Napoli capitale degli slogan


     Ecco solo due degli slogan coniati nel tempo dai tifosi del Napoli per la squadra e per i suoi giocatori. I sostenitori azzurri furono particolarmente prolifici durante il periodo degli Anni Sessanta in cui nel Napoli militarono Sivori, Altafini e Canè e ovviamente nell'epoca d'oro di Maradona, quando a Napoli arrivarono due scudetti, una Coppa Uefa e altri successi. Nella foto a fianco, tifosi azzurri su un pullman in partenza per un derby allo "Stadio Olimpico" contro la Roma . Lo striscione inneggia a Canè,  considerato  "migliore" del famoso trio della nazionale brasiliana, composto da Didì, Vavà e Pelè.

 
     Nella foto, a destra una banda musicale sfila sulla pista dello Stadio San Paolo guidata da capi-tifosi e con lo striscione che esaltava la squadra di Sivori , Altafini, Canè, Juliano, Bianchi, prendendo in prestito il titolo di una canzone di successo di Domenico Modugno : "Tu sì 'na cosa grande". Erano gli Anni Sessanta in cui la squadra azzurra, guidata da Bruno Pesaola, e costruita  da Roberto Fiore, conquistò, subito dopo il ritorno in Serie A, un terzo, un quinto e un secondo posto. Tre stagioni indimenticabili, in cui si registrarono grandi picchi di affluenza allo Stadio San Paolo.



    
Il boom degli slogan e degli striscioni si ebbe, comunque, allo stadio e in città durante il periodo entusiasmante di Maradona. I due scudetti azzurri furono accompagnati da slogan fantasiosi e di grande effetto. Tra i tanti, ci piace ricordare quì quello che  apparve nella zona del cimitero di Poggioreale dopo la conquista dello storico scudetto del 1987 e le eccezionali manifestazioni di giubilo. Era evidentemente indirizzato a tutti i tifosi del Napoli defunti e recitava: "E che ve site
perso!.." ("che cosa - di bello- avete perduto!"). C'è chi sostiene che la mattina dopo comparve nella stessa zona uno striscione in cui una mano anonima rassicurava i tifosi...viventi del Napoli: "E chi ve l'ha ditto?!"  Il singolare botta e risposta all'ombra del cimitero  valicò,  in quei giorni di festa collettiva, anche i confini dell'Italia. Altri striscioni da ricordare:" Ero piccirillo e te sunnavo. Mo' ca so' viecchio, si' venuto"  "Maggio 87: l'altra Italia è vinta, è nato un nuovo impero!", " Se è nu suonno, nun me scetate...",  "Campioni d'Italia per la prima volta, signori da sempre", " E me diciste sì 'na sera 'e maggio...". Un altro striscione di grande effetto e di apprezzabile originalità apparve nella Curva Nord nei primi anni del periodo di Maradona, in occasione di un Napoli-Juve. Era steso per una buona fetta della gradinata e diceva: " Volevamo stupirvi con effetti speciali, ma siete solo bianconeri...".

