbia, dalla nave svedese Stockolm, subendo uno dei maggiori disastri marittimi della storia italiana.

Nella foto in alto, è evidenziato il settore della tribuna - a sinistra - dello Stadio del Vomero dove avvenne il crollo, ed un ritaglio dal giornale "Il Risorgimento" con la notizia dell'incidente; al centro una sconvolgente e rara immagine del momento dell'incidente, con i tifosi penzolanti, e la  balaustra  dopo  il crollo ; nella foto al centro, Ferlaino e Pesaola brindano al successo davanti ad una Coppa   vinta dal Napoli   (alla loro sinistra l'ingegnere Carlo Di Nanni, uno dei personaggi più noti  e... temuti dello sport napoletano). In basso la prima pagina de "Lo Sport delMezzogiorno" del 1970 con la sottoscrizione aperta tra istituzioni e semplici tifosi dal settimanale napoletano per riparare i danni provocati al San Paolo da tifosi teppisti durante la partita di Coppa con lo Swindon Town, incidenti che il giornalista Carlo Di Nanni aveva...presagito, durante un tempestoso "scambio di vedute" con gli addetti ai controlli alle porte dello stadio napoletano.

 1946: al Vomero vendetta azzurra, la Juve perde lo scudetto

Poi i tifosi assalirono l'autobus
dei bianconeri, colpevoli di aver
umiliato per 6-0 gli azzurri   nella partita  di andata a Torino

    I ventinove scudetti vinti dalla Juve ( poi gli ultimi due sono stati revocati recentemente per “Moggiopoli”) potevano essere trenta se il Napoli non avesse letteralmente e volutamente impedito ai bianconeri di vincere quello in palio nel 1945-46, nelle finali del primo campionato del dopoguerra. Accadde il 28 luglio del 1946 , ultima giornata della stagione. La Juve ed il Torino si presentarono appaiati in testa alla classifica con 20 punti e si giocarono quindi lo scudetto negli ultimi novanta minuti: la Juventus a Napoli e il Torino in casa contro il Pro Livorno. I granata regolarono gli amaranto toscani facilmente per 9-1, mentre più difficile ed incerta fu la gara del Vomero tra azzurri e bianconeri. Alla fine la Juve riuscì solo a pareggiare nella ripresa con il famoso Piola la rete di Busani e la sfida finì 1-1, consentendo così al grande Torino di ringraziare il Napoli e di vincere lo scudetto con un punto di vantaggio sui rivali bianconeri (22 punti contro 21). E il Napoli si tolse lo sfizio di decidere il campionato.
     Se la Juve , com’era nelle previsioni, avesse vinto al Vomero, ci sarebbe stata una finalissima tutta torinese in aggiunta alle finali! Ma la vita per i bianconeri quel pomeriggio fu dura. Si trovarono contro una squadra ed una tifoseria unite nell’intento di riscattare la vergognosa sconfitta patita dal Napoli nella gara d’andata, allorquando i bianconeri infierirono contro gli azzurri, senza alcuna considerazione, ottenendo un clamoroso sei a zero. Gli azzurri si sentirono e umiliati ed offesi, ma promisero a se stessi e ai tifosi che si sarebbero vendicati nella partita di ritorno, all’ultima giornata. Fu battaglia in campo, fino al novantesimo, con animi esasperati sui due fronti e, purtroppo, fu battaglia anche dopo la partita, quando alcuni tifosi napoletani assalirono l'autobus ( nell’eccezionale documento fotografico che offriamo) mentre riportava in albergo la comitiva bianconera. Solo l’intervento dei carabinieri a cavallo impedì conseguenze più serie. Un episodio esecrabile di violenza che provocò per fortuna solo paura. Quel Napoli schierava Pipan (riserva di Sentimenti II), Pretto e Berra; Rosi, Andreolo e Baldi; Busani, Di Costanzo, Lustha, Verrina, Barbieri. La Juventus giocò con Sentimenti IV, Varglien II, Rava; Depetrini, Tortarolo, Locatelli; Magni, Parola, Piola, Coscia, Conti. A quei tempi, e con quel Napoli (ricostruito quasi in toto dopo la guerra), il pareggio contro i bianconeri fu considerato un ottimo risultato. Il Torino vinse lo scudetto con: Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Ossola, Loik, Gabetto, Mazzola, Ferraris II. Tutti nazionali!
     In quella stessa stagione Napoli fu protagonista di un episodio che colpì molto la tifoseria azzurra, un episodio che andò ad aggiungersi al famoso crollo della Tribuna del Vomero, all’atteso gol di Lustha, di cui riferiamo a parte. Il 9 dicembre del 1945 il Napoli vinse, dopo 25 anni, a Firenze: uno a zero con un gol dell’allora giovane Egidio Di Costanzo, napoletano purosangue, che castigò il “gatto magico” Griffanti. A Napoli – non tanto abituati alle vittorie esterne - i tifosi fecero grandi feste e per solennizzare l’avvenimento “sequestrarono” la scarpetta di Di Costanzo che venne esposta nella vetrina del Bar Fiore al Vasto, uno dei covi dei tifosi azzurri, di proprietà del padre di Roberto Fiore, che doveva diventare vent’anni dopo presidente del Napoli. Il papà del futuro dirigente azzurro chiosò così in versi su un cartello esposto nella vetrina : “Chesta è ‘a scarpa ‘e Di Costanzo/ ca signanno ‘e renza ‘e renza/ ha ‘nguaiato l’esistenza/ ai tifosi di Firenze”.
     Era, quello, un Napoli messo su con sacrifici e grossi sforzi, dopo i problemi del periodo bellico. “Per rafforzare la squadra - ricordava Athos Zontini, giocatore e poi medico sociale del Napoli - il presidente in pectore del Napoli, Pasquale Russo e il dinamico Gigino Scuotto si misero in giro per la Penisola, puntando al Nord. Il viaggio venne compiuto a bordo di una macchina il cui ricordo suscitò a lungo un fremito di paura: quattro gomme così lisce e consumate che sembravano scoppiare da un momento all’altro, al punto che dovettero essere…protette e sostenute con le cinture dei pantaloni. Allora i pneumatici erano una cosa rara a trovarsi. A tutto questo, inoltre, v’è da aggiungere che, dati i tempi, Russo e Scuotto nel loro peregrinare per amore calcistico furono costretti a dormire spesso all’addiaccio (una notte nel freddo sulla Radicofani, il cuore della Toscana) perché il più delle volte i letti degli alberghi erano popolati da animaletti. Comunque, il viaggio dei due dirigenti fu fruttifero: tornarono a casa con un bel gruppo di giocatori, Sansone, anni 36, mezz’ala del Bologna con mansioni di allenatore-giocatore, Andreolo, anni 35, dal Bologna, Lustha dalla Juve, Rosi dal Livorno, Gallanti dal Fanfulla, Barbieri dal Carpi, Baldi dal Torino. Con questi acquisti, la spesa globale della stagione fu di sette milioni…Altri tempi.

