Napoli capitale
degli slogan
Ecco solo due degli
slogan coniati nel tempo dai tifosi del Napoli per la
squadra e per i suoi giocatori. I sostenitori azzurri
furono particolarmente prolifici durante il periodo
degli Anni Sessanta in cui nel Napoli militarono Sivori,
Altafini e Canè e ovviamente nell'epoca d'oro di
Maradona, quando a Napoli arrivarono due scudetti, una
Coppa Uefa e altri successi. Nella foto a fianco, tifosi
azzurri su un pullman in partenza per un derby allo
"Stadio Olimpico" contro la Roma . Lo striscione
inneggia a Canè,
considerato "migliore" del famoso trio
della nazionale brasiliana, composto da Didì, Vavà e
Pelè.

Nella
foto, a destra una banda musicale sfila sulla pista
dello Stadio San Paolo guidata da capi-tifosi e con lo
striscione che esaltava la squadra di Sivori , Altafini,
Canè, Juliano, Bianchi, prendendo in prestito il titolo
di una canzone di successo di Domenico Modugno : "Tu sì
'na cosa grande". Erano gli Anni Sessanta in cui la
squadra azzurra, guidata da Bruno Pesaola, e costruita
da Roberto Fiore, conquistò, subito dopo il ritorno in
Serie A, un terzo, un quinto e un secondo posto. Tre
stagioni indimenticabili, in cui si registrarono grandi
picchi di affluenza allo Stadio San Paolo.
Il
boom degli slogan e degli striscioni si ebbe, comunque,
allo stadio e in città durante il periodo entusiasmante
di Maradona. I due scudetti azzurri furono accompagnati
da slogan fantasiosi e di grande effetto. Tra i tanti,
ci piace ricordare quì quello che apparve nella
zona del cimitero di Poggioreale dopo la conquista dello
storico scudetto del 1987 e le eccezionali
manifestazioni di giubilo. Era evidentemente indirizzato
a tutti i tifosi del Napoli defunti e recitava: "E che
ve site
perso!.." ("che cosa - di bello- avete perduto!"). C'è
chi sostiene che la mattina dopo comparve nella stessa
zona uno striscione in cui una mano anonima rassicurava
i tifosi...viventi del Napoli: "E chi ve l'ha ditto?!"
Il singolare botta e risposta all'ombra del cimitero
valicò, in quei giorni di festa collettiva, anche
i confini dell'Italia. Altri striscioni da ricordare:"
Ero piccirillo e te sunnavo. Mo' ca so' viecchio, si'
venuto" "Maggio 87: l'altra Italia è vinta, è nato
un nuovo impero!", " Se è nu suonno, nun me scetate...",
"Campioni d'Italia per la prima volta, signori da
sempre", " E me diciste sì 'na sera 'e maggio...". Un
altro striscione di grande effetto e di apprezzabile
originalità apparve nella Curva Nord nei primi anni del
periodo di Maradona, in occasione di un Napoli-Juve. Era
steso per una buona fetta della gradinata e diceva: "
Volevamo stupirvi con effetti speciali, ma siete solo
bianconeri...".
La più bella risposta del San Paolo
Napoli ha sempre avuto un
rapporto particolare con gli striscioni sul campo. La
fantasia e l'arguzia napoletana si sono spesso
trasferiti nelle scritte esposte dai tifosi sugli
spalti, in risposta ai "messaggi" troppo spesso
offensivi esposti dai sostenitori delle squadre
avversarie, soprattutto quegli striscioni ispirati
al razzismo e ideati, o meglio dire, rovesciati contro
la città partenopea e i suoi tifosi, negli stadi
che da sempre dimostrano livore, prevenzione, pregiudizi
nei confronti dei napoletani. Intendiamo riferirci
soprattutto, ai tifosi di Bergamo, Como, Brescia,
Verona e recentemente anche Milano, dove spesso sono stati registrati - insieme con
striscioni offensivi - comportamenti volti a provocare
gli avversari e a generare disordini ad ogni costo.
Certo, il tifo napoletano non fa sconti a nessuno,
basti pensare all'assillante striscione "Carraro infame"
che ha accompagnato le partite del Napoli al San Paolo e
in trasferta, nell'ultimo campionato di Serie C, a
dispetto delle multe-record e delle minacce di
squalifica.