                      La più bella risposta del San Paolo

   Napoli ha sempre avuto un rapporto particolare con gli striscioni sul campo. La fantasia e l'arguzia napoletana si sono spesso trasferiti nelle scritte esposte dai tifosi sugli spalti, in risposta ai "messaggi" troppo spesso offensivi esposti dai sostenitori delle squadre avversarie, soprattutto quegli striscioni  ispirati al razzismo e ideati, o meglio dire, rovesciati contro la città partenopea e i suoi tifosi, negli stadi  che da sempre dimostrano livore, prevenzione, pregiudizi nei confronti dei napoletani. Intendiamo riferirci soprattutto, ai tifosi di Bergamo, Como, Brescia, Verona e recentemente anche Milano, dove spesso sono stati registrati - insieme con striscioni offensivi - comportamenti volti a provocare gli avversari e a generare disordini ad ogni costo. Certo, il tifo napoletano  non fa sconti a nessuno, basti pensare all'assillante striscione "Carraro infame" che ha accompagnato le partite del Napoli al San Paolo e in trasferta, nell'ultimo campionato di Serie C, a dispetto delle multe-record e delle minacce di squalifica. In svariate occasioni sono partite bordate dagli spalti del San Paolo , come in tutti gli stadi, ma a Napoli si è preferito più spesso  far ricorso all'ironia, alla "battuta". Non ricordiamo, ad esempio, casi  di antisemitismo, o di accenni pesanti alla politica, come avviene, invece, in altri stadi, soprattutto a Roma. Insomma, i tifosi del Napoli hanno quasi sempre incassato l'offesa, invece che ricambiarla con eguale moneta. Quante volte abbiamo dovuto registrare striscioni al Nord con le scritte "Benvenuti in Italia!, Africani, Lavatevi!", "Vesuvio pensaci tu!, Forza Vesuvio!", quest'ultimo esposto durante un incontro Verona-Napoli, e dipinto sull'autostrada alle porte di Verona, con l'auspicio di un'eruzione distruttrice. I tifosi napoletani alla prima occasione al San Paolo non si scomposero - come si era temuto dopo certe offese becere, con atteggiamenti pesanti, ma risposero con un gigantesco striscione su cui scrissero: "Giulietta è 'na zoccola e Romeo è cornuto". Notare la sublime differenza di genialità tra le due tifoserie.
    Del resto, una delle prime impressioni che Maradona raccolse quando cominciò a giocare nel Napoli fu proprio il clima ostile che accompagnava sistematicamente la squadra azzurra al Nord. Ecco le sue considerazioni, raccolte qualche anno dopo: " Nel 1984, il mio primo campionato italiano, debuttammo a settembre in trasferta contro il Verona. Ce ne fecero tre. Loro avevano il danese Elkjaer Larsen e il tedesco Briegel...Il tedesco mi diceva "taci!", e mi buttava a terra o fuori del campo. Ci ricevettero con uno striscione che mi aiutò a capire di colpo che la battaglia del Napoli non era solo calcistica: "Benvenuti in Italia" diceva. Era il Nord contro il Sud, i razzisti contro i poveri. Chiaro, loro finirono vincendo il campionato e noi...Ma quello striscione di Verona che mi aveva colpito nella mia prima partita della  carriera in Italia, non lo avevo dimenticato. Per quel "Benvenuto in Italia" indirizzato ai napoletani arrivò però subito il momento della rivincita, la vendetta... Accadde nel febbraio del 1986, il campionato successivo. Tutta la curva del "Bentegodi"  gridava "Lavatevi! Lavatevi!". Ci stavano battendo per 2 a 0, i napoletani erano offesi indignati. Ad un certo momento, nella ripresa, ci meritammo un rigore ed io spiazzai Giuliani e segnai. Poi a pochi minuti dalla fine,  toccai io la palla, pim!, un difensore sbagliò, ancora un mio gol ed ecco il 2-2. Festeggiammo come se avessimo vinto la Coppa dei Campioni. E aggiungo che tutti quelli del Napoli che stavano in panchina, invece di venire ad abbracciare noi, andarono a mettersi sotto la curva che più di tutti aveva gridato "Lavatevi! Lavatevi!". Eravamo così, così era la squadra e così era la città dove giocavamo e vivevamo". E nella partita a Fuorigrotta col Verona ci fu un 5-0 senza risparmio, con uno straordinario gol da centrocampo di Diego a Giuliani!