Nella foto in alto, carabinieri a cavallo in aiuto dell'autobus (si fa per dire: era piuttosto una vecchia corriera...) della Juve, circondato al Vomero, vicino allo stadio, da un gruppo di tifosi napoletani che avevano giurato ritorsioni dopo l'umiliante sconfitta del Napoli a Torino (6-0) nella partita d'andata. La gara di ritorno, a Napoli, finita in parità , aveva, tra l'altro  impedito alla Juve di vincere lo  scudetto all'ultima giornata; nel disegno al centro, lo stile del grande Silvio Piola (autore del gol bianconero al Vomero nel '46) visto dalla famosa penna di Silva; nella terza foto, il grande Torino dominatore nel dopoguerra che, grazie anche al Napoli, vinse lo scudetto nel 1946.


        1953:  a Napoli scudetto addio, Parola piange sul palo


  
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ra le foto-simbolo della storia del Napoli e più in particolare di Napoli-Juve, c’è anche una foto di Carletto Parola, difensore possente dei bianconeri negli anni Cinquanta e successivamente, per breve tempo nel 1968, anche tecnico della società azzurra, al fianco di Chiappella. Ma non si tratta di quella famosa foto esaltante ed acrobatica della rovesciata in area di rigore, poi presa a simbolo delle figurine Panini, ma invece di quella foto che i tifosi più anziani ricordano di Parola, con un atteggiamento di desolazione, quasi accasciato al Vomero sul legno di una porta ancora con l’impronta di un pallone infangato per un palo colpito dal Napoli, un Parola, (vi presentiamo il momento) deluso, meditabondo per quel gol di Amadei al 90’ che aveva dato il successo in extremis al Napoli, dopo una partita rocambolesca. Raccontano che nello spogliatoio scoppiò in lacrime.
   Era il 18 gennaio del 1953. Con la sconfitta al Vomero tramontavano le speranze juventine di conservare lo scudetto di fronte alla marcia dell’Inter di Ghezzi, Lorenzi, Skoglund e Nyers. Una sconfitta tanto più amara, considerando che la Juve dopo nove minuti vinceva già per due a zero, con i gol prepotenti di John Hansen e di Praest. Ma il Napoli, scatenato, nel giro di un minuto, al 25’ e al 26’ riuscì a pareggiare prima con Pesaola, poi con Jeppson e - sotto la spinta del suo pubblico – conquistò il successo al 90’ con un tiro di rara astuzia di Amadei, il tiro più bello della giornata , mentre la Juve impaurita era asserragliata in difesa. Invano, Parola tentò di intercettare il bolide che non era alla portata dell’estremo difensore Cavalli. Per la grande Juve fu il crollo inatteso. Da dodici anni i bianconeri non perdevano a Napoli ed il “Calcio Illustrato” titolò in prima pagina “Arso lo scudetto sul rogo del Vesuvio?”. Esatto il presagio, previste anche le 100 mila lire di multa per i mortaretti lanciati per la festa che si inscenò intorno ad Amadei e a Lauro (nella foto).
   Nell’articolo di una firma prestigiosa, quella di Vittorio Pozzo (già allenatore della nazionale azzurra nei due mondiali vinti nel 1934 e nel 1938) inviato speciale a Napoli per il famoso settimanale , il tecnico scriveva: “ Bella per il colore più che per l’intrinseco contenuto tecnico, la partita l’ha vinta il Napoli a forza di correre; l’ha persa la Juve a forza di star ferma. Il Napoli con l’argento vivo nelle ossa, non contento della sua sorte, si sentiva riardere dal desiderio di una grande affermazione ai danni di qualcosa che andava per la maggiore”. Era, quello, il Napoli di Casari, Comaschi, Vinyei, Castelli, Gramaglia, Granata, Vitali, Formentin, Jeppson, Amadei, Pesaola, allenati da Monzeglio, quarto classificato, dietro l’Inter, la Juve e il Milan.