In
svariate occasioni sono partite bordate dagli spalti del
San Paolo , come in tutti gli stadi, ma a Napoli si è
preferito più spesso far ricorso all'ironia, alla
"battuta". Non ricordiamo, ad esempio, casi di
antisemitismo, o di accenni pesanti alla politica, come
avviene, invece, in altri stadi, soprattutto a Roma.
Insomma, i tifosi del Napoli hanno quasi sempre
incassato l'offesa, invece che ricambiarla con eguale
moneta. Quante volte abbiamo dovuto registrare
striscioni al Nord con le scritte "Benvenuti in Italia!,
Africani, Lavatevi!", "Vesuvio pensaci tu!, Forza
Vesuvio!", quest'ultimo esposto durante un incontro
Verona-Napoli, e dipinto sull'autostrada alle porte di
Verona, con l'auspicio di un'eruzione distruttrice. I
tifosi napoletani alla prima occasione al San Paolo non
si scomposero - come si era temuto dopo certe offese
becere, con atteggiamenti pesanti, ma risposero con un
gigantesco striscione su cui scrissero: "Giulietta è 'na
zoccola e Romeo è cornuto". Notare la sublime differenza
di genialità tra le due tifoserie.
Del resto, una delle prime impressioni che Maradona raccolse
quando cominciò a giocare nel Napoli fu proprio il clima
ostile che accompagnava sistematicamente la squadra
azzurra al Nord.
Ecco
le sue considerazioni, raccolte qualche anno dopo: " Nel
1984, il mio primo campionato italiano, debuttammo a
settembre in trasferta contro il Verona. Ce ne fecero
tre. Loro avevano il danese Elkjaer Larsen e il tedesco
Briegel...Il tedesco mi diceva "taci!", e mi buttava a
terra o fuori del campo. Ci ricevettero con uno
striscione che mi aiutò a capire di colpo che la
battaglia del Napoli non era solo calcistica: "Benvenuti
in Italia" diceva. Era il Nord contro il Sud, i razzisti
contro i poveri. Chiaro, loro finirono vincendo il
campionato e noi...Ma quello striscione di Verona che mi
aveva colpito nella mia prima partita della
carriera in Italia, non lo avevo dimenticato. Per quel
"Benvenuto in Italia" indirizzato ai napoletani arrivò
però subito il momento della rivincita, la vendetta...
Accadde nel febbraio del 1986, il campionato successivo.
Tutta la curva del "Bentegodi" gridava "Lavatevi!
Lavatevi!". Ci stavano battendo per 2 a 0, i napoletani
erano offesi indignati. Ad un certo momento, nella
ripresa, ci meritammo un rigore ed io spiazzai Giuliani
e segnai. Poi a pochi minuti dalla fine, toccai io
la palla, pim!, un difensore sbagliò, ancora un mio gol
ed ecco il 2-2. Festeggiammo come se avessimo vinto la
Coppa dei Campioni. E aggiungo che tutti quelli del
Napoli che stavano in panchina, invece di venire ad
abbracciare noi, andarono a mettersi sotto la curva che
più di tutti aveva gridato "Lavatevi! Lavatevi!".
Eravamo così, così era la squadra e così era la città
dove giocavamo e vivevamo". E nella partita a
Fuorigrotta col Verona ci fu un 5-0 senza risparmio, con
uno straordinario gol da centrocampo di Diego a Giuliani!
Nella vasta gamma di striscioni apparsi al San Paolo e in
trasferta, preferiamo pubblicare qui proprio
quelli "offensivi", ra zzisti, soprattutto veronesi, ai
quali i tifosi azzurri vollero rispondere a Fuorigrotta
in maniera così colorita e ricca di fantasia, con lo
slogan divenuto famoso: "Giulietta è 'na zoccola e Romeo
è cornuto". Va segnalato che più di dieci anni
dopo, il grido "Giulietta è 'na zoccola!" fu pronunciato
al termine di Verona-Napoli del 26 maggio 2007 e procurò al
giornalista napoletano Nello Odierna, telecronista di
TeleCapri Sport, che aveva esultato in diretta in tribuna stampa
per la vittoria azzurra, una multa di duecento Euro.