   Nella vasta gamma di striscioni apparsi al San Paolo e in trasferta, preferiamo pubblicare  qui proprio quelli "offensivi", ra
zzisti, soprattutto veronesi, ai quali i tifosi azzurri vollero rispondere a Fuorigrotta in maniera così colorita e ricca di fantasia, con lo slogan divenuto famoso: "Giulietta è 'na zoccola e Romeo è cornuto". Va segnalato che più di dieci anni dopo, il grido "Giulietta è 'na zoccola!" fu pronunciato al termine di  Verona-Napoli del 26 maggio 2007 e procurò al giornalista napoletano Nello Odierna, telecronista di TeleCapri Sport, che aveva esultato in diretta  in tribuna stampa  per la vittoria azzurra,  una multa di  duecento Euro. Motivo: "istigazione ad odio razziale". La multa fu affibbiata dal  Questore di Verona, di origine napoletana...Nel primo campionato di Serie A, dopo il gran ritorno sotto la gestione di De Laurentiis, da registrare i cori beceri e striscioni razzisti (Ciao colerosi, Napoli tubercolosi, Napoli fogna d'Italia. Vesuvio pensaci tu) a San Siro in Inter-Napoli, puniti dal Giudice con la chiusura per una gara di una gradinata degli ultrà. Nella foto uno degli striscioni razzisti a San Siro

Agosto 1996. Ecco, a destra, il famoso
striscione apparso nella Curva B del San Paolo in risposta alle dure offese dei tifosi veronesi. Si legge: "Giulietta è una zoccola e Romeo cornuto"

 

La superstizione è nata a Napoli

   Corna, cornetti, amuleti, incenso scaccia jella, gobbetti, ferri di cavallo, tagli di baffi e di capelli e molte altre forme di superstizioni sul terreno di gioco, sulle tribune, negli spogliatoi. Il fenomeno è mondiale, la scaramanzia è la regina del calcio, nessuno vuole interrompere i suoi riti, ma da sempre Napoli detiene anche questo singolare record nel campo delle...prevenzioni. Nonostante i continui aggiornamenti scientifici e tecnici, il calcio è stato sempre ricco di episodi scaramantici e propiziatori. La verità è che nei calciatori impera la paura che, a parte la preparazione atletica e i recenti sviluppi degli schemi tattici, esistono anche episodi importanti legati al caso, alla sfortuna e al malocchio. Anche la superstizione scende, quindi,  in campo nelle partite di football.
    Non è vero, ma ci credono. I calciatori, gli allenatori, i presidenti cercano di tenere nascoste le loro manie, non è facile venire a conoscenza di questi loro piccoli segreti, ma quasi tutti  hanno un amuleto o un rito per proteggersi contro le energie negative. Chi non crede nel malocchio crede però nell'invidia della gente e quindi si fa egualmente imbambolare dalla superstizione. Napoli capitale della scaramanzia non poteva, quindi,  salvarsi da questi strani culti radicati nel mondo del calcio. Tifosi che siedono sempre allo stesso posto sugli spalti (e a casa quando vedono la TV...), abbigliamenti studiati e ripetuti, giocatori che scendono in campo  senza essersi rasati (esempio storico quello di Amadei), giocatori che baciano, come liturgia,  le immagini sacre sistemate negli spogliatoi,  avvicinarsi ad una delle due reti  (lo facevano Sivori e Maradona al San Paolo) e calciare in gol  a porta vuota, prima della partita,  tifosi che hanno nelle tasche un corno, il solito collaudato corno di colore rosso,  apprendisti "stregoni", esorcisti che bruciano incenso davanti alle porte, manciate di sale lanciate dagli spalti sul terreno di gioco contro il malocchio, calciatori che entrano sempre per primi in campo dal tunnel degli spogliatoi, l'allenatore Pesaola che sedeva in panchina indossando (senza necessità di stagione...) un cappotto color cammello (imitato poi da  Renzo Ulivieri, ancor oggi,  con un eterno impermeabile a 3/4). Pesaola portò ovviamente con sè il cappotto  quando si trasferì a Firenze, ma dopo un po' il soprabito fu smarrito (o rubato?) negli spogliatoi, con grande rammarico del petisso. Pesaola si preoccupava ovviamente anche della ripetitività millimetrica del rito: quando allenava la Fiorentina portava con sè sempre un disco di Peppino Di Capri. Giunto a Genova per una partita con la Sampdoria, si accorse di essersene dimenticato. Tornò in macchina a Firenze per riprendere il disco. Poi vinse davvero la la partita. Una delle massime coniate dal "petisso": "Nel calcio occorre classe, furbizia fantasia, ma anche molto  ... sedere. Il pallone, infatti, può finire in porta, ma con la stessa forza, la stessa direzione, la stessa mira, può finire anche sul palo...".