           1961: Omar manda in Serie B il Napoli e Cesarini

     21 maggio 1961, terzultima giornata di Serie A. Scende al San Paolo lo squadrone di Charles, Sivori e Boniperti, quasi matematicamente già campione d’Italia, contro un Napoli, che, nonostante una robusta campagna acquisti, lotta sorprendentemente e disperatamente per la salvezza. Stavolta gli azzurri mettono in gioco contro i lanciatissimi bianconeri la loro ultima speranza di evitare il tonfo in Serie B. La fortissima Juve, alla fine, travolge letteralmente il Napoli, con un indiscutibile 4-0 e nello stesso tempo annulla tutte le illusioni azzurre, nel più veritiero e malinconico pomeriggio del San Paolo, davanti a oltre 80 mila spettatori. Sivori, il giocoliere dagli stinchi nudi (per il quale Achille Lauro, proprio in quei giorni, si dichiara disposto all'acquisto in cambio di uno dei suoi…bastimenti con tutto l’equipaggio schierato in coperta, compresi i suoi “prodi, ma inidonei giocatori”!) non può avere pietà per il suo Maestro e connazionale Renato Cesarini, ex juventino, che soffre e si agita sulla tormentata panchina azzurra: tre gol su quattro dell’esaltante successo bianconero sono di Omar, mai così possente, spettacolare. Gino Palumbo  su "Il Mattino" titolerà il suo articolo di fondo con un eloquente "Un marziano contro gli orfanelli". Dopo la gara,  Omar Sivori non ripartirà con i suoi compagni: resterà per tutta la serata a Napoli con il suo maestro Cesarini, in attesa di ricevere da lettera di "messa a riposo", ovvero di licenziamento insieme con Amadei.  
   Per il povero Napoli è la retrocessione, per la Juve il dodicesimo scudetto. Alla fine, nello stadio muto, Sivori lascia che i compagni esultino a centrocampo. Lui va ad abbracciare ed a consolare il suo vecchio pigmalione: gli occhi abbassati, uno zigomo incerottato, dopo l’onesta battaglia, lo accarezza dolcemente, sembra quasi chiedergli scusa per il dolore arrecatogli. “Perdonami, ma dovevo farlo”, gli sussurra nell’orecchio. L’altro, con la testa appoggiata sulla guancia del suo implacabile “giustiziere”, non riesce a trattenere le lacrime: l'apparente mestizia e un riposto compiacimento si mescolano sui due volti che non possono nascondere il conflitto di sentimenti interiori.
   Li immortala, al rientro negli spogliatoi,  la più bella foto che sia mai capitata sul mio tavolo di lavoro. e che ripresento oggi. Se dovessi scrivere un giorno un libro su Juve-Napoli, non esiterei per illustrare questo fascinoso racconto nel riproporre la storica foto del gol “impossibile” di Maradona a Tacconi, su punizione dal limite, al San Paolo, non dimenticherei le foto-simbolo delle  parate strepitose di Bugatti febbricitante e vittorioso a Torino, le foto degli indimenticabili successi propiziati da Sallustro e Vojak e poi da Vinicio e Jeppson. Tutte degne di sintetizzare i momenti di gioia azzurra nella “partitissima” per antonomasia. Ma, per esemplificare i tanti sentimenti che ha suscitato negli anni questo prestigioso scontro, tra il Napoli e la Juve, comincerei proprio da quell’immagine così espressiva, così commovente di Sivori e Cesarini abbracciati a Napoli, in un destino tanto diverso.
   Dopo il 4-0 ed il licenziamento della coppia Cesarini - Amadei, la squadra fu affidata al generoso  Sallustro. Alla stazione prima di partire, Cesarini sottolineò: " Mi è stata affidata una squadra ombra, una squadra che andava a rotoli. Come si possono coltivare fiori nell'argilla?" Il Napoli sbaglia a comprare  i giocatori che gli offrono. Invece deve prendere solo quelli che vuole. E c'è grande differenza!". Purtroppo, molto spesso nel futuro  la società azzurra non tenne conto di questa semplice , ma decisiva raccomandazione.




    1979:  Napoli-Perugia,  91 mila per fischiare Paolo Rossi!
  