Motivo: "istigazione ad
odio razziale". La multa fu affibbiata dal Questore di
Verona, di origine napoletana...Nel primo campionato di
Serie A, dopo il gran ritorno sotto la gestione di De
Laurentiis, da registrare i cori beceri e striscioni
razzisti (Ciao colerosi, Napoli tubercolosi, Napoli
fogna d'Italia. Vesuvio pensaci tu) a San Siro in
Inter-Napoli, puniti dal Giudice con la chiusura per una
gara di una gradinata degli ultrà. Nella foto uno degli
striscioni razzisti a San Siro
Agosto 1996. Ecco, a destra, il famoso
striscione apparso nella Curva B del San Paolo in
risposta alle dure offese dei tifosi veronesi. Si legge:
"Giulietta è una zoccola e Romeo cornuto"
|
La superstizione è nata a Napoli
Corna,
cornetti, amuleti, incenso scaccia jella, gobbetti,
ferri di cavallo, tagli di baffi e di capelli e molte
altre forme di superstizioni sul terreno di gioco, sulle
tribune, negli spogliatoi. Il fenomeno è mondiale, la
scaramanzia è la regina del calcio, nessuno vuole
interrompere i suoi riti, ma da sempre Napoli detiene
anche questo singolare record nel campo
delle...prevenzioni. Nonostante i continui aggiornamenti
scientifici e tecnici, il calcio è stato sempre ricco di
episodi scaramantici e propiziatori. La verità è che nei
calciatori impera la paura che, a parte la preparazione
atletica e i recenti sviluppi degli schemi tattici,
esistono anche episodi importanti legati al caso, alla
sfortuna e al malocchio. Anche la superstizione scende,
quindi, in campo nelle partite di football.
Non è vero, ma ci credono. I calciatori, gli allenatori, i
presidenti cercano di tenere nascoste le loro manie, non
è facile venire a conoscenza di questi loro piccoli
segreti, ma quasi tutti hanno un amuleto o un rito
per proteggersi contro le energie negative. Chi non
crede nel malocchio crede però nell'invidia della gente
e quindi si fa egualmente imbambolare dalla
superstizione. Napoli capitale della scaramanzia non
poteva, quindi, salvarsi da questi strani culti
radicati nel mondo del calcio. Tifosi che siedono sempre
allo stesso posto sugli spalti (e a casa quando vedono
la TV...), abbigliamenti studiati e ripetuti, giocatori
che scendono in campo senza essersi rasati
(esempio storico quello di Amadei), giocatori che
baciano, come liturgia,
le immagini sacre sistemate negli spogliatoi, avvicinarsi ad
una delle due reti (lo facevano Sivori e Maradona
al San Paolo) e calciare in gol a porta vuota,
prima della partita, tifosi che hanno nelle tasche
un corno, il solito collaudato corno di colore rosso,
apprendisti "stregoni", esorcisti che bruciano incenso
davanti alle porte, manciate di sale lanciate dagli
spalti sul terreno di gioco contro il malocchio,
calciatori che entrano sempre per primi in campo dal
tunnel degli spogliatoi, l'allenatore Pesaola che sedeva
in panchina indossando (senza necessità di stagione...)
un cappotto color cammello (imitato poi da Renzo
Ulivieri, ancor oggi, con un eterno impermeabile a
3/4). Pesaola portò ovviamente con sè il cappotto
quando si trasferì a Firenze, ma dopo un po' il
soprabito fu smarrito (o rubato?) negli spogliatoi, con
grande rammarico del petisso. Pesaola si preoccupava
ovviamente anche della ripetitività millimetrica del
rito: quando allenava la Fiorentina portava con sè
sempre un disco di Peppino Di Capri. Giunto a Genova per
una partita con la Sampdoria, si accorse di essersene
dimenticato. Tornò in macchina a Firenze per riprendere
il disco. Poi vinse davvero la la partita. Una delle
massime coniate dal "petisso": "Nel calcio occorre
classe, furbizia fantasia, ma anche molto ...
sedere. Il pallone, infatti, può finire in porta, ma con
la stessa forza, la stessa direzione, la stessa mira,
può finire anche sul palo...".