       Sempre a proposito di Ulivieri, il giornalista de "Il Mattino", Francesco Marolda racconta che per risollevare il morale dell'allenatore, in crisi di risultati, una domenica gli regalò un cornetto di corallo: il Napoli stava perdendo per 1-0, quando l'allenatore azzurro mise una mano in tasca e quasi inavvertitamente toccò il cornetto pungendosi. Dopo di che la sconfitta si trasformò in vittoria e negli spogliatoi Marolda, recatosi per la rituale intervista, fu accolto a braccia aperte dal tecnico azzurro... riconoscente. Tra i riti di  Maradona (che entrava sempre sul terreno di gioco col piede sinistro), il più noto era quello del bacio sulla fronte del fedelissimo massaggiatore Carmando prima delle partite, come faceva anche Blanc col portiere francese Barthez. L'attaccante azzurro del 1996 Nicola Caccia , invece,   quando scendeva in campo strappava due fili d'erba e li masticava.
       E fuori da Napoli  il rito del presidente di origine campana, Enrico Preziosi, che in giacca e cravatta, a fine partita (vittoriosa) corre sotto la gradinata Nord, si toglie la cravatta e la regala a un tifoso, Vittorio Cecchi Gori che, incurante del pericolo, saliva sulla balaustra dello stadio di Firenze, il presidente del Livorno Aldo Spinelli che ha portato per un campionato intero la stessa sciarpa ed ora indossa sempre un impermeabile di color giallo portafortuna (nella foto a fianco), Trapattoni che in panchina, ai mondiali nordcoreani, versava di nascosto a terra l'acqua santa conservata in una boccettina. Il compianto e folcloristico presidente dell'Ascoli, Costantino Rozzi, che indossava alle partite appariscenti calzini rossi corti. Insomma, tutta una serie di gesti particolari e senza scopo pratico, ripetuti  solo perchè erano stati casualmente compiuti prima di una gara in cui la squadra del cuore si era dimostrata particolarmente  brillante o vincente.
  Atteggiamenti ripetitivi e ben consolidati per scongiurare le maledizioni e tante e tante altre "manie" , che si perpetuavano e vengono ancora tenute in vita, oggi soprattutto, grazie ai massaggiatori (il masseur napoletano Michelangelo Beato fu uno di questi irriducibili). E che dire di Eraldo Monzeglio, l'allenatore della promozione in  A del Napoli nel 1950? Pochi lo sapevano, ma aveva la fissazione di andare a fare i suoi bisogni, sistematicamente, nello spogliatoi dell'arbitro prima delle partite al Vomero; sempre lo stesso locale per i film del sabato sera, tutti insieme, indifferente alle proteste di qualche giocatore azzurro che la pellicola l'aveva già vista; la domenica dopo la colazione in un ristorante di San Martino (la squadra andava in ritiro all'Hotel Sant'Elmo), era obbligatorio il percorso a piedi fino allo stadio, obbligatorio anche il mini torneo di bigliardo nella sede sistemata nella Palazzina del Vomero (dove attualmente c'è il liceo Pansini) e poi il tradizionale dono di cravatte a chi aveva giocato meglio. Tutti riti che "portavano bene" e ai quali il mister piemontese (ispirato dal massaggiatore Beato) non riusciva a sottrarsi. Monzeglio, tra l'altro, aveva terrore dei gatti neri, evitava di sedersi a tavola con altri sedici commensali e portava sempre all'anulare destro un anello di lega metallica di nessun pregio, ma per lui di inestimabile valore scaramantico. Napoli, insomma,  si è sempre contraddistinta rispetto alle altre città, soprattutto quelle del Nord, com'è documentato nelle foto che presentiamo: in alto, un tifoso azzurro degli Anni Trenta con un grosso corno di bue in evidenza nello Stadio Ascarelli, dietro la porta di Cavanna; al centro, un presunto "esorcista" partenopeo in azione con incenso davanti ad una porta dello Stadio del Vomero, durante un periodo di magra della squadra azzurra, mentre nella  foto a sinistra Michelangelo Beato consegna al portiere azzurro Bugatti un cornetto portafortuna da sistemare tra le maglie della rete. Infine, in fondo, l'allenatore partenopeo Bruno Pesaola con il famoso cappotto color cammello portafortuna che il petisso usò a Napoli per lungo tempo. Lo indossava anche a primavera (come dimostrano i due dirigenti seduti in panchina coperti dalla sola giacca...). Nello stesso periodo, il presidente del Napoli Roberto Fiore aveva una cravatta che tirava dal cassetto in occasione di gare particolarmente importanti.