                                                                                    

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n questi giorni si parla abbondantemente dei problemi del San Paolo, della sua capienza sempre più ridotta ( per esigenze di ordine pubblico), delle carenze dell’impianto, della necessità (o opportunità) di costruire a Napoli un nuovo stadio al massimo per 65 mila spettatori. Su questo tema di grande attualità è il caso di ricordare, però, ai tifosi azzurri, quelli più giovani,  i due primati di affluenza stabiliti a Fuorigrotta: uno in campionato, in un semplice Napoli-Perugia, con oltre 90 mila spettatori e registrato nel 1979, quando ancora Maradona non c’era, ed uno in Coppa Campioni nel 1987, quando gli azzurri, con Diego, affrontarono il Real Madrid, in una partita decisiva e sfortunata (Napoli eliminato dopo un 1-1). Le cronache riferiscono che quel giorno, per l'arrivo dei madrileni, nello stadio partenopeo trovarono posto (tutti in piedi) circa 100 mila spettatori, l’uno sull’altro come le classiche sardine. Le cifre ufficiali della partita parlano però di 83.231 mila paganti, molto vicini ai centomila storici, ma anche distanti, sia pur considerando la piaga insanabile dei "portoghesi". Comunque resta il record assoluto a Fuorigrotta. L'’affluenza al San Paolo che viene, ad ogni modo, ricordata come la più sconvolgente ed anche drammatica fu quella di campionato del 20 ottobre del 1979, in occasione di Napoli - Perugia, anticipata al sabato in coincidenza con la visita domenicale  a Napoli di Papa Wojtyla, “l’uomo amato dalle folle”, l'ospite attesissimo centotrent’anni dopo Pio IX. Si parlò allora di circa 91 mila spettatori. Nemmeno per le feste-scudetto   del maggio 1987, e dell'aprile 1990, furono successivamente registrati tanti tifosi sugli spalti. Per Napoli- Fiorentina del 1997, infatti,  vennero contati
82.579 spettatori paganti e per Napoli-Lazio del 1990 gli spettatori paganti furono 82.499. Cifre lontane dai 91 mila  spettatori di Napoli-Perugia del 1979.
     Quel pomeriggio di Napoli-Perugia, nonostante la mobilitazione per l’eccezionale evento, nonostante il Napoli fosse in una zona tranquilla e non stimolante di centro-classifica, nonostante si trattasse di giorno feriale, al San Paolo si radunarono oltre 91 mila spettatori, mai vista prima una simile folla, tanto che nei giorni successivi si insinuò e si polemizzò che il Napoli avesse venduto più biglietti del consentito e che praticamente al San Paolo quel giorno furono circa in 100 mila. A protestare furono in molti, soprattutto quei tifosi che - pur provvisti del prezioso biglietto - dopo essere riusciti a stento ad avvicinarsi all’impianto o ad entrare nello stadio, non trovarono posto, nemmeno un buco sugli spalti. Muri umani, formatisi sulle scale ai vari varchi di accesso, impedivano, in effetti, agli ultimi arrivati persino di intravedere il rettangolo di gioco. Ci si aiutava con le radioline... Assurdo e indimenticabile. Ma fuori dello stadio. durante l’incontro, accadeva di peggio. Impazzava, infatti, una violenta guerriglia tra la Polizia e gli spettatori furiosi, gli ultimi arrivati, (furono calcolati in circa diecimila) , moltissimi col biglietto tra le mani , i quali non riuscivano ad entrare, se non abbattendo i cancelli. La Polizia all’esterno dello stadio, oltre a respingere l’assalto dei tifosi (“regolari” e non) diventò poi protagonista assoluta, in quanto costrinse l’arbitro a sospendere la partita per due minuti, dal 24’ al 26’, a seguito di un lancio errato di candelotti lacrimogeni dentro l’impianto, sul terreno di gioco, anziché fuori, dove la folla premeva. Il portiere del Perugia, Malizia, con gli occhi arrossati si recò dal direttore di gara e chiese la sospensione della partita: non riusciva a vedere! E l’arbitro fu obbligato a fermare il gioco, fin quando il vento non spazzò via il  fumo acre.
    Poiché questo insolito episodio accadde al 24’ del primo tempo, si deduce che per oltre mezzora dall’inizio della partita intorno al San Paolo la folla inferocita (decine e decine tra feriti e contusi) cinse d’assedio lo stadio ed impegnò la Polizia. Finche’, per la legge dell’impenetrabilità dei corpi, molti ritennero più opportuno rinunciare a sfogarsi, rassegnandosi a tornare a casa con largo anticipo, evitando , così oltre gli idranti della P.S. anche la beffa delle lunghissime code , tra un mare di auto parcheggiate fuori posto, che l'affluenza record riservò poi ai fortunati tifosi che erano riusciti ad entrare, a fine partita. Come abbiamo detto, logiche, oltre che inevitabili, le proteste. Furono fatti i conti in tasca al Napoli: abbonati 38.988, più 48.367 paganti , per un totale di 87.355 spettatori ufficiali dichiarati dalla Società, il che – soprattutto in una città come Napoli – considerando gli ingressi di favore, i soliti “portoghesi”, gli scavalcamenti, gli ingressi di servizio,  significavano più di 91 mila persone, ben oltre la capienza ufficiale del San Paolo. Senza contare le sospettate irregolarità sul numero dei biglietti effettivamente venduti!
    Ma perché quella gara, un semplice Napoli-Perugia, senza l’etichetta di partitissima, aveva suscitato un così straripante interesse intorno a sé, tanto da riempire oltre misura lo stadio napoletano, con un record che è da considerarsi persino di livello nazionale? Non tutti oggi lo ricordano, forse nemmeno quelli che si strinsero come sardine sugli spalti. Il grande richiamo non fu il Napoli, che poteva offrire allo spettacolo solo dei “semplici” Ferrario, Castellini, Vinazzani, Tesser, Filippi, Bellugi, Bruscolotti, Damiani, Improta ed era reduce da un sesto posto. La maggior parte dei tifosi era, invece, stata attirata al San Paolo dalla allettante prospettiva di poter fischiare Paolo Rossi, il goleador del Perugia, che appena qualche mese prima, durante la campagna acquisti, aveva sdegnosamente rifiutato il trasferimento al Napoli (diciamo, piuttosto, a Napoli), nonostante Ferlaino avesse faticosamente raggiunto l’accordo con il Vicenza del presidente Giusi Farina per il prestito di Pablito,, in cambio di due milioni e mezzo per due anni. Ma, una volta appresa la notizia dell’accordo, il goleador vicentino – che già sapeva di essere destinato a passare entro qualche anno alla Juve - disse :”No, a Napoli non vado! Non è il mio ambiente”. Per i napoletani che qualche anno prima avevano accolto con eccezionale calore un altro capocannoniere, Savoldi, quel “no” suonò come uno schiaffo, una vera offesa.
    Immaginate il concerto di fischi che partì dagli spalti quando Paolo Rossi, mentre un aereo volteggiava sullo stadio con una gigantesca scritta “Rossi non sei degno di noi!”, si presentò baldanzoso sul dischetto dell’area di rigore per tirare il penalty concesso dall’arbitro Barbaresco. Nonostante l’accompagnamento di un coro assordante mai sentito in precedenza, Pablito riuscì a battere Castellini, e continuò a catalizzare fischi anche durante i minuti successivi. Paolo Rossi a fine gara dichiarò che quando prendeva palla non riusciva, a causa dei fischi, a sentire nemmeno i compagni di squadra che gli chiamavano palla... Ma per buona sorte del Napoli, l’arbitro concesse dopo dieci minuti un altro rigore, stavolta a favore degli azzurri, trasformato da Damiani. E finì 1-1.
   Nei confronti di Paolo Rossi i tifosi azzurri ebbero una magra soddisfazione a fine campionato, quando a seguito del famoso scandalo delle scommesse, la Caf comminò pene severe a società e giocatori, tra cui anche Pablito, squalificato per due anni. In una città come Napoli era inevitabile che il commento più diffuso fosse :”Ponno cchiù ll’uocchie ch’e scuppettate”…