Sempre a proposito di Ulivieri, il
giornalista de "Il Mattino", Francesco Marolda racconta
che per risollevare il morale dell'allenatore, in crisi
di risultati, una domenica gli regalò un cornetto di
corallo: il Napoli stava perdendo per 1-0, quando
l'allenatore azzurro mise una mano in tasca e quasi
inavvertitamente
toccò il cornetto pungendosi. Dopo di che la sconfitta
si trasformò in vittoria e negli spogliatoi Marolda,
recatosi per la rituale intervista, fu accolto a braccia
aperte dal tecnico azzurro... riconoscente. Tra i riti
di Maradona (che entrava sempre sul terreno di
gioco col piede sinistro), il più noto era quello del
bacio sulla fronte del fedelissimo massaggiatore
Carmando prima delle partite, come faceva anche Blanc
col portiere francese Barthez. L'attaccante azzurro del
1996 Nicola Caccia , invece, quando scendeva
in campo strappava due fili d'erba e li masticava.
E fuori da Napoli il rito del
presidente di origine campana, Enrico Preziosi, che in
giacca e cravatta, a fine partita (vittoriosa) corre
sotto la gradinata Nord, si toglie la cravatta e la
regala a un tifoso, Vittorio Cecchi Gori che, incurante
del pericolo, saliva sulla balaustra dello stadio di
Firenze, il presidente del Livorno Aldo Spinelli che ha
portato per un campionato intero la stessa sciarpa ed
ora indossa sempre un impermeabile di color giallo
portafortuna (nella foto a fianco), Trapattoni che in
panchina, ai mondiali nordcoreani, versava di nascosto a
terra l'acqua santa conservata in una boccettina. Il
compianto e folcloristico presidente dell'Ascoli,
Costantino Rozzi, che indossava alle partite
appariscenti calzini rossi corti. Insomma, tutta una
serie di gesti particolari e senza scopo pratico,
ripetuti solo perchè erano stati casualmente
compiuti prima di una gara in cui la squadra del cuore
si era dimostrata particolarmente brillante o
vincente.
Atteggiamenti ripetitivi e ben consolidati per scongiurare le maledizioni
e tante e tante altre "manie" , che si perpetuavano e
vengono ancora tenute in vita, oggi soprattutto, grazie
ai massaggiatori (il masseur napoletano Michelangelo
Beato fu uno di questi irriducibili). E che dire di
Eraldo Monzeglio, l'allenatore della promozione in
A del Napoli nel 1950? Pochi lo sapevano, ma aveva la
fissazione di andare a fare i suoi bisogni,
sistematicamente, nello spogliatoi dell'arbitro prima
delle partite al Vomero; sempre lo stesso locale per i
film del sabato sera, tutti insieme, indifferente alle
proteste di qualche giocatore azzurro che la pellicola
l'aveva già vista; la domenica dopo la colazione in un
ristorante di San Martino (la squadra andava in ritiro
all'Hotel Sant'Elmo), era obbligatorio il percorso a
piedi fino allo stadio, obbligatorio anche il mini
torneo di bigliardo nella sede sistemata nella Palazzina
del Vomero (dove attualmente c'è il liceo Pansini) e poi
il tradizionale dono di cravatte a chi aveva giocato
meglio. Tutti riti che "portavano bene" e ai quali il
mister piemontese (ispirato dal massaggiatore Beato) non
riusciva a sottrarsi. Monzeglio, tra l'altro, aveva
terrore dei gatti neri, evitava di sedersi a tavola con
altri sedici commensali e portava sempre all'anulare
destro un anello di lega metallica di nessun pregio, ma
per lui di inestimabile valore scaramantico. Napoli, insomma, si è sempre
contraddistinta rispetto alle altre città, soprattutto
quelle del Nord, com'è documentato nelle foto che
presentiamo: in alto, un tifoso azzurro degli Anni
Trenta con un grosso corno di bue in evidenza nello
Stadio Ascarelli, dietro la porta di Cavanna; al centro,
un presunto "esorcista" partenopeo in azione con incenso
davanti ad una porta dello Stadio del Vomero, durante un
periodo di magra della squadra azzurra, mentre
nella foto a sinistra Michelangelo Beato consegna
al portiere azzurro Bugatti un cornetto portafortuna da
sistemare tra le maglie della rete. Infine, in fondo,
l'allenatore partenopeo Bruno Pesaola con il famoso
cappotto color cammello portafortuna che il petisso usò
a Napoli per lungo tempo. Lo indossava anche a primavera
(come dimostrano i due dirigenti seduti in panchina
coperti dalla sola giacca...). Nello stesso periodo, il
presidente del Napoli Roberto Fiore aveva una cravatta
che tirava dal cassetto in occasione di gare
particolarmente importanti.