        Ma ricordiamo anche altri atteggiamenti maniacali nel resto del mondo  calcistico in questa specie di liturgia del successo: Cesare Prandelli fa quasi sempre dire la messa per i suoi giocatori la domenica mattina; Carlo Ancelotti è stato ripreso dalla TV di recente in panchina col rosario tra le mani; Fabio Capello si faceva portare sistematicamente tre caramelle da un tifoso prima della partita; Nils Liedholm era così superstizioso (nonostante la sua origine svedese) da chiedere aiuto nella scelta dei titolari ad un mago di Busto Arsizio; Adriano Galliani si aggrappa ancor oggi alle sue sgargianti cravatte gialle; il portiere Storari nasconde due immagini della Madonna sotto le fasce che gli avvolgono i polsi; il nazionale francese Blanc, come abbiamo detto,  baciava la pelata del portiere Barthez (e il gesto spettacolare portò molta fortuna a loro due ed alla nazionale transalpina,  vittoriosa ai mondiale in Francia e ai successivi europei); il rumeno Adrian Mutu indossa gli slip al contrario prima di andare in campo per proteggersi dagli infortuni; il napoletanissimo portiere Coppola in tutte le partite affigge l'immagine della Madonna di Loreto su un palo della sua porta; Marco Tardelli quando segnò il famoso gol - quello dell'urlo -  nella finale dei  mondiali dell'82 in Spagna, contro la Germania, aveva un'immagine sacra nascosta nei parastinchi. Lo ha svelato recentemente, a 24 anni di distanza,  la figlia, Sara, in un articolo su un settimanale femminile. Sempre per restare nel campo dei "santini" va segnalato il rito che dai tempi di Maradona osservano ancor oggi alcuni giocatori del  Napoli, i quali toccano e baciano ( come nella foto) le due immagini di San Gennaro e di Padre Pio, sistemate sul muro prima della scaletta che  introduce al terreno di gioco. In tema di nazionale, Gigi Riva, indimenticabile goleador del Cagliari, negli Anni 60,  non ha mai potuto perdonarsi di essersi rotto una gamba l'unica volta che in azzurro accettò di rinunciare alla sua abituale maglia numero undici.
    Degno di essere raccontato, infine,  quanto avvenne al grande Pelè, un fuoriclasse che non aveva certo bisogno di essere "protetto" dalle scaramanzie e rimasto anche lui intrappolato in questo mondo di scongiuri. Capitò che una volta il campionissimo brasiliano regalò la sua maglia ad un tifoso, ma la domenica giocò male e perse a sorpresa la gara. Pelè chiese  allora ad un suo carissimo amico che frequentava gli spogliatoi di rintracciargli il tifoso al quale aveva inopinatamente donato la maglietta e di recuperarla. Una settimana dopo l'amico si presentò puntualmente negli spogliatoi con la maglia e sottolineò quanta fatica gli fosse costata recuperarla. Pelè espresse tutta la sua gratitudine, indossò la maglia, recuperò i suoi spunti magici e segnò anche il gol della vittoria. L'amico si guardò bene dal riferirgli che si era limitato a consegnargli la stessa maglia con la quale Pelè aveva giocato e perduto la settimana prima.
 

Radiocronache di calcio , a Napoli i precursori

   “Amici sportivi vi parlo dallo stadio del Partito in Roma dove sta per disputarsi l’incontro finale di questa seconda Coppa del Mondo. Sono di fronte Italia e Cecoslovacchia. E’ presente il Duce! Stadio gremito all’inverosimile. In tribuna oltre 250 giornalisti convenuti da ogni parte del mondo. I posti in tribuna sono esauriti da alcuni giorni benché costassero ben 60 lire! A quanto ci ha confermato Pozzo, pochi minuti fa, gli azzurri scenderanno in campo nella seguente formazione: Combi, Monzeglio, Allemandi, Ferraris IV, Monti, Bertolini, Guaita, Meazza, Schiavio, Ferrari, Orsi”.