Nella foto, Paolo Rossi, dopo il "no" al Napoli, non si tira indietro davanti ad un bel piatto di mozzarelle.
 

          1987: una “straordinaria” veramente straordinaria
 di Claudio Calza

  Per l'entusiasmante scudetto del Napoli nel 1987 si è scritto a suo tempo di tutto, un trionfo visto da ogni angolazione: il tripudio dei giocatori azzurri campioni d'Italia, l'allenatore Bianchi eccezionalmente sorridente, le capriole di Maradona superstar, i riconoscimenti anche per gli umili portatori di palla, il presidente Ferlaino, finalmente gioioso issato sulle spalle degli spettatori, i tifosi impazziti nello stadio e in città, i massaggiatori ed i vari addetti della società, tutti coinvolti nella festa canora e bagnata di champagne sulla testa di Giampiero Galeazzi negli spogliatoi. Oggi vi presentiamo un'insolita e felice testimonianza, quella del Capo dell'Ufficio Diffusione de "Il Mattino", Claudio Calza, per illustrare come fu preparata e vissuta, all'interno del giornale, la stampa e la diffusione dell'edizione straordinaria che quella storica domenica, poco prima che finisse la partita, con cronometrica cura, invase le strade e le edicole della città per suggellare un'impresa indimenticabile. Un amarcord singolare dell'avvenimento, trascurato finora, ma  egualmente degno di figurare in questa "Napoli story".
 