Ma ricordiamo anche altri
atteggiamenti maniacali nel resto del mondo
calcistico in questa specie di liturgia del successo:
Cesare Prandelli fa quasi sempre dire la messa per i
suoi giocatori la domenica mattina; Carlo Ancelotti è
stato ripreso dalla TV di recente in panchina col
rosario tra le mani; Fabio Capello si faceva portare
sistematicamente tre caramelle da un tifoso prima della
partita; Nils Liedholm era così superstizioso
(nonostante la sua origine
svedese)
da chiedere aiuto nella scelta dei titolari ad un mago
di Busto Arsizio; Adriano Galliani si aggrappa ancor
oggi alle sue sgargianti cravatte gialle; il portiere
Storari nasconde due immagini della Madonna sotto le
fasce che gli avvolgono i polsi; il nazionale francese
Blanc, come abbiamo detto, baciava la pelata del
portiere Barthez (e il gesto spettacolare portò molta
fortuna a loro due ed alla nazionale transalpina,
vittoriosa ai mondiale in Francia e ai successivi
europei); il rumeno Adrian Mutu indossa gli slip al
contrario prima di andare in campo per proteggersi dagli
infortuni; il napoletanissimo portiere Coppola in tutte
le partite affigge l'immagine della Madonna di Loreto su
un palo della sua porta; Marco Tardelli quando segnò il
famoso gol - quello dell'urlo - nella finale dei
mondiali dell'82 in Spagna, contro la Germania, aveva
un'immagine sacra nascosta nei parastinchi. Lo ha
svelato recentemente, a 24 anni di distanza, la
figlia, Sara, in un articolo su un settimanale
femminile. Sempre per restare nel campo dei "santini" va
segnalato il rito che dai tempi di Maradona osservano
ancor oggi alcuni giocatori del Napoli, i quali
toccano e baciano ( come nella foto) le due immagini di
San Gennaro e di Padre Pio, sistemate sul muro prima
della scaletta che introduce al terreno di gioco.
In tema di nazionale, Gigi
Riva, indimenticabile goleador del Cagliari, negli Anni
60, non ha mai potuto perdonarsi di essersi rotto
una gamba l'unica volta che in azzurro accettò di
rinunciare alla sua abituale maglia numero undici.
Degno di essere raccontato, infine, quanto avvenne al
grande Pelè, un fuoriclasse che non aveva certo bisogno
di essere "protetto" dalle scaramanzie e rimasto anche
lui intrappolato in questo mondo di scongiuri. Capitò
che una volta il campionissimo brasiliano regalò la sua
maglia ad un tifoso, ma la domenica giocò male e perse a
sorpresa la gara. Pelè chiese allora ad un suo
carissimo amico che frequentava gli spogliatoi di
rintracciargli il tifoso al quale aveva inopinatamente
donato la maglietta e di recuperarla. Una settimana dopo
l'amico si presentò puntualmente negli spogliatoi con la
maglia e sottolineò quanta fatica gli fosse costata
recuperarla. Pelè espresse tutta la sua gratitudine,
indossò la maglia, recuperò i suoi spunti magici e segnò
anche il gol della vittoria. L'amico si guardò bene dal
riferirgli che si era limitato a consegnargli la stessa
maglia con la quale Pelè aveva giocato e perduto la settimana
prima.
Radiocronache di calcio , a Napoli i precursori
“Amici
sportivi vi parlo dallo stadio del Partito in Roma dove
sta per disputarsi l’incontro finale di questa seconda
Coppa del Mondo. Sono di fronte Italia e Cecoslovacchia.
E’ presente il Duce! Stadio gremito all’inverosimile.
In tribuna oltre 250 giornalisti convenuti da ogni parte
del mondo. I posti in tribuna sono esauriti da alcuni
giorni benché costassero ben 60 lire! A quanto ci ha
confermato Pozzo, pochi minuti fa, gli azzurri
scenderanno in campo nella seguente formazione: Combi,
Monzeglio, Allemandi, Ferraris IV, Monti, Bertolini,
Guaita, Meazza, Schiavio, Ferrari, Orsi”.