    E’ questo il primo minuto della radiocronaca che, il 10 giugno del 1934, Nicolò Carosio fece della finale di Roma dei “mondiali” di calcio che si contraddistinsero per questa caratteristica: furono il primo grande evento sportivo “mediatico” della storia, proprio grazie all’introduzione della Radio e delle
radiocronache. E “ascoltiamo” ancora dalla voce di Carosio quel giorno: “…da Schiavio ad Orsi, intercetta Cambial che si libera del pallone in direzione di Puc. Puc riceve, fugge, supera Ferraris, poi Monzeglio. Stringe al centro e lascia partire un tiro. Esce Combi, sfiora la palla…” attimo di sospensione del telecronista “…ed è gol. Niente da fare aggiunge Carosio sconsolato -
l’Italia è in svantaggio per una porta a zero, ed è il 25’ del secondo tempo.” Poi al 36’ Orsi, con un’azione personale, trafigge il valoroso Planicka e Carosio si rianima, incita, quasi spinge il pallone nella porta dei boemi. Il secondo tempo si chiude così in parità: 1-1. Cinque minuti di sosta e l’arbitro dà inizio ai supplementari. “ Quarto minuto, Guaita verso Meazza, no, è Schiavio, supera Ctyroky, tiro …è rete, rete, rete! 2 a 1” Stavolta senza sospensione nella voce strozzata del radiocronista, l’Italia vince, è campione del mondo. Schiavio sviene per alcuni attimi, sommerso dall’abbraccio dei compagni. Carosio non si raccapezza più, sembra che lui stesso sia sul terreno di gioco a far festa con gli azzurri ed il suo entusiasmo si dilata nell’etere verso milioni di italiani in ascolto accanto alle rudimentali radio a valvole sparse in moltissime case ed accese a pieno volume nei circoli, nei bar, nei caffè di tutta Italia. Un evento eccezionale con speakers di quattro lingue e diffusione in nove Paesi.
      Fu Carosio, quindi il primo a festeggiare la laurea di campioni del mondo conferita agli azzurri nel 1934 e nel 1938. Fu anche lui a proporre all'EIAR una radiocronaca: l'aveva ascoltata alla radio dall'Inghilterra e si era detto "perché non provare anche in Italia?" Il 1 gennaio 1933 debuttò davanti al microfono per trasmettere la prima radiocronaca della storia italiana. L'occasione fu Italia- Germania, dallo stadio "Littoriale" di Bologna, fatto costruire da Mussolini. Per la cronaca la partita finì 3 a 1 per l'Italia. Dopo quella partita, Carosio conquistò i tifosi in  trentacinque anni di carriera, quasi tremila radiocronache.  Otto mondiali, Olimpiadi, Coppe e tantissimi campionati, migliaia di  appuntamenti, ogni volta preceduti da un rito e da un'esigenza : gargarismi con acqua salata.
    Si è sempre detto che Carosio, grande "illusionista del calcio", ormai prigioniero del suo linguaggio,  realizzasse le  radiocronache indipendentemente da quello che accadeva sul prato, sicché le partite erano due, quella vera in corso di svolgimento e quella “virtuale” che il mitico radiocronista si compiaceva di raccontare, per farci sognare (come voleva lui). Poi si è sostenuto che la televisione, e le radiocronache ascoltate con le radioline sul campo, abbiano scoperto le sue magagne, ma tutto questo non sminuisce il valore di Carosio e l’emozione che riusciva a suscitare, con la sua voce entusiasta. Resterà sempre un mito e i miti sono sempre stati accettati così come sono.  Oggi, con i progressi inimmaginabili ottenuti dalle tecnologie, in campo radio-televisivo, fa quasi tenerezza ricordare la felice ed ingenua epoca delle radiocronache di Nicolò Carosio, quando trepidanti ed affamati di calcio ci preparavamo a vivere in diretta via etere una partita di football, catturati dalle pittoresche e romantiche uscite del famoso radiocronista, dai  suoi toni sorridenti e umani .
   Ma che c’entrano le radiocronache del grande speaker siciliano in questo angolo dedicato al Napoli, direte voi? C’entrano, perché vogliamo qui ricordare che Napoli fu un’antesignana anche nella comunicazione delle cronache calcistiche.