  
Uscito dal portone di casa, sono avvolto da un sole già caldo, come solo a Napoli può esserlo nel mese di maggio. Mi avvio a prendere la funicolare che porta a piazza Amedeo e percorro quel centinaio di metri senza incontrare quasi anima viva. Anche sul vagoncino, a bordo del quale ogni giorno faccio il breve tragitto, strizzato come in un barile di acciughe, le persone si contano a poche unità. Piazza Amedeo, Via dei Mille, piazza dei Martiri, via Morelli, fino alla sede del "Mattino", in via Chiatamone: il mio percorso di sempre, che faccio camminando tra una moltitudine di persone. Oggi invece l'atmosfera é diversa, quasi irreale. E' domenica pomeriggio, esattamente domenica 10 maggio 1987 e in giro continua a non esserci nessuno. Dalle finestre aperte arriva la voce concitata di un radiocronista che, dagli altoparlanti delle radio, tenute ad un volume allucinante, racconta le prime fasi di un incontro di calcio. Anzi, dell'incontro di calcio.
   Questa infatti é una giornata storica per la Napoli calcistica.... macché, per Napoli tout court, perché non esiste un napoletano che non si interessi di calcio e non sia tifoso della sua squadra. Una giornata storica, dicevo, perché allo stadio di San Paolo a Fuorigrotta, si gioca, per la penultima giornata di campionato, Napoli-Fiorentina, che presenta una curiosa caratteristica. La squadra del Napoli é in testa alla classifica mentre la Fiorentina sta rischiando di retrocedere in serie B. La posizione delle due squadre però é tale che ad entrambe basta un risultato di parità: al Napoli, per vincere matematicamente lo scudetto con una giornata di anticipo, alla Fiorentina per garantirsi, con altrettanta sicurezza, la permanenza in serie A. Si può dire quindi che, per come vanno da sempre le cose nel calcio, certamente l'incontro finirà in pareggio.
   E, proprio in considerazione di questa più che probabile ipotesi, al giornale si è deciso di preparare un'edizione straordinaria, ovviamente prefabbricata, dedicata appunto a questo avvenimento, non ancora realtà, ma prossimo venturo. Un giornale “storico” da conservare. La prima pagina è occupata da un grande scudetto tricolore che lascia spazio ad un grande titolo: "E' scudetto, Napoli una città in festa". Seguono molte pagine con la storia di quel campionato incredibile che si stava concludendo con il primo titolo italiano nella storia di Napoli. Lo stava conquistando la squadra di Garella, Bruscolotti, Ferrara, Bagni, Di Napoli, Carnevale, Careca e soprattutto di Diego Armando Maradona, il fuoriclasse argentino, il cui arrivo aveva fatto impazzire la città. Alla sua presentazione ufficiale, avvenuta sul prato dello stadio San Paolo, c'era il tutto esaurito. Lui, in jeans e maglietta bianca, con la sciarpa della squadra al collo, aveva palleggiato mostrando la sua straordinaria abilità da foca ammaestrata, accerchiato da centinaia di fotografi. Pochi minuti di show, un cenno di saluto ed é stato subito amore. Un amore sviscerato, irrazionale, totale.
  Un amore che il riccioluto tombolotto aveva comunque ampiamente ricambiato, facendo a Napoli il più insperato dei regali. In città non si parla che di lui; tutti lo vogliono, tutti gli ambienti, dal più popolare, al più raffinato, al più "chiacchierato" se lo contendono per esibirlo, onorarlo, fino a farlo diventare un idolo, un santino. Non é un'esagerazione. Ho conosciuto gente che ha ricavato in un angolo del suo basso, un altarino con la foto del "Pibe de oro" circondata da lumini, candeline, fiori e quant'altro. Lo stesso trattamento riservato da sempre a San Gennaro. La gente l'avrebbe voluto come sindaco e, se lui si fosse seriamente candidato, avrebbe stravinto contro chiunque. E’ un ragazzo molto semplice, generoso, disponibile. I suoi "gestori" se lo portano a spasso come un bagaglio appresso, facendosi pagare più che profumatamente le comparsate. Attorno alla sua immagine é stata costruita un'azienda molto florida, che prevede lo smercio dei più disparati gadget e che è diventata in breve una miniera d'oro. La sua villa a Posillipo è meta di ininterrotti pellegrinaggi da parte dei suoi fans, con l'unico scopo di intravederlo, attraverso il cancello, mentre gioca con le due figlie e con la bella moglie, e strappargli un cenno di saluto, un sorriso.