E’ questo il primo minuto della radiocronaca che, il 10
giugno del 1934, Nicolò Carosio fece della finale di
Roma dei “mondiali” di calcio che si contraddistinsero
per questa caratteristica: furono il primo grande evento
sportivo “mediatico” della storia, proprio grazie
all’introduzione della Radio e delle
radiocronache. E “ascoltiamo” ancora dalla voce di
Carosio quel giorno:
“…da
Schiavio ad Orsi, intercetta Cambial che si libera del
pallone in direzione di Puc. Puc riceve, fugge, supera
Ferraris, poi Monzeglio. Stringe al centro e lascia
partire un tiro. Esce Combi, sfiora la palla…” attimo di sospensione del
telecronista
“…ed è gol. Niente da fare –
aggiunge Carosio sconsolato -
l’Italia è in svantaggio per una porta a zero, ed è il
25’ del secondo tempo.”
Poi al 36’ Orsi, con un’azione personale, trafigge
il valoroso Planicka e Carosio si rianima, incita, quasi
spinge il pallone nella porta dei boemi. Il secondo
tempo si chiude così in parità: 1-1. Cinque minuti di
sosta e l’arbitro dà inizio ai supplementari.
“ Quarto minuto, Guaita verso Meazza, no, è Schiavio,
supera Ctyroky, tiro …è rete, rete, rete! 2 a 1”
Stavolta senza sospensione nella voce strozzata del
radiocronista, l’Italia vince, è campione del mondo.
Schiavio sviene per alcuni attimi, sommerso
dall’abbraccio dei compagni. Carosio non si raccapezza
più, sembra che lui stesso sia sul terreno di gioco a
far festa con gli azzurri ed il suo entusiasmo si dilata
nell’etere verso milioni di italiani in ascolto accanto
alle rudimentali radio a valvole sparse in moltissime
case ed accese a pieno volume nei circoli, nei bar, nei
caffè di tutta Italia. Un evento eccezionale con
speakers di quattro lingue e diffusione in nove Paesi.
Fu Carosio, quindi il
primo a festeggiare la laurea di campioni del mondo
conferita agli azzurri nel 1934 e nel 1938. Fu anche lui
a proporre all'EIAR una radiocronaca: l'aveva ascoltata
alla radio dall'Inghilterra e si era detto "perché non
provare anche in Italia?" Il 1 gennaio 1933 debuttò
davanti al microfono per trasmettere la prima
radiocronaca della storia italiana. L'occasione fu
Italia- Germania, dallo stadio "Littoriale" di Bologna,
fatto costruire da Mussolini. Per la cronaca la partita
finì 3 a 1 per l'Italia. Dopo quella partita, Carosio
conquistò i tifosi in trentacinque anni di
carriera, quasi tremila radiocronache. Otto
mondiali, Olimpiadi, Coppe e tantissimi campionati,
migliaia di appuntamenti, ogni volta preceduti da
un rito e da un'esigenza : gargarismi con acqua salata.
Si è sempre detto che Carosio, grande "illusionista del
calcio", ormai prigioniero del suo linguaggio,
realizzasse le radiocronache indipendentemente da
quello che accadeva sul prato, sicché le partite erano
due, quella vera in corso di svolgimento e quella
“virtuale” che il mitico radiocronista si compiaceva di
raccontare, per farci sognare (come voleva lui). Poi si
è sostenuto che la televisione, e le radiocronache
ascoltate con le radioline sul campo, abbiano scoperto
le sue magagne, ma tutto questo non sminuisce il valore
di Carosio e l’emozione che riusciva a suscitare, con la
sua voce entusiasta. Resterà sempre un mito e i miti
sono sempre stati accettati così come sono. Oggi,
con i progressi inimmaginabili ottenuti dalle
tecnologie, in campo radio-televisivo, fa quasi
tenerezza ricordare la felice ed ingenua epoca delle
radiocronache di Nicolò Carosio, quando trepidanti ed
affamati di calcio ci preparavamo a vivere in diretta
via etere una partita di football, catturati dalle
pittoresche e romantiche uscite del famoso
radiocronista, dai suoi toni sorridenti e umani .
Ma che c’entrano le radiocronache del grande speaker siciliano in
questo angolo dedicato al Napoli, direte voi? C’entrano,
perché vogliamo qui ricordare che Napoli fu
un’antesignana anche nella comunicazione delle cronache
calcistiche.