   La prima iniziativa che si ricordi fu presa a Napoli. L’idea venne al “Mezzogiorno Sportivo”. Giornale napoletano. I balconi della redazione si affacciavano su Piazza Trieste e Trento, là dove ha inizio Via Roma. Era il 23 giugno del 1929, si giocava a Milano lo spareggio per l’ammissione al campionato unico di Serie A tra Lazio e Napoli. Da Milano telefonava in redazione il “testimone oculare” e a Napoli riceveva i dispacci Michele Buonanno, già segretario del Napoli, nonché avvocato, giornalista (come il fratello Ciro) e stenografo. Michele Buonanno stenografava, traduceva e inviava – tramite un usciere – la cronaca al giornalista Felice Scandone che, unico referente per tantissima gente, dal balcone situato proprio sul banco dell'acquafrescaio (tuttora esistente, unico sito di Piazza Trieste e Trento che - insieme con la Chiesa S. Ferdinando -  col tempo non ha cambiato destinazione) informava il popolo azzurro in attesa. Annunciò il vantaggio laziale con il centravanti Spivach, quindi la folla esplose per il pareggio di Innocenti II ed il vantaggio di Sallustro, per poi restare gelata dal pareggio di Cevenini V. Grazie all’interessamento dell.on. Arpinati, Napoli e Lazio evitarono un secondo spareggio e furono ammessi entrambi alla Serie A.
    Secondo esperimento napoletano, stavolta il 14 febbraio del 1932 per festeggiare la presenza di ben tre azzurri nella Nazionale, Sallustro, Vojak e Colombari, contro la Svizzera. Cronaca (quasi) diretta ai tifosi partenopei, nonostante la partita si giocasse proprio nell’Ascarelli, insufficiente a contenere tutti  coloro che avrebbero voluto partecipare direttamente all'evento . Tre a zero, tripletta di Fedullo, radiocronista napoletano tale Rondino....
    I giovani d’oggi non sanno ovviamente che anche a Napoli fu sperimentata la prima trasmissione di “Tutto il calcio minuto per minuto”, sia pure in maniera, diciamo così, artigianale, e per tutta la durata della partita non solo per i secondi tempi come dagli Anni Sessanta avveniva con la Rai. Sì, Napoli all’avanguardia anche in questo, per poi finire come sempre in coda… L’idea venne al famoso giornalista napoletano Gino Palumbo, allora responsabile dei Servizi Sportivi de “Il Mattino”, che in una domenica di fine  Anni Cinquanta organizzò una serie di collegamenti con alcuni campi di Serie A dove era in gioco la salvezza del Napoli. Gino Palumbo inviò alcuni colleghi sui campi interessati per seguire da vicino e raccontare simultaneamente ai tifosi azzurri fin dal primo minuto le fasi delle partite che dovevano determinare la retrocessione e la salvezza in Serie A. Una folla immensa di sostenitori in ansia riempì la Galleria Umberto, dove si affacciavano i balconi del “Il Mattino”, mentre con sapiente regia, e con la voce stentorea e professionale di uno speaker ingaggiato, in prestito, presso la sede napoletana della Rai, venivano lette, tramite altoparlante, le cronache che via, via giungevano dalle sedi dei quattro campi, attraversi telefoni di fortuna cercati e trovati in ambienti con “vista sul campo”. Altro che i telefonini di oggi!...Seguiva la classifica aggiornata di volta in volta, in tempo reale. L’esperimento fu felicissimo.
   Nostalgia per quei tempi, quando bastava poco per “creare l’atmosfera”? Oggi la televisione dà tanto di più , cominciando dalle immagini. Ma allora lavorava la fantasia ed è sulle ali della fantasia che si fanno i voli pindarici, così frequenti nel calcio. In cambio oggi sovrabbondano le chiacchiere...

Nelle foto: in alto, la famosa trasmissione effettuata dal "Mezzogiorno Sportivo" nel 1929 per i tifosi del Napoli; al centro, il mitico radiocronista Nicolò Carosio,  trent'anni di inimitabile carriera.