   Ma torniamo a oggi. La tiratura, molto sostanziosa, dell’edizione straordinaria è pronta "in ribalta", come si dice in gergo per indicare il punto di carico dei giornali destinati ai punti di vendita. La redazione si è impegnata alacremente e ha realizzato una “straordinaria” di eccezionale bontà. Il direttore Pasquale Nonno ha seguito affettuosamente il lavoro, il redattore capo Riccardo Cassero, per decenni testimone delle vicende azzurre come Capo dei Servizi Sportivi, finalmente può dedicarsi ad uno scudetto, a una festa che si portava dentro da anni, e predispone l’edizione speciale, insieme col responsabile della Redazione Sportiva, Romolo Acampora, abile ed esperto nocchiero di un gruppo di agguerriti colleghi, primi fra tutti Giuseppe Pacileo, Enzo Casciello, Franco Esposito, Sergio Troise, Pierpaolo Paoletti, Danilo di Tommaso, Gianfranco Coppola. Per la distribuzione, ci siamo accordati con gli edicolanti perché, attorno alle cinque, poco prima della fine della partita, loro aprano le rivendite, pronti a ricevere le preziose copie che noi faremo loro pervenire in tempo utile. Ed é proprio su questo "tempo utile" che dovevamo lavorare sul filo del rasoio. Prima di far uscire dal magazzino le copie, dovevamo essere certi del realizzarsi di quanto ipotizzato, cioè la vittoria o, almeno, il pareggio del Napoli. Guai se fosse andato in vendita un giornale che annunciava, trionfante, un avvenimento che non si era ancora verificato. Avremmo fatto la figura dei peracottari. Per contro, non potevamo prendercela troppo comoda, perché avremmo rischiato di trovarci con i furgoni intrappolati nella marea di tifosi che, uscendo dallo stadio, avrebbero invaso festanti le strade senza troppo preoccuparsi delle esigenze editoriali del Mattino. Anche se, c'è da dire, che il grosso del traffico sarebbe stato pedonale. Infatti, in vista di questo appuntamento, che avrebbe potuto essere determinante ai fini dello scudetto, Maradona aveva fatto un appello a tutti i tifosi affinché andassero allo stadio a piedi, o con i mezzi pubblici, proprio per non rischiare di ingolfare il traffico, con le macchine, all’uscita. Conoscendo gli italiani, che se potessero, andrebbero anche a letto con l'automobile, si stenterà a crederlo, ma oggi, nel parcheggio del San Paolo, le auto si contano a poche decine.
   Per tornare a noi, l'organizzazione era la seguente: Massimo Garzilli, il direttore amministrativo, sarebbe stato di vedetta allo stadio, in tribuna stampa, con il cellulare in fibrillazione. Per lui stare lì era normale. Quando la squadra giocava in casa, lui al San Paolo c'era sempre e la sua partecipazione alla partita era tale che, per i due o tre giorni seguenti, sarebbe stato costretto ad esprimersi a gesti. Noi operativi eravamo invece in stand by nella sede del giornale seguendo le vicende della partita attraverso la radio. Quando arrivo in redazione, all'interno della guardiola vedo un usciere, di cui purtroppo non ricordo il nome. Grosso, sanguigno, con i colori del Napoli nel DNA, ha l'orecchio incollato alla radiolina e nemmeno mi vede. Probabilmente, oggi in sede potrebbe entrare impunemente tutto l'esercito americano. Poco tempo fa, una domenica pomeriggio, stavo andando a dare un'occhiata per vedere come sarebbe stata l'edizione del lunedì, quando, passando dalla portineria, lo vedo schizzare dalla guardiola agitando le braccia. Si vede che vorrebbe gridare qualcosa, ma non gli esce la voce dalla strozza. Crolla in ginocchio e dà l'impressione di non riuscire più a respirare. Dobbiamo farlo portare al Pronto Soccorso. Che cos’era successo? Niente di grave: il Napoli aveva solo segnato un gol alla Juventus.
   Davanti all'ascensore incontro Marino: "Il Napoli ha segnato" - mi fa. Cominciamo bene. Possiamo guardare al nostro programma con più serenità. Su al terzo piano c'è tanta gente, addetti ai lavori e non, per vivere assieme quella che si annuncia come una grande festa. Davanti alla finestra, che si affaccia sulla via Chiatamone, un pupazzo gigantesco, con la maglia n.10 di Maradona, galleggia nell'aria, ancorato ai cavi della corrente. Ma tutta la città é imbandierata; si va dai festoni formati da sacchetti bianchi e blu del supermercato agli striscioni più fantasiosi. Senza contare le pareti, l'asfalto delle strade, i gradini tutti dipinti, sempre di bianco e blu. Nei giorni scorsi, i napoletani hanno dato fondo a tutte le scorte di vernice di quei colori per dipingere a festa la città.
   All'improvviso arriva il pareggio della Fiorentina. Come previsto. A questo punto, ci sarebbe da scommetterci la casa che questo 1-1 si trascinerà stancamente fino alla fine, anche se manca ancora parecchio alla conclusione. Chiamo il direttore allo stadio: "Ci siamo. Tutto come previsto. Faccio partire le macchine?". "No, non ancora - la sua voce é roca - aspettiamo un po'. C'è tempo". E' chiaro che la scaramanzia gioca il suo ruolo fondamentale nella vicenda. "Ok - gli rispondo - però non facciamoci sorprendere dalla fine, altrimenti non riusciamo più a muoverci". Il tempo trascorre troppo lentamente. Sul campo, i giocatori delle due squadre continuano a passarsi il pallone tra di loro per paura di farsi male. L'arbitro stesso non vede l'ora che tutto finisca. Mancano meno di dieci minuti. Richiamo Garzilli. "Direttore, mi dia il via, per favore!". Mi risponde con un filo di voce: "Ancora qualche minuto, non si sa mai...." e riappende per farmi capire che non ammette repliche. Scendo in ribalta. I portatori hanno caricato i giornali, alcuni sono già al volante. Mi guardano interrogativamente. So che mi sto giocando il posto, ma in quel momento sento solo la mia voce che dice: "Andiamo ragazzi!". Macché Indianapolis, Daytona, Monza o Imola; la loro partenza é da cinematografo. Scattano a razzo tutti assieme e non so come facciano a non impastarsi uno con l'altro. Chi non ha mai visto il vicolo sul quale si affaccia il “punto di carico” del “Mattino”, non può rendersi conto di quanto San Gennaro si sia dovuto dar da fare per mantenere incolumi quei bravi ragazzi.