La prima iniziativa che si ricordi fu presa a Napoli. L’idea venne
al “Mezzogiorno Sportivo”. Giornale napoletano. I
balconi della redazione si affacciavano su Piazza
Trieste e Trento, là dove ha inizio Via Roma. Era il 23
giugno del 1929, si giocava a Milano lo spareggio per
l’ammissione al campionato unico di Serie A tra Lazio e
Napoli. Da Milano telefonava in redazione il “testimone
oculare” e a Napoli riceveva i dispacci Michele
Buonanno, già segretario del Napoli, nonché avvocato,
giornalista (come il fratello Ciro) e stenografo.
Michele Buonanno stenografava, traduceva e inviava –
tramite un usciere – la cronaca al giornalista Felice
Scandone che, unico referente per tantissima gente, dal
balcone situato proprio sul banco dell'acquafrescaio
(tuttora esistente, unico sito di Piazza Trieste e
Trento che - insieme con la Chiesa S. Ferdinando -
col tempo non ha cambiato destinazione) informava il
popolo azzurro in attesa. Annunciò il vantaggio laziale
con il centravanti Spivach, quindi la folla esplose per
il pareggio di Innocenti II ed il vantaggio di
Sallustro, per poi restare gelata dal pareggio di
Cevenini V. Grazie all’interessamento dell.on. Arpinati,
Napoli e Lazio evitarono un secondo spareggio e furono
ammessi entrambi alla Serie A.
Secondo esperimento napoletano, stavolta il 14 febbraio del
1932 per festeggiare la presenza di ben tre azzurri
nella Nazionale, Sallustro, Vojak e Colombari, contro la
Svizzera. Cronaca (quasi) diretta ai tifosi partenopei,
nonostante la partita si giocasse proprio
nell’Ascarelli, insufficiente a contenere tutti
coloro che avrebbero voluto partecipare direttamente
all'evento . Tre a zero, tripletta di Fedullo,
radiocronista napoletano tale Rondino....
I giovani d’oggi non sanno ovviamente che anche a Napoli fu
sperimentata la prima trasmissione di “Tutto il calcio
minuto per minuto”, sia pure in maniera, diciamo così,
artigianale, e per tutta la durata della partita non
solo per i secondi tempi come dagli Anni Sessanta
avveniva con la Rai. Sì, Napoli all’avanguardia anche in
questo, per poi finire come sempre in coda… L’idea venne
al famoso giornalista napoletano Gino Palumbo, allora
responsabile dei Servizi Sportivi de “Il Mattino”, che
in una domenica di fine Anni Cinquanta organizzò
una serie di collegamenti con alcuni campi di Serie A
dove era in gioco la salvezza del Napoli. Gino Palumbo
inviò alcuni colleghi sui campi interessati per seguire
da vicino e raccontare simultaneamente ai tifosi azzurri
fin dal primo minuto le fasi delle partite che dovevano
determinare la retrocessione e la salvezza in Serie A.
Una folla immensa di sostenitori in ansia riempì la
Galleria Umberto, dove si affacciavano i balconi del “Il
Mattino”, mentre con sapiente regia, e con la voce
stentorea e professionale di uno speaker ingaggiato, in
prestito, presso la sede napoletana della Rai, venivano
lette, tramite altoparlante, le cronache che via, via
giungevano dalle sedi dei quattro campi, attraversi
telefoni di fortuna cercati e trovati in ambienti con
“vista sul campo”. Altro che i telefonini di
oggi!...Seguiva la classifica aggiornata di volta in
volta, in tempo reale. L’esperimento fu felicissimo.
Nostalgia per quei tempi, quando bastava
poco per “creare l’atmosfera”? Oggi la televisione dà
tanto di più , cominciando dalle immagini. Ma allora
lavorava la fantasia ed è sulle ali della fantasia che
si fanno i voli pindarici, così frequenti nel calcio. In
cambio oggi sovrabbondano le chiacchiere...
Nelle foto: in alto, la famosa trasmissione effettuata
dal "Mezzogiorno Sportivo" nel 1929 per i tifosi del
Napoli; al centro, il mitico radiocronista Nicolò
Carosio, trent'anni di inimitabile carriera. |