   Tiro un sospiro di sollievo, anche se, teoricamente, il mio posto di lavoro vacillerà ancora per qualche minuto. L'arbitro ha già il fischietto in bocca per decretare la fine dell'incontro, quando squilla il telefono: "Ecco, ora le macchine possono partire". "Direttore - rispondo con soddisfazione - se si affaccia sul piazzale esterno, vedrà gli strilloni già al loro posto, in attesa dell'uscita della gente". "E le edicole?"; "Sicuramente i portatori stanno ultimando le consegne. Operazione compiuta". "Bel lavoro, grazie!". Però, ripensandoci, quel diavolo di un Massimo tutti i torti non li aveva a tergiversare. Gli spettatori, infatti, non si decidono ad uscire e si attardano ancora sugli spalti ad applaudire. Proprio così, sugli spalti e non a sciami sul campo da gioco, come sarebbe stato prevedibile. Merito anche questo di Maradona, che, dopo aver indotto la gente a lasciare a casa la macchina, li ha convinti, con un successivo appello, a rimanere disciplinati sulle gradinate. Saremo noi - ha proclamato il ducetto - a venire a salutarvi sotto le tribune e a regalarvi le nostre magliette, le nostre scarpe, i nostri pantaloncini. Risultato: nemmeno il più scalmanato dei tifosi ha saltato il fosso che circonda il campo da gioco. Un fatto del genere a mia memoria non si era mai verificato, soprattutto per un primo scudetto assoluto. Compiuto il rito, come un fiume in piena, gli ottantamila del San Paolo si riversano sulle strade, mischiandosi alla gente che ha vissuto l'evento in casa, con l'orecchio alle radioline. E a questo punto: che la festa abbia inizio!. Chi non era quel giorno a Napoli non può nemmeno lontanamente immaginare le scene che si sono succedute lungo le strade dell'intera città. A piedi, in motorino, stipati su macchine e furgoni addobbati in biancoazzurro, i napoletani si abbandonano alla gioia più sfrenata. Gli occhi irripetibili delle ragazze (“Uocchio de suonne, nire, appassionate”, cantava Salvatore Di Giacomo) brillano, se possibile, ancora più vivaci. Per riandare a tanta festa, personalmente, devo risalire a oltre 40 anni fa, all'aprile 1945, quando gli alleati entrarono a Parma, dove vivevo, liberando dall'occupazione nazista una città, i cui abitanti da giorni bivaccavano nelle cantine,. Ebbene, così come a Parma nel 1945, potrò dire che anche a Napoli, quel 10 maggio 1987....c'ero anch'io.
   Quell’edizione speciale del giornale é andata ovviamente a ruba e, per diversi giorni a seguire, il nostro Ufficio Diffusione continuerà a riceverne richiesta. A coronamento, il “Mattino” pubblicherà qualche giorno dopo, un volume dal titolo "Dalla festa all'Europa". Il libro, curato da Pietro Gargano, Riccardo Capace e Maurizio Mendia, riporta gli articoli, tra gli altri, di apprezzati scrittori e giornalisti, Raffaele La Capria, Max Vairo, Luigi Compagnone, Michele Prisco, Carlo Bernari, Romolo Acampora, Franco Esposito, Carlo Franco e Walter Pandimiglio, ed è ricco di splendide foto che testimoniano della festa. Particolarmente curiose sono quelle degli striscioni che erano stati appesi un po' dovunque in città: "Scusate il ritardo", "Napoli campione d'Italia: ma che r'é v'abbrucia 'o culo?", "Maradona v'fa abballà 'o tango", "Gira, gira, gira, nun te fermà cchiù", "E me diciste sì 'na sera 'e maggio", "Maradona ssì megli'e rraù 'e mamma". Addirittura, nei pressi del cimitero di Poggioreale, ne è stato messo uno che recitava : "Che vi siete perso!".
   E' mezzanotte passata quando riprendo, a piazza Amedeo, la funicolare per rientrare a casa. La festa é ancora nel pieno e durerà tutta la notte. E' una festa gigantesca, globale, ma semplice. Botti come a capodanno, fracasso di clacson e grida di felicità. Napoli è fatta così, è naif, spontanea, generosa, entusiasta. Oggi si scatena per lo scudetto, ma non ha mai fatto mancare il suo calore alla squadra nemmeno nei periodi bui, come quelli della serie B. Tutt’al più, in quei momenti, potrà riandare con malinconia al ricordo dello squadrone irripetibile di Maradona e, se proprio non potrà evitare di fare dei confronti, li farà con la consueta ironia, ispirandosi magari al grande Eduardo: “Tu che dice? Chest’è rraù?/ E io m’’o magno pe m’’o magnà/ M’’a faje dicere na parola?/ Chesta è carne c’’a pummarola”.

                                                                                                                 Claudio Calza

Nelle foto, due immagini della festa-scudetto a Napoli; al centro l'abbraccio, nel San Paolo in tripudio, tra il presidente Corrado Ferlaino e Gianni Punzo, vicepresidente di quel Napoli.